tag:blogger.com,1999:blog-80314689220642773702024-02-07T03:20:38.067+01:00PopFilosoficoIl blog dell'autore di "I miglioratori del mondo. Utopia e democrazia tra letteratura, fumetto, filosofia" (2017), "Filosofare con la katana. Nietzsche reboot" (2016), "Gli X-Men e la filosofia" (2014) e "X-Men. Per un'etica indagata in stile mutante" (2015). Il blog che il filosofo Simone Regazzoni cita nei ringraziamenti del suo saggio "Sfortunato il paese che non ha eroi" (2012). niccehttp://www.blogger.com/profile/12884567277362765310noreply@blogger.comBlogger532125tag:blogger.com,1999:blog-8031468922064277370.post-14788330957405151082022-04-10T11:06:00.000+02:002022-04-10T11:06:36.432+02:00la femminilità, una trappola<p><span style="font-family: Calibri;"><span style="white-space: pre-wrap;"></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: Calibri;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8AtaiSs_U_nT8xkvEGfXz0JDi3-wdkTuChEA50JekHp0YyC-NzcLh1_ahV7K1BAwv5gZ9rrSM1TlJ9o042S47-KDGaOQ_wOUxVY2orhHxHhx_JcZdIB7-0zIORtan42MS8_iJvTmlNqo9H4iR-LMWzZkHtaF8iFIqdNOObbIupAvh0wBl6P5W0Oa5pw/s794/9788899793890_0_536_0_75.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="794" data-original-width="536" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8AtaiSs_U_nT8xkvEGfXz0JDi3-wdkTuChEA50JekHp0YyC-NzcLh1_ahV7K1BAwv5gZ9rrSM1TlJ9o042S47-KDGaOQ_wOUxVY2orhHxHhx_JcZdIB7-0zIORtan42MS8_iJvTmlNqo9H4iR-LMWzZkHtaF8iFIqdNOObbIupAvh0wBl6P5W0Oa5pw/w270-h400/9788899793890_0_536_0_75.jpg" width="270" /></a></span></div><div style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;"><span style="white-space: pre-wrap;">Nella mitologia, nelle fiabe che leggiamo ai bambini, alla donna assegniamo sempre gli stessi ruoli. È Arianna abbandonata, Penelope al telaio, Andromeda incatenata. È Cenerentola, o la Bella addormentata nel bosco che attende di essere salvata dal Principe azzurro. È colei che attende, che può trovare il proprio posto nel mondo solo attraverso l’amore di un uomo. </span></span></div><div style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;"><span style="white-space: pre-wrap;">La bambina impara presto ad ammirare gli uomini, gli eroi tradizionali. Molto spesso prova solo pietà e disprezzo per la misera vita domestica di sua madre. Magnifica invece la personalità del padre: è lui a rappresentare la forza, il potere, una finestra sul mondo, sulla vita e sul futuro. La bambina desidera identificarsi con lui, e in questo modo riconosce e ammette la superiorità dell’uomo sulla donna che è destinata a diventare. Il desiderio di piacere agli altri è radicato in ogni bambino. I bambini amano sentirsi vivi. Giocando, sviluppano il senso dell’indipendenza, ma per loro è anche importante sentire di avere sopra la testa il tetto rassicurante dell’approvazione adulta. Il bambino maschio impara presto che, per guadagnarsi la stima degli adulti, non deve sforzarsi di compiacerli troppo. Dev’essere forte, autonomo, avventuroso, deve cercare di conquistare il mondo e dominare i compagni. La bambina invece è incoraggiata da genitori, insegnanti, amici, di fatto dal mondo intero, a sviluppare il suo potere di seduzione, a essere aggraziata, ben vestita, educata. Queste richieste le impediscono di godersi i piaceri del gioco, dello sport e dell’amicizia con la stessa spontaneità dei compagni maschi. Inizia a crearsi un circolo vizioso: più si conforma con docilità all’ideale che le è stato imposto, meno sviluppa le sue potenzialità personali e meno troverà delle risorse dentro di sé. È costantemente spinta a rivolgersi agli uomini, a cercare un aiuto esterno. Il suo senso di dipendenza e la sua debolezza aumentano. Il fatto che sia la prima a esserne convinta rende reale la sua inferiorità.<br /></span><span style="white-space: pre-wrap;">In questa prospettiva si spiega perché finora le donne abbiano raggiunto solo di rado quello che è comunemente chiamato genio. I geni sono creature eccezionali che in circostanze specifiche hanno osato ciò che nessuno aveva mai osato prima. Cosa che di per sé presuppone solitudine e fierezza. Presuppone che non si cerchi con ansia lo sguardo degli altri per capire se esso racchiuda approvazione o biasimo, ma che si guardi con coraggio verso orizzonti ancora insospettabili. L’educazione - il mondo intero, di fatto - insegna alle donne la timidezza.<br /></span><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Frivole o serie, le donne sono sempre ligie. In altre parole, accettano il mondo: il loro sforzo consiste solo nel cercare un posto su questa Terra. Le donne temono che perdendo questo senso di inferiorità possano perdere anche ciò che le valorizza agli occhi degli uomini: la femminilità. La donna che si sente femminile non osa partecipare alle attività politiche o intellettuali dell’uomo, né considerarsi una sua pari. Viceversa, se una donna si libera dal complesso d’inferiorità nei confronti degli uomini, se ha un brillante successo negli affari, nella vita sociale e professionale, spesso soffre di un complesso d’inferiorità nei confronti delle altre donne. Si sente meno affascinante, meno amabile, meno piacevole proprio perché priva di femminilità.</span></span></div><div style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;"><span style="white-space: pre-wrap;">Sa che il successo non rappresenta un vantaggio agli occhi degli uomini, ma rischia anzi di allontanarli. L’uomo invece deve lottare a un solo livello. C’è una perfetta omogeneità nel modo in cui cerca di realizzare la propria personalità. Se ottiene potere nel mondo, prestigio agli occhi degli altri uomini, fierezza e sicurezza interiori, acquisisce al tempo stesso più virilità perché sono esattamente l’indipendenza e la forza le qualità che le donne si aspettano da un uomo. È questa la contraddizione che affligge molte donne oggi: o rinunciano in parte a realizzare la propria personalità, o rinunciano in parte al potere di seduzione sugli uomini. È un mondo maschile; sono gli uomini, con i loro desideri, le loro speranze, le loro paure, a creare le condizioni che le donne cercano di combattere nel proprio percorso di risalita.</span></span></div><p></p><span id="docs-internal-guid-fe446a11-7fff-7ab6-63cd-88ed5289ff2d"><span style="font-family: Calibri;"><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">[</span><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Simone de Beauvoir, </span><span style="font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">La femminilità, una trappola</span><span style="white-space: pre-wrap;">]</span></p></span></span>niccehttp://www.blogger.com/profile/12884567277362765310noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8031468922064277370.post-13389423711420038492022-03-30T18:32:00.000+02:002022-03-30T18:32:22.078+02:00la nausea di sartre<p><span style="font-family: Calibri, sans-serif; font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj224YaI_MaAGdxbV9m-NGWMynP2bIzcvqq8jZAomg7cf14NBUoGrDzJbbx9dU-xAJYaoQv0txPIwT2Y6TzhNXriLH_j9HAvUqxCCReSQPD4ruJJQb0KbytpK51tVNMfVKgLE6iRv-jAkDOUKWrieKQhqi-Z6cOrDQg2zThNb1bSXHWMO-acMwUdnecpQ/s2102/91m6dOLvyTL.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="2102" data-original-width="1276" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj224YaI_MaAGdxbV9m-NGWMynP2bIzcvqq8jZAomg7cf14NBUoGrDzJbbx9dU-xAJYaoQv0txPIwT2Y6TzhNXriLH_j9HAvUqxCCReSQPD4ruJJQb0KbytpK51tVNMfVKgLE6iRv-jAkDOUKWrieKQhqi-Z6cOrDQg2zThNb1bSXHWMO-acMwUdnecpQ/w242-h400/91m6dOLvyTL.jpg" width="242" /></a></div><span style="font-family: Calibri;">Mentre nel tempo più classico del suo esistenzialismo esistenza e libertà costituiscono una coppia indissolubile di termini, in questo romanzo la nozione di esistenza appare disgiunta da quella di libertà. In primo piano al posto del <span style="font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">pouvoir de néantisation</span><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">, protagonista assoluto de </span><span style="font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">L’essere e il nulla</span><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">, c’è il carattere inerziale dell’esistenza. Mentre scrive </span><span style="font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">La nausea</span><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> Sartre non ha ancora messo a fuoco quel dualismo ontologico che separa dicotomicamente l’esistenza umana - il <i>per sé</i> - dall’esistenza inerte delle cose - l’<i>in sé</i>. La vita umana non appare nel romanzo del ‘38 come trascendenza, libertà, progetto. In primo piano è </span><span style="font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">un fondo di ingiustificabilità del reale e della stessa presenza umana del mondo</span><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">. Sicché, la fatticità non appare come una polarità, insieme a quella della trascendenza, ma si estende sino a pervadere integralmente il mondo precedendo e risucchiando all’indietro il movimento in avanti della trascendenza. L’esistenza appare come insuperabile. Il suo piano di immanenza si impone su quello della trascendenza del desiderio.
</span></span><span style="font-family: Calibri; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">La storia di questo romanzo è, dunque, la storia di una progressiva e paradossale rivelazione; </span><span style="font-family: Calibri; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">la rivelazione del reale dell’esistenza</span><span style="font-family: Calibri; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">. Perché l’esistenza è rimossa dalla nostra frequentazione abitudinaria del mondo. L’esistenza circonda, imprigiona, incatena, ma non la incontriamo mai; subisce un permanente processo di occultamento che nel romanzo assume la cifra della malafede di fondo che contraddistingue gli esseri umani.</span><span id="docs-internal-guid-c7487686-7fff-4043-0a9d-15de6c89fc31"><span style="font-family: Calibri;"><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Il reale informe dell’esistenza viene ricoperto dal quadro stabile della realtà, da un tempo omogeneo che torna sempre uguale a se stesso. Costanza, regolarità, continuità, stabilità. L’opposizione in gioco è quella tra il carattere difensivo della realtà e quello scabroso e indigeribile del reale, per fuggire di fronte allo scandalo della gratuità assoluta dell’esistenza. L’esperienza della Nausea svela invece l’impostura della malafede. Un reale <i>di troppo</i>, insensato, ingiustificato lacera la rappresentazione canonica del mondo. L’irruzione dell’esistenza fa cadere la maschera dell’Essere necessario rivelandone tutta la contingenza. È l’esperienza improvvisa e ingovernabile della Nausea a far cadere la maschera della malafede. Questa caduta è l’esito di una scossa che colpisce innanzitutto il corpo: urto, vertigine, smarrimento.</span></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">La Nausea sartriana rivela l’esistenza come bruta fatticità, protuberanza ingiustificata, superflua, contingente, <i>di troppo</i>. L’esistenza nel suo <i>essere qui </i>contingente sfugge ad ogni significazione coincidendo con la sua assoluta presenza, con il suo più puro e bruto </span><span style="font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">être-là</span><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">. In evidenza è qui la distinzione categoriale tra il </span><span style="font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">quid sit</span><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> e il </span><span style="font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">quod sit</span><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> - tra la </span><span style="font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">quidditas </span><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">e la </span><span style="font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">quodditas </span><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">- tra il </span><span style="font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">che cosa è</span><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> e il </span><span style="font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">c’è </span><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">dell’esistenza. Il <i>c’è</i> senza senso non può non evocare l’</span><span style="font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">il y a</span><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> dell’esistenza che in quegli stessi anni Lévinas pensa come campo neutro, <i>brulichio informe</i>, pura esistenza <i>senza mondo</i>. È il tema della prevalenza di una nozione di esistenza senza trascendenza, libertà, progetto, dell’esistenza come condizione priva di redenzione, <i>senza vie di fuga</i>, intrappolata, incatenata in un essere che è <i>anteriore al mondo</i> inteso come luogo della significazione.</span></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Nella Nausea non si tratta però dell’angoscia che Sartre - seguendo Kierkegaard e Heidegger - definisce ne </span><span style="font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">L’essere e il nulla</span><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> come l’<i>autopercezione riflessiva della nostra libertà</i>, vincolata alla responsabilità di fronte al carattere sempre dilemmatico della scelta. Diversamente dall’angoscia che è in stretto rapporto con il campo aperto delle possibilità, con la libertà come fondamento infondato dell’esistenza, la Nausea è invece in rapporto con il reale impossibile dell’esistenza, con la sua fatticità. Sartre distingue chiaramente l’una dall’altra: <i></i></span></p><blockquote><i>la percezione esistenziale della nostra fatticità è la Nausea, e l’apprensione esistenziale della nostra libertà, l’Angoscia.</i></blockquote>Se l’angoscia kierkegaardiana e heideggeriana implicano la separazione, la perdita, il confronto con il nulla del proprio fondamento, la Nausea sartriana implica invece il sentirsi affondare nell’esistenza senza possibilità alcuna di separazione. Se l’angoscia è un’esperienza che ha al suo centro il rapporto dell’esistenza con la responsabilità della scelta che i<i>mplica la possibilità permanente di fare un taglio netto col proprio passato</i>, la Nausea appare piuttosto come un’esperienza di sprofondamento, di immersione, un segnale di intrappolamento nell’immanenza assoluta, irrelata, senza rapporto, dell’esistenza, segnala il ritorno dell’infanzia insuperabile dell’esistenza, mostra l’esistenza come il nucleo buio del soggetto che non si lascia mai metabolizzare integralmente dal simbolico, un passato traumatico che non si lascia dimenticare. La Nausea non è angoscia di fronte al nulla a fondamento della nostra libertà, né sorge dalla meraviglia di fronte all’essere, ma dall’urto sconcertante con la pura contingenza dell’esistenza. La Nausea non confronta, come accade per l’angoscia, il soggetto con la propria libertà - non rivela la trascendenza dell’esistenza - quanto con l’</span></span><span style="font-family: Calibri;"><span style="font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">assenza di libertà</span><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">. Rivela la fatticità bruta di un’esistenza che si scopre come pura passività, inerzia, incatenamento. Non a caso Sartre avrebbe voluto intitolare il suo romanzo </span><span style="font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Melancholia </span><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">a sottolineare come la condizione del soggetto nauseato evochi da vicino quella del soggetto malinconico: mentre nella paranoia il senso è dappertutto - nella paranoia tutto è diventato segno -, nella melanconia l’esistenza appare scissa dall’Essere, priva di ogni senso.</span><p></p><div><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div></span><p><span style="font-family: Calibri;">[<a href="http://popfilosofico.blogspot.com/2022/03/esistenza-infanzia-e-desiderio.html?m=1">Massimo Recalcati, <i>Ritorno a Jean-Paul Sartre. Esistenza, infanzia e desiderio</i></a>]</span></p>niccehttp://www.blogger.com/profile/12884567277362765310noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8031468922064277370.post-52131056863745293272022-03-20T08:54:00.004+01:002022-03-20T10:55:43.554+01:00esistenza, infanzia e desiderio<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgnZCVWUIsZ9TQDt1TUg6XEJY9AeQJd87DBAByUeaDYAj7oxv1XZc_drvd_d-hKQ85IcyOCwXWEovOUeoWU2lLv0p0Y2Q0tJhieYH-rO33asPZBhXbI5jZjuckwh1eo-HyZNf6EN0pASkf7l8OJh21m_74Rbx03COYh_ArAhzxWQSKzhWMkJU9VZk260w/s825/9788806249243_0_536_0_75.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="825" data-original-width="536" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgnZCVWUIsZ9TQDt1TUg6XEJY9AeQJd87DBAByUeaDYAj7oxv1XZc_drvd_d-hKQ85IcyOCwXWEovOUeoWU2lLv0p0Y2Q0tJhieYH-rO33asPZBhXbI5jZjuckwh1eo-HyZNf6EN0pASkf7l8OJh21m_74Rbx03COYh_ArAhzxWQSKzhWMkJU9VZk260w/w260-h400/9788806249243_0_536_0_75.jpg" width="260" /></a></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;">L'obiettivo che <b>Massimo Recalcati</b> si prefigge con il suo volume <b><i>Ritorno a Jean-Paul Sartre. Esistenza, infanzia e desiderio</i></b> è quello di correggere la versione stereotipata del soggetto sartriano come pura trascendenza della libertà, mostrando invece come il movimento più profondo del suo pensiero implica una concezione della soggettività come ripresa, assunzione retroattiva, soggettivazione di quello che il filosofo francese stesso definisce il carattere <i>insuperabile</i> e <i>inassimilabile</i> dell’infanzia.<br /> Il soggetto, infatti, non è Sovrano, non è Sostanza, non è un Ego, e questo poiché, semplicemente, nessun soggetto può essere senza infanzia. La sua vocazione originaria non sorge dall’intenzionalità, non è, paradossalmente, una libera scelta del soggetto, ma proviene sempre, come direbbe Lacan, dal discorso dell’Altro. Il soggetto può certo guadagnare la sua singolarità, ma solo rimodellando incessantemente le tracce indelebili di questo discorso. Perciò, il Sartre più maturo dissolve l’idea di un’esistenza libera che precede ogni essenza, mostrando invece quanto l’esistenza si trovi da sempre sommersa, insabbiata, presa in circuiti di costrizione eterodiretti, inclusa nell’alienazione della storia, obbligata ad una passività di fondo costituita dalle marche traumatiche del desiderio degli Altri. <i>Costituzione</i> e <i>personalizzazione</i> scandiscono il rapporto necessario del soggetto con gli eventi contingenti della propria infanzia.<br /> È allora possibile per il soggetto essere libero, se la sua vita è costituita dall’Altro? E come dobbiamo ripensare una libertà che non escluda il destino? Ancora, cosa significa scegliere la propria vita se la nostra prima vocazione è stata scelta dagli Altri? Cosa significa, insomma, pensare, come sostiene Sartre, l’infanzia al futuro?<br />L'interesse sartriano per l’infanzia è profondamente legato a quello nei confronti del processo di soggettivazione. L’infanzia viene infatti considerata un tempo originario dell’esistenza in cui l’evento della soggettività è preceduto dal discorso dell’Altro, anticipato come <i>oggetto</i> di questo discorso, costretto in una necessità profonda. Per questo l’infanzia viene descritta da Sartre come <i>insuperabile</i>, <i>inassimilabile</i>, un’<i>opaca profondità</i> che impone al processo di soggettivazione ritorni spiraliformi continui su di essa. Sono i resti indimenticabili, i traumi, le parole dell’Altro, le sue impronte a contrassegnare in modo indelebile ogni processo di soggettivazione. È qui che si gioca il destino del soggetto e la sua libertà di <i>riuscire a fare qualcosa di ciò che lo si è reso</i>.<br /> Questa nozione di libertà come <i>petit décalage</i> (piccolo scarto) ci consegna una soggettività dai caratteri molto diversi da quella definita nell’ontologia esistenzialista de <i>L’essere e il nulla</i> come <i>progetto</i> e <i>scelta</i>.<br /> È, secondo Recalcati, il grande tema dell’eredità. L’ereditare non come acquisizione passiva, ma come movimento in avanti, aperto sull’avvenire, <i>riconquista</i>, impegno a riscrivere le tracce già scritte nel nostro passato. È l’eredità come invenzione singolare che non può che generarsi come una <i>conversione</i> inedita e singolare della ripetizione che scaturisce dal nucleo opaco della nostra infanzia primordiale</span>.</div><p></p><div><br /></div>niccehttp://www.blogger.com/profile/12884567277362765310noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8031468922064277370.post-51994466015066294872022-03-05T10:51:00.000+01:002022-03-05T10:51:43.165+01:00nietzsche e l'antifilosofia [3]<div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;"><span id="docs-internal-guid-054ac684-7fff-3a2f-f0ce-0a405c070748"><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: right;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjD0dGEthcakqbI9u-ZbsP-y_t8P-m4KgCIrpofzSmh82XSqiH5kom_BIS0yCIctj-1FFoHtS32Bx6tOmOgwy1WsZaC057XuMSNB9__eV98HRzQiV7c0JfeN5FhggkIA0nt0K_Va7BY4_I7FZ-OLH8uwMmZU16muGIJyZ-cWzmKZoc9Wj9HgbCmQy6MZQ=s800" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="800" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjD0dGEthcakqbI9u-ZbsP-y_t8P-m4KgCIrpofzSmh82XSqiH5kom_BIS0yCIctj-1FFoHtS32Bx6tOmOgwy1WsZaC057XuMSNB9__eV98HRzQiV7c0JfeN5FhggkIA0nt0K_Va7BY4_I7FZ-OLH8uwMmZU16muGIJyZ-cWzmKZoc9Wj9HgbCmQy6MZQ=w400-h225" width="400" /></a></div>Un argomento ancor più essenziale concernente la difficoltà d’interrogare il testo nietzscheano è che la causa centrale della sua impresa non è altro che Nietzsche stesso. È una singolarità filosofica davvero sorprendente. È Nietzsche stesso a trovarsi al cuore del proprio dispositivo in quanto principio di valutazione centrale della propria impresa. Vi si convoca da sé e chiama noi come testimoni. Non è soltanto un autore, ma è lui stesso un pezzo di testo, e un pezzo strategicamente centrale. Ricordatevi di quel </span><span style="font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Nietzsche contra Wagner</span><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">: </span></span></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;"><span><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"></span><blockquote><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">la follia può essere la maschera per un sapere infelice </span><span style="font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">troppo certo</span><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">.</span></blockquote><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"></span><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ciò che è depositato in questo enunciato come principio immanente alla propria valutazione è un regime della certezza soggettiva assoluta, una tensione del pensiero, un sapere troppo certo, un sapere in eccesso su se stesso tramite la propria tensione che vale come prova. È l’argomento centrale della disposizione del testo stesso, </span><span style="font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">il testo nietzscheano è il depositario di un eccesso</span><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">. Esso è ciò in cui tale eccesso si deposita e Nietzsche non ha nulla in contrario, in fondo, nel chiamarlo “follia”, nella misura in cui questa non è altro che </span><span style="font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">la maschera di un sapere infelice troppo certo</span><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">. Questo eccesso è una sovratensione della verità, una verità esposta nel regime di un’appropriazione così radicale o così tesa che essa è, di per sé, la propria esposizione provocante. Per quanto appassionato possa essere nella propria sincerità, Nietzsche è di quelli che sanno. “Conosco la mia sorte”, dice alla vigilia della sua caduta, </span></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"></span></p><blockquote><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">un giorno sarà legato al mio nome il ricordo di qualcosa di enorme - una crisi, quale mai si era vista sulla terra, la più profonda collisione della coscienza, una decisione evocata </span><span style="font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">contro </span><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">tutto ciò che finora è stato creduto, preteso, consacrato. (</span><span style="font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ecce homo</span><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">) </span></blockquote><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"></span><p></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Conosce il pericolo a cui s’espone; sa che il suo pensiero ruota attorno a questo centro pericoloso e tragico che, chiaramente, annienterà la sua vita. </span><span style="font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Il grado di rischio nel quale un uomo vive con se stesso</span><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> è per lui la sola misura valida di ogni grandezza. Soltanto colui che rischia sublimemente la propria vita può guadagnare l’infinito. Cosa importa se il costo è la vita, visto che raggiunge la verità. La passione è più dell’esistenza, il senso della vita è più della vita stessa. Il testo è lì solo per accogliere e al tempo stesso placare quest’eccesso. L’accoglie. Questa sarà la sua dimensione di tensione e di prova interna, ma lo calma e lo inscrive.</span></p><br /><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Allora, nella misura in cui il testo è depositario di un eccesso su di sé della verità, questa disposizione si attesterà nella sua forma o nel suo stile. Ciò che è sottratto all’argomento deve necessariamente ritrovarsi o superarsi, in quanto eccesso su di sé del vero, nella potenza della forma. Ciò che varrà come prova per la verità è esattamente questa potenza tale per cui la prosa la capta o l’organizza nel registro della sua forma. Nel suo ruolo organicamente filosofico, la poesia testuale nietzscheana è dunque contemporaneamente la possibilità della verità e la possibilità di sopportarla. È la sua potenza e la possibilità di sopportare tale potenza. In quanto poeta o filosofo-artista, in preda alla propria scrittura, Nietzsche è la via della verità che egli proclama. Bisogna esporre la verità come vita, e non come argomento convincente. Ma esporla come vita vuol dire esporre se stessi. Questa esposizione consiste nella poetica stilistica.</span></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Nietzsche è colui che ha spinto all’estremo l’imperativo di parlare rigorosamente a proprio nome. D’altronde, c’è una connessione eclatante fra ciò che egli intende con “parlare per se stesso” e ciò che Lacan vuole dire con la formula “non cedere sul proprio desiderio”. Se quest’ultima massima evoca qualcosa nella storia della filosofia, Nietzsche ne è chiaramente l’incarnazione quando dice di essere o d’installarsi al cuore del proprio enunciato, al punto che l’espressione “non cedere” verrà naturalmente alla sua penna in </span><span style="font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ecce homo</span><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">: </span></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"></span></p><blockquote><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">il mio istinto si decise inesorabilmente a finirla di cedere [...] di procedere con altri, di scambiarmi con altri [...]. Io ho un dovere [...] e cioè quello di dire: </span><span style="font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ascoltatemi! Perché sono questo e questo. E soprattutto non scambiatemi per altro!</span></blockquote><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"></span><p></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">È veramente di “non cedere” che si tratta, in maniera tale da essere ben convinti di ciò che si enuncia, dal momento che lo si enuncia in quanto se stessi, nel desiderio al quale si è coestensivi. Conquistare la possibilità di prendersi per se stessi è l’autentica posta in gioco del “dire filosofico”.</span></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Parlare a proprio nome, prendersi per se stessi, si unisce a una convocazione del vero come figura della decisione, e non in quella dell’esteriorità o dell’adesione. La verità è sempre all’interno del registro della decisione. </span></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"></span></p><blockquote><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Io per primo ho il metro per le “verità”, io per primo </span><span style="font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">posso </span><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">decidere. (</span><span style="font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ecce homo</span><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">)</span></blockquote><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"></span><p></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Il che significa sempre anche: io sono il primo che parla [la verità], e io la decido, non all’interno del regime dell’approvazione o dell’argomentazione, ma in quello dell’enunciazione, perché è l’enunciazione che collega la verità alla sua potenza. C’è una decisione di verità, ma non c’è nulla che sovrasti questa decisione per garantirla o autorizzarla. Si autorizza soltanto da sé.</span></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ne consegue che la verità si dà sempre come figura del rischio, al contrario di ogni figura di saggezza o di contemplazione. Il problema consisterà interamente nel sapere ciò che si è capaci di sopportare. Non è la questione della ricerca [della verità] o della sua contemplazione, ma quella della maniera in cui la si tollera. La verità è, in parte, una questione di sofferenza. Una sofferenza che [Nietzsche] s’infligge, ma non nel senso redentore o cristiano, ovvero nel senso che occorre soffrire affinché dal fondo di questa sofferenza giunga la redenzione salvifica. No, è unicamente per sapere quale animale sono. </span></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"></span></p><blockquote><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Quanta verità può </span><span style="font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">sopportare</span><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">, quanta verità può </span><span style="font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">osare </span><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">un uomo? Questa è diventata la mia vera unità di misura, sempre più. (</span><span style="font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ecce homo</span><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">)</span></blockquote><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"></span><p></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Una verità non è mai ciò che si argomenta o si discute, ma ciò che si dichiara. Ogni verità si dà nella figura rischiosa di una dichiarazione, il cui principale testimone è il soggetto stesso dell’enunciazione nella sua capacità di sopportare, di reggere ciò che dichiara. Questa figura, a dispetto della sua somiglianza, è in realtà l’opposto della figura del martire.</span></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Il dire autentico, vero, dunque il diro filosofico-artistico, è l’esposizione dell’enunciazione come rottura, l’esposizione dell’elemento del terribile come rottura interna al dire stesso. Ora, ogni volta che si verifica un’esposizione integrale dell’enunciazione come rottura, ciò coinvolge l’umanità intera, anche se questo coinvolgimento non riguarda che uno soltanto dei suoi punti. È in gioco la sorte dell’intera umanità. Ecco perché Nietzsche può dire: </span><span style="font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">porto sulle spalle il destino dell’umanità</span><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> senza che per lui questa frase sia esagerata o delirante. Semplicemente, infatti, è in procinto di stabilire un regime di discorso senza scarto fra colui che dice e ciò che è detto. È ciò che potremmo chiamare, con termini lacaniani, il punto di capitone della storia del pensiero.</span></p><div><span style="font-size: 11pt; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div></span><span style="white-space: pre-wrap;">[</span><a href="http://popfilosofico.blogspot.com/2022/02/nietzsche-e-lantifilosofia.html" style="white-space: pre-wrap;">Alain Badiou, <i>Nietzsche. L'antifilosofia 1. Seminario 1992-1993</i></a><span style="white-space: pre-wrap;">]</span></span></div>niccehttp://www.blogger.com/profile/12884567277362765310noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8031468922064277370.post-76647344564632198682022-02-20T00:30:00.000+01:002022-02-20T10:53:11.004+01:00filosofia della nostalgia<p><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEifkoV7md6jpvUtBOVrAgzDT3BcWHwCDFw2qgpAgRZHVUh9eLjhtwwFSyOpW2v8sE7Rn97ii25JbIC6AM3HKmeKxxTYjZ6DL-ai_Whoq0tpBdx_raWUv7DontfO9m4U3mbCrItXRgPO4Xs9qqeOATbMSwrxiFjfWkvo0GIT0yD91v4bJQi32IkHIZET7g=s1474" imageanchor="1" style="clear: right; display: inline !important; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="1474" data-original-width="1000" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEifkoV7md6jpvUtBOVrAgzDT3BcWHwCDFw2qgpAgRZHVUh9eLjhtwwFSyOpW2v8sE7Rn97ii25JbIC6AM3HKmeKxxTYjZ6DL-ai_Whoq0tpBdx_raWUv7DontfO9m4U3mbCrItXRgPO4Xs9qqeOATbMSwrxiFjfWkvo0GIT0yD91v4bJQi32IkHIZET7g=w271-h400" width="271" /></a></p><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;">Con <b><i>Yesterday. Filosofia della nostalgia</i></b> quel sentimento dominante in tempo di crisi quando il presente è opaco e il futuro incerto, viene indagato e raccontato da <b>Lucrezia Ercoli</b> in maniera puntuale e interessante, delicata e potente.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;">La nostalgia sembra essere un tratto proprio del XXI secolo, in cui il vento della Storia non è più quello della tempesta del progresso che, all'inizio del secolo scorso, spingeva più l'<i>Angelus Novus</i> di Klee e Benjamin verso il futuro, ma quello della <i>retrotopia</i> (Zygmunt Bauman) che, in un'epoca di incertezze e di un futuro sempre più imprevedibile, riconduce verso il passato e un paradiso perduto. E, come mostra la Ercoli, essa rappresenta un sentimento ambiguo, che può declinarsi tanto in una malattia paralizzante quanto in un indicatore per pensare l'avvenire, che può essere tanto affascinante quanto pericoloso.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;"><br /></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;">Nostalgia (da <i>nostos</i>, ritorno in patria, e <i>algos</i>, dolore o tristezza) è un termine coniato nel 1688 - in cui confluiscono espressioni presenti in diverse lingue, dal tedesco <i>Heimweh</i> al francese <i>mal du pays</i>, dall'inglese <i>homesickness</i> al portoghese <i>saudade</i> - per indicare una malattia, una condizione clinica, causata da un eccessivo attaccamento alla patria lontana. Una patologia che accompagna l'accelerazione del tempo moderno, con i suoi cambiamenti radicali e veloci portati dall'industrializzazione e dall'urbanizzazione del finire del XVII secolo. Certo già l'<i>Odissea</i> omerica ha delineato i contorni della nostalgia come malattia dell'esule che rimpiange la terra natia, ma è la modernità che la universalizza, la fa sfuggire ai confini della patria, per renderla <i>nostalgia di paesi e di felicità sconosciuti </i>(Charles Baudelaire), desiderio di una felicità che è sempre dove non si è noi. O, forse paradossalmente, <i>l'odierno uomo di città ha eliminato da lungo tempo la nostalgia?</i> (Martin Heidegger). E questo sarebbe il vero pericolo: l'esperienza della perdita della casa sembrerebbe incompatibile con l'omologazione moderna per cui è facile sentirsi a casa ovunque, in cui tutto è vicino e raggiungibile, immediato. Una <i>connectography</i> (Parag Khanna) in cui i confini non sono più definiti tramite mappe geografiche perché trasporti, comunicazioni, reti mediali hanno trasformato i concetti di spazio e di viaggio.</span></div><div style="text-align: left;"><br /></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgZBuJwgkyWZfYJCEY5KQ2cEoQr2Bp-D0Dy_scfs-0c-qSx7ej4UowcuDjEYqXJMuUJCjulIs42k73GHTSo0jc1Ov8xhOIB9UTIndbWRkb5wdM5xn28e9Mqpc8MExIPasPi9uGoR2JVkWEj8K4e8v-uuWJPMVnLMKYEavk6Gy3QTGIkLczAEKRkQQY7mQ=s932" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="460" data-original-width="932" height="198" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgZBuJwgkyWZfYJCEY5KQ2cEoQr2Bp-D0Dy_scfs-0c-qSx7ej4UowcuDjEYqXJMuUJCjulIs42k73GHTSo0jc1Ov8xhOIB9UTIndbWRkb5wdM5xn28e9Mqpc8MExIPasPi9uGoR2JVkWEj8K4e8v-uuWJPMVnLMKYEavk6Gy3QTGIkLczAEKRkQQY7mQ=w400-h198" width="400" /></a></div>Il film di Woody Allen <i>Midnight in Paris</i> rappresenta un vero e proprio saggio visivo sulla nostalgia dell'età dell'oro, mostrando come <i>quello che per una generazione è prosaico e volgare, per la generazione successiva si trasforma in qualcos'altro, in qualcosa di magico e vintage</i>. Ma mostra anche che l'età dell'oro non è la stessa per ogni epoca, che la costante è piuttosto la considerazione del presente come noioso e insoddisfacente. Questa sindrome dei bei tempi andati è sempre esistita, l'idea di una parabola discendente è narrata nel poema <i>Le opere e i giorni</i> da Esiodo ed è un mito che si rafforza nella cultura romana per esempio con l'Ovidio delle <i>Metamorfosi</i>, e non è una proprietà esclusiva della tradizione occidentale: si tratta di un archetipo universale che si rafforza nei periodi di crisi, necessario per elaborare <i>la disperazione provocata dalla estrema miseria, dalla mancanza di libertà e dal crollo dei valori tradizionali</i> (Mircea Eliade), di una nostalgia delle origini che è caratteristica permanente della memoria collettiva. I</span><span style="font-family: Calibri;">l passato è costantemente frutto di una creazione che rinnova un mito immaginario tra realtà e sogno, che popola il nostro presente di spettri che non se ne sono mai andati, di fantasmi che continuano a condizionarci: <i>i</i></span><span style="font-family: Calibri;"><i>l passato non è morto, non è nemmeno passato</i> (William Faulkner).</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;">Una serie televisiva come <i>Happy Days</i> costruisce gli anni Cinquanta come quel tempo felice della storia americana contemporanea prima della catastrofe della Guerra in Vietnam, e la formula seriale e ripetitiva è perfetta per creare la continuità e la stabilità di giorni felici. La <i>cinquantezza</i> (Fredric Jameson) propria di produzioni degli anni Settanta e Ottanta non racconta il passato nella sua totalità ma lo epura da ogni forma di conflitto e complessità storica, lo riesuma in forma innocua, lo crea nostalgicamente senza comprenderlo. Film come <i>Pleasantville</i> di Gary Ross o <i>The Truman Show</i> di Peter Weir decostruiscono questo paradiso dei <i>fifties</i> mostrandolo come un inferno repressivo e proibizionista o comunque mostrando come pura simulazione la sua perfezione.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;">La nostalgia, così, non corrisponde a un archivio di eventi ma a una visione irreale da sogno. Ed è con l'immagine in movimento - video, cinema, televisione - che dal secondo dopoguerra, ancora più che nei decenni precedenti, il passato acquisisce una natura immaginaria, completamente svincolata dalla storia.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;">Da questa dimensione anche nefasta e terribile della nostalgia mettono in guardia Milan Kundera - che nell'incipit del romanzo <i>L'insostenibile leggerezza dell'essere </i>mostra come essa speri nel ritorno del tempo perduto anche quando questo è segnato da atrocità irripetibili -, Vladimir Nabokov - che ne <i>Il dono</i> avverte dell'inestinguibile nostalgia per le cose a cui diciamo addio anche se non le abbiamo mai amate -, le <i>ostalgie</i> (crasi tra <i>osten</i>, cioè est, e nostalgia) nella Germania dopo la caduta del muro di Berlino dei popoli dell'ex blocco sovietico, per i quali liberazione e passaggio disorientante vanno insieme. Questo senso di continuità di una comunità, questo forte attaccamento nostalgico per un passato idealizzato, rischia di produrre un'<i>inversione storica</i> (Michail Bachtin) che riporti in vita anche i cadaveri di un passato che si era superato, di essere un potente veleno in cui orgoglio nazionale e tradizione religiosa formino un cocktail reazionario.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhvmcSsTApidBME52W1deQAbiBDqr6KdX9mdhXuNaDh20qKO7IyAYlqtgPTWD12HrFr4wVd2w-W-wvUsVTWGKxyJdnMFIeYkqYiaHx7j8Dl6o2cjC_Hdnc8BgdCedi912EZ5folSp8HpVJyMklltRmWdpkCK3Cx-IqHeANjEGYFt0m9WkXi2dpdWAX9rg=s1071" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="645" data-original-width="1071" height="241" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhvmcSsTApidBME52W1deQAbiBDqr6KdX9mdhXuNaDh20qKO7IyAYlqtgPTWD12HrFr4wVd2w-W-wvUsVTWGKxyJdnMFIeYkqYiaHx7j8Dl6o2cjC_Hdnc8BgdCedi912EZ5folSp8HpVJyMklltRmWdpkCK3Cx-IqHeANjEGYFt0m9WkXi2dpdWAX9rg=w400-h241" width="400" /></a></div>Una serie televisiva come <i>Stranger Things</i> dei fratelli Matt e Ross Duffer, invece, costruisce una <i>ottantezza</i>, una nostalgia degli anni Ottanta come epoca dell'immaginazione, in cui la tecnologia non è ancora esplosa a livello di massa, non è ancora una presenza pervasiva nelle vite di ognuno che condiziona lo spazio pubblico e privato, e c'è una promessa di liberazione ed emancipazione non ancora soppressa da un sistema di controllo digitale. Anni in cui <i>cose strane </i>possono ancora accadere.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;">Questa la dualità della nostalgia: da una parte una nostalgia <i>restauratrice</i>, una fissazione regressiva bloccata nella fascinazione del ritorno dell'ordine naturale e delle identificazioni forti, un revival reazionario legato a una propaganda faziosa, una retorica nazionalista, un'esaltazione della patria; dall'altra una nostalgia <i>riflessiva</i>, capace di riconoscere l'irrevocabilità del passato e di fare della memoria un'eredità per progredire, generando un'attesa carica di <i>pathos</i> e di storia.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;"><br /></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;">A svelare il vero oggetto della nostalgia è la musica: non l'assenza contrapposta alla presenza, ma il passato in rapporto al presente. Ciò di cui si ha nostalgia è ieri - <i>yesterday</i> -, ieri in quanto ieri, il passato in quanto passato, il tempo in quanto tempo perduto. La canzone pop è così il linguaggio della nostalgia ai tempi della sua riproducibilità tecnica e i tormentoni musicali sono <i>intimni</i> (Peter Szendy) - cioè allo stesso tempo inni collettivi e melodie intime - che ripetono sempre la stessa frase, al contempo dolorosa e catartica: Tu eri e non sei più. In questo senso, la nostalgia evoca una scissione costitutiva, una cicatrice incancellabile, e rappresenta un'esperienza ineliminabile della condizione umana.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;">Ancora una volta si fa necessario evidenziare il potenziale venefico della nostalgia, il cui soddisfacimento allucinatorio può spegnere la vita rinchiudendola in un mondo popolato di fantasmi, in un paradiso artificiale che impedisce di affrontare il trauma della perdita e di compiere il lavoro del lutto. E tanto più nell'epoca contemporanea <i>l'opportunità di registrare e conservare un numero di ricordi personali senza precedenti nella storia, può tramutarsi nel pericolo di perdere lo slancio verso il futuro che rende propositiva la nostalgia</i> (Davide Sisto).</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;">I tempi della nostalgia contemporanea continuano a accorciarsi, che la nostalgia diventa nostalgia del presente perché la sua operazione avviene per tutto e continuamente. Se ancora nei primi anni Novanta si immaginavano, con fiducia nel futuro e slancio prometeico, alternative, dai primi anni Duemila la cultura sembra essere nel segno della </span><i style="font-family: Calibri;">retromania</i><span style="font-family: Calibri;"> (Simon Reynolds), del revival, della ristampa, del remake, della ricostruzione: il futuro non c'è più, è sconfitto, è perduto.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;">Per non essere solo il passato che non passa e torna a tormentare sotto forma di fantasma seducente, per non essere il crepuscolare e senile cliché dell'<i>ai miei tempi</i> che guarda con diffidenza le novità e mal si adatta ai cambiamenti, la nostalgia deve diventare un imparare dagli spettri delle rivoluzioni mancate e delle utopie non realizzate, dai <i>revenant</i> di chi non c'è più ma ci parla ancora. Una <i>hauntology</i> (Jacques Derrida) che si fa carico delle presenze spettrali, e che sembra essere il sentimento dominante delle produzioni contemporanee capaci di evocare immagini e suoni provenienti da <i>futuri perduti</i> (Mark Fisher). Una nostalgia che non rinuncia allo spettro - come il crepitio tipico della musica hauntologica che riproduce il rumore della puntina sul vinile e che <i>ci rende coscienti del fatto che stiamo ascoltando un tempo che è fuor di sesto</i> (Fischer) -, che parla al fantasma e sente cosa ha da dire, ma che oltre allo struggimento per ciò che è stato si fa carico dell'ingiunzione che viene dal passato quale motore dell'avvenire. Una nostalgia come <i>post production</i> (Nicolas Bourriaud) e <i>reboot</i> che riedita il passato in una versione che fa rivedere qualcosa di già visto ma con uno sguardo diverso, che riprogramma il non ancora dei vari futuri che si era preparati a attendere e che non ci sono mai stati.</span></div><p></p>niccehttp://www.blogger.com/profile/12884567277362765310noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8031468922064277370.post-34718339943888270232022-02-12T10:31:00.000+01:002022-02-12T10:31:25.829+01:00nietzsche e l'antifilosofia [2]<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjozuFs17DZzgM20IGJPHyV-V1w-X9ZjJCKtrZPxhPC3CwyhNGVO4bAJUR8A7x_dQvXsNCmPQg0-uU0ZcsUHbqXCXQb6W-obiimh2Y1ik0Lw6eSLnHgFshXDaTKlIX2M9CJj0GVcB2NLDoOZzXVINHDXzvFU7T57vS_XltdhoiMkAYhxbl7z3CBMssIOg=s1068" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="1068" data-original-width="800" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjozuFs17DZzgM20IGJPHyV-V1w-X9ZjJCKtrZPxhPC3CwyhNGVO4bAJUR8A7x_dQvXsNCmPQg0-uU0ZcsUHbqXCXQb6W-obiimh2Y1ik0Lw6eSLnHgFshXDaTKlIX2M9CJj0GVcB2NLDoOZzXVINHDXzvFU7T57vS_XltdhoiMkAYhxbl7z3CBMssIOg=w300-h400" width="300" /></a></div><span style="white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: Calibri;">Il vettore di questo seminario sarà <b>Nietzsche</b>. Lo abborderemo attraverso tre obiettivi:</span></span><p></p><span id="docs-internal-guid-32cb7f45-7fff-7bfb-ba61-759106b08299"><ul style="margin-bottom: 0px; margin-top: 0px; padding-inline-start: 48px;"><li aria-level="1" dir="ltr" style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; list-style-type: disc; margin-left: -14.7402pt; vertical-align: baseline; white-space: pre;"><p dir="ltr" role="presentation" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: Calibri;">Per cominciare, tentare d’individuare la statura del testo nietzscheano, d’interrogarne l’essenza filosofica.</span></span></p></li><li aria-level="1" dir="ltr" style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; list-style-type: disc; margin-left: -14.7402pt; vertical-align: baseline; white-space: pre;"><p dir="ltr" role="presentation" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: Calibri;">In seguito, domandarsi in quale misura il XX secolo sia stato nietzscheano. Da Heidegger a Deleuze si dirigerà, mi sembra, una sorta di arco o di scarto massimale attorno alla questione della contemporaneità di Nietzsche.</span></span></p></li><li aria-level="1" dir="ltr" style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; list-style-type: disc; margin-left: -14.7402pt; vertical-align: baseline; white-space: pre;"><p dir="ltr" role="presentation" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: Calibri;">Infine, si tratterà di determinare la natura del rapporto fra la filosofia e l’arte. All’annuncio hegeliano della fine dell’interesse filosofico per l’arte, in opposizione a questo, si è avviata, a partire dall'inizio del XIX secolo, una vigorosa promozione dell’arte come condizione radicale del pensare. L’arte è innanzitutto, per Nietzsche, un tipo soggettivo. Prima e più essenzialmente dell’opera, l’arte è la figura dell’artista. Rispetto al quale Nietzsche disegna il tipo del filosofo-artista, che non è o non è più il prete. È la questione dell’arte come figura di verità. Essendo l’arte, nel mio linguaggio, una procedura generica, come ogni procedura di verità.
</span></span></p></li></ul><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: Calibri;">La mia strategia in questo seminario consisterà dunque nell’intrecciare queste tre interrogazioni: topica, storica e generica.</span></span></p><span style="font-family: Calibri;"><br /></span><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-family: Calibri;"><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Interrogare il testo nietzscheano suscita poi un’altra difficoltà. Quella di sapere cosa vuol dire con esattezza utilizzare il testo nietzscheano. O più precisamente: quale domanda possiamo rivolgere a un testo siffatto? Il testo è qui, ma non è aperto. Non si dà nella forma della proposizione: espone più di quanto non proponga. Il montaggio nietzscheano non è un montaggio in cui la negazione precederebbe o costituirebbe la possibilità dell’affermazione. Al contrario - ed è un punto che Deleuze sottolinea con grande pertinenza -, c’è una sorta di stallo, di distacco singolare fra la dimensione negativa, critica, o, diciamo, distruttiva, e il regime della serenità affermativa che Nietzsche chiama il “Grande Meriggio”. O ancora, se volete, il testo nietzscheano non è per nulla dialogico. Nietzsche è un pensatore che espone il proprio pensiero attraverso una figura sottratta tanto alla dialogicità quanto alla dialettica. Il sottotitolo del </span><span style="font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Crepuscolo degli idoli</span><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> ce lo ricorda: </span><span style="font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Come si filosofa col martello</span><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">. Un colpo di martello non è affatto ciò cui si rivolge una domanda. Il colpo di martello è contemporaneamente ciò che deve distruggere quel che merita di esser distrutto e ciò che deve conficcare il chiodo dell’affermazione primordiale. Su quest’incudine arroventata dal fuoco della potenza si forgia sempre più duramente, intensificata a ogni colpo, la formula che poi corazza di bronzo il suo spirito, quella della grandezza dell’uomo. Si può anche dire che il dispositivo nietzscheano consiste nel disfare il regime argomentativo. Ricordatevi della massima decisiva nel </span><span style="font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Crepuscolo degli idoli</span><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> e della sua forza d’urto: </span></span></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-family: Calibri;"><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"></span></span></p><blockquote><span style="font-family: Calibri;">quel che si limita a lasciarsi dimostrare ha poco valore.</span></blockquote></span><p></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: Calibri;">Bisogna intenderla in senso forte: è un giudizio essenziale, perché, beninteso, il valore, la valutazione è appunto l’operazione-chiave in Nietzsche. La sua filosofia è fondamentalmente una filosofia della valutazione, della trasvalutazione. Dal momento che la ragione è valutante, la filosofia non può essere dialogica.</span></span></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: Calibri;"><br /></span></span></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><span style="font-family: Calibri;">[<a href="http://popfilosofico.blogspot.com/2022/02/nietzsche-e-lantifilosofia.html">Alain Badiou, <i>Nietzsche. L'antifilosofia 1. Seminario 1992-1993</i></a>]</span></span></p>niccehttp://www.blogger.com/profile/12884567277362765310noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8031468922064277370.post-16308710169916378132022-02-04T21:40:00.005+01:002022-02-04T21:40:55.581+01:00woman in gold<div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;">Il film <i>Woman in gold</i>, del 2015, ricostruisce le vicende legate al celebre dipinto di Gustav Klimt <i>Ritratto di Adele Bloch-Bauer</i>.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;">In una scena la donna siede davanti al suo ritratto con la nipote e le chiede se è bella nel quadro. <i>Sì</i>, risponde la bambina, <i>però non sembri felice</i>.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;">Adele pronuncia allora questa battuta:</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;"><i><blockquote>Mi chiedo come sarà essere donna quando tu lo diventerai. Dovrai accontentarti di cose futili?</blockquote></i></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;"><br /></span></div><div style="text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjCtJ5J0lhXuQZpzrGmvdQ_3os0AGK7jYDN_cUspj8KawTBix3QI838zSVe56ABq3QGpTGwj48DJzWwku2IZpxaY2QvxUWHRGDfUtNZ5TUD9RLvbEYr9XJ-ci4IcYRaLi1EHJqzPdfqWRMsn_iZl_5onE2IAqHEh_9KVkh7lk10cR_YT28QsgRXIRJbBw=s1564" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1564" data-original-width="1564" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjCtJ5J0lhXuQZpzrGmvdQ_3os0AGK7jYDN_cUspj8KawTBix3QI838zSVe56ABq3QGpTGwj48DJzWwku2IZpxaY2QvxUWHRGDfUtNZ5TUD9RLvbEYr9XJ-ci4IcYRaLi1EHJqzPdfqWRMsn_iZl_5onE2IAqHEh_9KVkh7lk10cR_YT28QsgRXIRJbBw=w400-h400" width="400" /></a></div><br /><span style="font-family: Calibri;"><br /></span></div>niccehttp://www.blogger.com/profile/12884567277362765310noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8031468922064277370.post-16162020658847888752022-02-01T11:20:00.000+01:002022-02-01T11:20:58.120+01:00nietzsche e l'antifilosofia<div style="text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjmlxAOWqXMlQJ_wWzeRJ3Hfzx7Zro1NPMEEc9jEZATSbuub2smwY5Xg2GQPUpBxLOH8Z39Kp52ux8fCVlCfNNN2ierGTrkJv56sBlIbUucYuOyu6bXaarLRtm_bV33V6x1UjPRnYfDiE8c7d8CWSzsgE7m8WUoAiJty94yh4N4c9GXAZEsZNawr5_gjw=s900" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="900" data-original-width="600" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjmlxAOWqXMlQJ_wWzeRJ3Hfzx7Zro1NPMEEc9jEZATSbuub2smwY5Xg2GQPUpBxLOH8Z39Kp52ux8fCVlCfNNN2ierGTrkJv56sBlIbUucYuOyu6bXaarLRtm_bV33V6x1UjPRnYfDiE8c7d8CWSzsgE7m8WUoAiJty94yh4N4c9GXAZEsZNawr5_gjw=w266-h400" width="266" /></a></div><span style="font-family: Calibri;">Finite di correggere le ruminazioni sugli aforismi della <i>Gaia scienza</i> prodotte dai miei studenti di quinta, è ora di leggere il testo appena pubblicato da Mimesis del seminario del 1992-93 su <b>Nietzsche </b>tenuto da <b>Alain Badiou</b> presso l'École Normale Supérieure, il primo del ciclo dedicato al tema dell'antifilosofia.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;">Badiou stesso riconosce come, rispetto a altri seminari in qualche modo totalizzati e architettonicamente composti in opere poi pubblicate, il seminario su Nietzsche rimanga a sé stante, non preparato né successivamente ripreso ma lasciato da parte nella sua impresa filosofica.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;">Del resto, si chiede sempre Badiou, non è forse questo il destino di Nietzsche nonostante il chiasso - e il malinteso - intorno alla sua opera? E comunque, Nietzsche può essere amato da Badiou per lo stile e la lingua, ma resta sempre un avversario filosofico.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;">Badiou non se ne occupa, quindi, quando Foucault, Deleuze e tutto il <i>gotha </i>filosofico (Derrida, Klossowski, Lyotard, Nancy) ne fanno un loro riferimento, una fonte decisiva, consacrandolo come una sorta di re postumo del pensiero contemporaneo. Capisce, invece, che non può essere totalmente cattivo, quando nel 1991 viene pubblicato un libro-manifesto <i>Perché non siamo nietzscheani</i> nel quale a dichiarare guerra al filosofo tedesco sono quelli che Badiou definisce <i>"filosofi" reazionari</i> e <i>rivali umiliati dei veri pensatori</i>. Se tutti questi si riuniscono sotto il grido "morte a Nietzsche", allora...</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;">Allora Badiou inizia a interessarsene, a partire dall'ultimo, da quella <i>fine in cui un uomo "Nietzsche" diviene il personaggio centrale di Nietzsche senza virgolette, in cui tutto si rischiara discretamente da ciò che fu troppo ardente, in cui la vita del solitario in marcia verso la follia si ordina alla modesta rivoluzione totale di colui che, benché capace di sbarazzare una volta per tutte l'umanità dal veleno religioso, dalla figura disgustosa del prete e dagli effetti disastrosi della colpevolezza, capace d'instaurare il regno del grande "Sì" per tutto ciò che diviene, riesce a confessare che preferisce, comunque, essere "professore a Basilea piuttosto che Dio".</i></span></div>niccehttp://www.blogger.com/profile/12884567277362765310noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8031468922064277370.post-13698943805180568962022-01-27T14:56:00.001+01:002022-01-27T14:56:27.651+01:00la debilitata ragione del mondo<p><span style="font-family: Calibri;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: Calibri;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiccdmOoCilSfEqX_Wm85vB2Je3hfx3G4HfFDE6KvrG2qXktjvbMRo6a17UoepQE6VH8EVgQpX46t7uq5u4Dgrm-bShvVTFQyl6OsAaMtNGPD2X4eGRRFjzDMAcMo13thnNPVKQAPx2MLPTjsSiK7_AuYHLYTSV96jnnNx1Hbj3ka5546-YjrVSRXcVgg=s324" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="324" data-original-width="202" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiccdmOoCilSfEqX_Wm85vB2Je3hfx3G4HfFDE6KvrG2qXktjvbMRo6a17UoepQE6VH8EVgQpX46t7uq5u4Dgrm-bShvVTFQyl6OsAaMtNGPD2X4eGRRFjzDMAcMo13thnNPVKQAPx2MLPTjsSiK7_AuYHLYTSV96jnnNx1Hbj3ka5546-YjrVSRXcVgg=w250-h400" width="250" /></a></span></div><span style="font-family: Calibri;">Per l'incontro mensile del gruppo di lettura che ormai da qualche anno organizziamo a scuola, il tema dell'appuntamento di gennaio è stato la letteratura italiana. Io ho scelto di leggere <i><b>Quer pasticciaccio brutto de via Merulana</b></i> di <b>Carlo Emilio Gadda</b>. Trovandomi in una condizione simile a quella in cui l'autore, stando alla presentazione dell'edizione Garzanti, ha scritto il romanzo - parafrasando, lo ho letto a Prato nel ricordo non lontano di vissuti romani, rinverditi da recenti immersioni nella lettura e visione di Zerocalcare - mi sembrava fosse una buona scelta.</span><p></p><p><span style="font-family: Calibri;">I delitti - un furto e, pochi giorni dopo, un omicidio - su cui si incentrano le vicende del romanzo avvengono nel palazzo degli ori, o dei pescicani, di via Merulana 219, scala A, piano terzo. Il commissario-filosofo Ingravallo, coinvolto nelle indagini, è subito presentato chiarendo l'<i>opinione centrale e persistente</i> che lo muove nel suo lavoro, quello secondo la quale andrebbe <i>riformato il senso della categoria di causa, sostituendo alla causa le cause</i>. </span></p><p></p><blockquote><span style="font-family: Calibri;">Le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l'effetto che dir si voglia d'un unico motivo, d'una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti.<br />Così, proprio così, avveniva dei "suoi" delitti. La causale apparente, la causale principe, era sì, una. Ma il fattaccio era l'effetto di tutta una rosa di causali che gli eran soffiate addosso a molinello e avevano finito per strizzare nel vortice del delitto la debilitata "ragione del mondo". Come si storce il collo a un pollo.</span></blockquote><p></p><p><span style="font-family: Calibri;">Si tratta, quindi, di avere a che fare con un <i>nodo o groviglio, o garbuglio, o gomitolo</i>, con un pasticciaccio. E se il romanzo può considerarsi in ciò, secondo lo stesso Gadda, <i>letterariamente concluso</i>, perché <i>il poliziotto capisce chi è l'assassino e questo basta</i>, in esso però </span><span style="font-family: Calibri;">ogni ipotesi, ogni deduzione, per ben congegnata risulta offrire un punto debole, <i>come una rete che si smaglia. E il pesciolino... addio! Il pesciolino della "ricostruzione" impeccabile</i>. Nella ricostruzione dei fatti, quello spirito o demone che martella nelle tempie di chi indaga, le somme non si tirano a ragione, </span><span style="font-family: Calibri;">il colpevole non è smascherato. Questo </span><span style="font-family: Calibri;">infrangere lo schema del thriller, questa negazione e quasi dissoluzione parodica di un genere, è </span><span style="font-family: Calibri;">l'equivalente luogo della scrittura di un mondo la cui ragione è debilitata.</span></p><p><span style="font-family: Calibri;">Altro aspetto interessante del romanzo è la scelta del dialetto, di uno strumento linguistico parlato o vissuto che per Gadda rappresenta, sottolinea la nota conclusiva del volume, <i>un'insopprimibile esigenza etica e gnoseologica, in cui si fondono ansia di verità, affermazione della propria "autonomia del discernere", vocazione antiaccademica e sfiducia nelle possibilità della lingua-codice</i>. In una breve nota in risposta a un'inchiesta del 1956 su <i>Perché cinema e radio e scrittori ci parlano in romanesco?</i>, Gadda argomenta:</span></p><p><span style="font-family: Calibri;"></span></p><blockquote>Il romanesco ci ha offerto quella vivezza pittorica, quei liberi toni del parlato, quell'humor che arricchiscono di armoniche sapienti e profonde lo schematismo cachettico delle idee seriose.</blockquote><p></p><p><span style="font-family: Calibri;">Ecco quindi giustificato un espressionismo linguistico fatto di alterazione di s in z, rafforzamento delle consonanti iniziali, raddoppiamento intervocalico, rotacismo e voci tipicamente dialettali.</span></p>niccehttp://www.blogger.com/profile/12884567277362765310noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8031468922064277370.post-66283497685880595272022-01-24T20:15:00.000+01:002022-01-24T20:15:14.122+01:00la morte del tempo [2]<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjjgV0_zzx3lgwGCP4SIvO3QYJoGuqXwoeGsrIMpOgYour7CmdMKb-1toSz_k3A1Z5qUCjtCdfHyymlHGgtLZ-LM6yD3FW-gAwzyMsKJKT3Nt4WuPRKsIXOPDwvjyvRAbkUb2ogCnkCD8k_6Ub--NcXw7_en6p3TLEnMY172ZALVSFf8Lg2z3mmNaMdYw=s845" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="845" data-original-width="536" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjjgV0_zzx3lgwGCP4SIvO3QYJoGuqXwoeGsrIMpOgYour7CmdMKb-1toSz_k3A1Z5qUCjtCdfHyymlHGgtLZ-LM6yD3FW-gAwzyMsKJKT3Nt4WuPRKsIXOPDwvjyvRAbkUb2ogCnkCD8k_6Ub--NcXw7_en6p3TLEnMY172ZALVSFf8Lg2z3mmNaMdYw=w254-h400" width="254" /></a></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;"><i>Saturno devorando a su hijo</i> è una delle quattordici <i>Pinturas negras</i>, realizzate da <b>Francisco Goya</b> nella sua residenza di campagna fra la fine del 1820 e la metà del 1823. Un incubo denso di misteri, come ebbe a definirlo Baudelaire. Un'icona che evoca potentemente il legame inscindibile fra il tempo e la morte.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;"><br /></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;">Le <i>Pinturas negras</i> hanno esercitato una grande influenza nella nascita e nello sviluppo dell'arte moderna. Del ciclo si è detto che esprime lo sconforto e la depressione personale dell'artista, alle prese con i malanni dell'età avanzata e con più generali condizioni di salute precarie, la delusione e l'allarme per l'orientamento autoritario del nuovo corso assunto dalla monarchia spagnola, l'inclinazione a tradurre in immagini gli incubi connessi con l'approssimarsi della morte.<br />Si deve riconoscere che mentre nessuna delle interpretazioni ora accennate sembra essere totalmente convincente, motivi quali quelli richiamati, spesso fra loro intrecciati, si possono effettivamente cogliere. Un comune denominatore può essere certamente individuato in quella tonalità emotiva dei dipinti, ottenuta facendo ricorso a una tecnica particolare e inconfondibile: bianchi sporchi, amalgamati a neri spessi come catrame, ocre fangose, violenti sfregi di rosso e giallo.<br />Altra caratteristica comune è la rottura dei tradizionali schemi rappresentativi ispirati all'ideale delle "belle forme". Figure deformate, corpi smembrati, sfondi tenebrosi, dettagli raccapriccianti.<br />Il baricentro del programma iconografico soggiacente alle <i>Pinturas</i> è costituito dalla raffigurazione di <i>Saturno</i>, come divinità della malinconia e della vecchiaia. Un Saturno col quale si identificava lo stesso Goya, o col quale l'artista intendeva stigmatizzare gli agenti dell'<i>Ancien Régime</i>. Un Saturno divoratore e al tempo stesso divorato, disperato e furente, angosciato e terrificante, spietato carnefice e insieme patetica vittima. Un Saturno attraversato da una violenza irrefrenabile, e insieme disarmato nell'ossuta vecchiezza delle membra. Un Saturno - infine - consumato da ciò che per oltre due millenni e mezzo era stato il suo ruolo di implacabile consumatore.</span></div><div style="text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: Calibri;"><br /></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjT3CgSZFM-t1kQVqF3Z0Ms_wgNI4_czQaDvSJ2RDZSMxW1d1cvtFan45z3BGs2EMlvBFFVX5DXJGA62HJMoMNU73_tY5EPJtio1snla4W-GIKJzwSXStQQdVgEqRWQX4oCPH4nzSOrX7u2tqTxlsBK8itFmOiFhBp8x9ymIOu_t0FI5IsALWX-Xkusow=s600" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><span style="font-family: Calibri;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="437" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjT3CgSZFM-t1kQVqF3Z0Ms_wgNI4_czQaDvSJ2RDZSMxW1d1cvtFan45z3BGs2EMlvBFFVX5DXJGA62HJMoMNU73_tY5EPJtio1snla4W-GIKJzwSXStQQdVgEqRWQX4oCPH4nzSOrX7u2tqTxlsBK8itFmOiFhBp8x9ymIOu_t0FI5IsALWX-Xkusow=w291-h400" width="291" /></span></a></div><span style="font-family: Calibri;">Del dipinto intitolato <i>Saturno devorando a su hijo</i>, si conoscono due precedenti importanti. Il primo è un disegno a matita realizzato dallo stesso artista spagnolo. Il secondo è un quadro di Peter Paul Rubens risalente al 1636, al quale Goya si sarebbe parzialmente ispirato, o che comunque avrebbe avuto la possibilità di vedere. </span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;">Molto probabilmente il disegno precede il dipinto, anche se le differenze sono tali da far escludere che si tratti di uno schizzo preparatorio della <i>pintura</i>. Va in ogni caso sottolineato un aspetto che le accomuna, e nel contempo rende entrambe irriducibili ai moduli di rappresentazione tradizionali di Kronos: il dio non è accompagnato da nessun simbolo temporale, né da alcun altro segno convenzionale di riconoscimento. Salvo uno: il pasto cannibalico.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;">Già realizzando il disegno, dunque, Goya rompe radicalmente con la tradizione iconografica relativa a Saturno e ce lo presenta nella sola dimensione del dio cannibale.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;">In entrambe le opere emergono due rilevanti "anomalie". La prima riguarda la mancanza della falce, o di qualsiasi altro strumento che possa svolgere una funzione analoga. La seconda riguarda specificamente l'immagine di Saturno che divora.</span></div><div style="text-align: left;"><blockquote><span style="font-family: Calibri;">Tutte le incisioni, compreso il quadro di Rubens, rappresentano i figli del dio come bambini quasi neonati, secondo quanto si ritrova nella narrazione di Esiodo. Goya, al contrario, introduce una figura giovanile che in nessun modo può essere qualificata come un bambino (Bozal, <i>Pinturas negras</i>).</span></blockquote></div><div style="text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhBI1ZctomEkW6h6E4ir0bhPH5SXyF2IglG1kdNZ9c1eEH_oJhEYOVZBXHyURgh2nbg5cK8yapUjMO3kwtPE8we_5qWihq1hNjNe-pMNdiYBKRp9DK2APXuWSvFy9Ywa9p0e8iybzijUoWp1LA7n2zkmAuGUQloY2zIY42CrXQeAdkAD0Su5_lilo_SUQ=s474" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: Calibri;"><img border="0" data-original-height="474" data-original-width="474" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhBI1ZctomEkW6h6E4ir0bhPH5SXyF2IglG1kdNZ9c1eEH_oJhEYOVZBXHyURgh2nbg5cK8yapUjMO3kwtPE8we_5qWihq1hNjNe-pMNdiYBKRp9DK2APXuWSvFy9Ywa9p0e8iybzijUoWp1LA7n2zkmAuGUQloY2zIY42CrXQeAdkAD0Su5_lilo_SUQ=w400-h400" width="400" /></span></a></div><span style="font-family: Calibri;">Si può segnalare un primo e fondamentale aspetto relativo al <i>Saturno</i> raffigurato da Goya, vale a dire la discontinuità rispetto a una lunga e sostanzialmente ininterrotta tradizione iconografica. L'artista spagnolo converte Saturno in un vecchio che divora un giovane, in una frenesia orgiastica che deforma il volto e tutto il suo corpo. Siamo dunque in presenza di una figura spogliata di ogni riferimento meramente metaforico, non più destinata a rinviare ad altro, non investita di altro significato che non sia quello che il dipinto mostra in tutta la sua feroce evidenza: un uomo vecchio che divora il corpo di una giovane donna. Nel <i>Saturno</i>, Goya ha aperto un varco verso l'unico autentico "sfondo" - il nulla che la grande arte occidentale, nelle sue espressioni più lucide, aveva presentato al di sotto della messa in scena delle figure.</span></div><blockquote><span style="font-family: Calibri;">È questo il senso, ciò che resta del senso, del <i>Saturno</i>. È sorto ciò che sta al di sotto del linguaggio e del pensiero, al di sotto del loro mondo e delle loro illusioni, e tutto ciò non è altro che il rapporto fra preda e predatore, la vita che ha l'unica esigenza di distruggere la vita (Bonnefois, <i>Goya, le pitture nere</i>).</span></blockquote><div><span style="font-family: Calibri;">In Goya <i>l'idea nasce a partire dall'immagine</i> e per questa ragione è più difficile da cogliere. L'anteriorità dell'immagine rispetto al concetto balza evidente dal ciclo delle <i>Pinturas negras</i>, e in particolare dal <i>Saturno</i>. Del dipinto sono più le cose che ignoriamo, o comunque controverse, rispetto a ciò che si può considerare accertato: non sappiamo, anzitutto, quale fosse il titolo posto dall'autore; di conseguenza non possiamo neppure essere certi di ciò che il dipinto raffiguri. </span></div><div><span style="font-family: Calibri;">Nel tentativo di ritrovare il bandolo di una matassa assai intricata, a risultati significativi è possibile pervenire mettendo a <a href="http://popfilosofico.blogspot.com/2022/01/la-morte-del-tempo.html">confronto l'opera di Hogarth</a> e quella attribuita a Goya. Il percorso concettuale che esse descrivono è esattamente l'uno l'opposto dell'altro. L'artista inglese ricapitola e accumula, con accuratezza perfino puntigliosa, tutti i dettagli che, sotto il profilo storico, sono stati aggiunti per descrivere il processo che conduce da Kronos alla morte attraverso <i>chronos</i>, quasi a volersi assicurare che il "messaggio" giunga forte e chiaro.</span></div><div><span style="font-family: Calibri;">Nulla di questo ritroviamo nel dipinto di Goya. La cura posta da Hogarth nell'accumulazione pedante dei simboli del tempo si rovescia nella scelta di cancellarli altrettanto meticolosamente tutti. Ciò che balza fuori dall'opera con devastante incisività è il pasto cannibalico. Di ciò "parla" questa sconvolgente <i>pintura</i>.</span></div><div><span style="font-family: Calibri;"><br /></span></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiriZQ2ZDVUuuHjWzNKMaXHi5BDC9MGSBSnDRqS2nS79EcTK34iIhr0Zc8qIjmUH8It2VfEe8sPpWYr5R8t1yObwxlOaS4Cv62uD-w-yWjdtvY9ldbSGY5i1eQM9itDKWVwQLi0p1P7KnfmGQ6mNllyfn2h6LuND8VK24ge1KMKIX_G0PD3g0ZzxYtihw=s336" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><span style="font-family: Calibri;"><img border="0" data-original-height="336" data-original-width="150" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiriZQ2ZDVUuuHjWzNKMaXHi5BDC9MGSBSnDRqS2nS79EcTK34iIhr0Zc8qIjmUH8It2VfEe8sPpWYr5R8t1yObwxlOaS4Cv62uD-w-yWjdtvY9ldbSGY5i1eQM9itDKWVwQLi0p1P7KnfmGQ6mNllyfn2h6LuND8VK24ge1KMKIX_G0PD3g0ZzxYtihw=w179-h400" width="179" /></span></a></div><span style="font-family: Calibri;">In altre opere, a parte il <i>Saturno</i>, non sono pochi né di scarso significato gli elementi propriamente "saturnini", i quali confermano dunque un interesse non effimero né superficiale per la figura della divinità greco-latina. È il caso di <i>Dos frailes</i>, dove una figura demoniaca e cadaverica parla all'orecchio di un anziano provvisto di una folta barba bianca, il quale cammina sostenendosi con un bastone, manifestando chiaramente la sua età avanzata e la sua sordità. Questa immagine <i>costituisce la rappresentazione pittorica tradizionale del dio Kronos ed è stata altresì generalmente interpretata come autoritratto di Goya ormai decrepito e incerto nel camminare</i> (Hervàs Leòn, <i>La Quinta de Goya y sus Pinturas Negras</i>).</span></div><div><span style="font-family: Calibri;">Un'immagine molto simile la ritroviamo in un disegno nel quale l'artista ha verosimilmente ritratto se stesso appoggiato a due bastoni, impossibilitato a camminare da solo, aggravato da un'età molto avanzata e da una salute malferma. <i>Aun aprendo</i> - "ancora imparo". Il vecchio cadente, incurvato sotto il peso degli anni, quasi nascosto alla vista da una grande chioma bianca ricongiunta a un'imponente barba incolta, di cui si coglie l'estrema difficoltà nel camminare - <i>ancora impara</i>.</span></div><div><span style="font-family: Calibri;">Di questa citazione è stato ricostruito il percorso che, con tutta probabilità, mette in relazione Goya con la pittura dell'età moderna, dal Cinquecento (e forse anche molti secoli prima) fino alla fine del XVIII secolo.</span></div><div><blockquote><span style="font-family: Calibri;">Il titolo <i>Ancora imparo</i> ha la sua origine nella sentenza utilizzata da Platone e da Plutarco, mentre l'immagine di un vecchio appoggiato a due bastoni è in relazione con la stampa omonima di Girolamo Fagiuoli. Nella prima metà del secolo XVI era un luogo comune rappresentare Cronos come un anziano barbuto, vestito con una tunica e appoggiato a due bastoni, come risulta da una stampa di Marcantonio Raimondi. Più vicina nel tempo è la stampa di William Blake che illustrava il libro di Henry Füssli <i>Lectures on Painting</i> che Goya poteva conoscere. In essa si mostra Michelangelo Buonarroti appoggiato a un bastone (Matilla, <i>Aun aprendo</i>, in <i>Goya: Luces y Sombras</i>).</span></blockquote><span style="font-family: Calibri;"></span></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgj4mVBUJ9qRuP40qAc1J0GNROIbxbKDW-RKEg75thILw6mSKA6VUmDYNvISrpzH1HB1_0zpiotmL4U4JF5GSSS0amKumkPGTS_trTH9gDVeUGF1S6gZtfh8VRXdvFC7RGsRAJQltVqbkTPJHZ4EcKWbQKwrXh06hMv3t_PZtxZ7fvfXDOnFZaO0sbP9Q=s700" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: Calibri;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="501" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgj4mVBUJ9qRuP40qAc1J0GNROIbxbKDW-RKEg75thILw6mSKA6VUmDYNvISrpzH1HB1_0zpiotmL4U4JF5GSSS0amKumkPGTS_trTH9gDVeUGF1S6gZtfh8VRXdvFC7RGsRAJQltVqbkTPJHZ4EcKWbQKwrXh06hMv3t_PZtxZ7fvfXDOnFZaO0sbP9Q=w286-h400" width="286" /></span></a></div><span style="font-family: Calibri;">La ricostruzione è certamente utile, ma rischia di essere fuorviante se non viene completata con il riferimento alla fonte originaria. La citazione è completa solo se non si tiene separato il disegno dalla citazione, perché essi costituiscono un unico lemma, semplicemente articolato in una parte disegnata e in una parte scritta.</span></div><div><span style="font-family: Calibri;">La frase riportata, di per sé, è solo la metà di una sentenza, che non risale affatto (se non in maniera derivata) a Platone, il quale si limita a citare la fonte originaria, e cioè Solone. L'espressione <i>aun aprendo</i> traduce <i>aei pollà didaskomenos</i> - "sempre molte cose imparando". Ma nella formulazione ellittica implicitamente rinvia a ciò che precede. E ciò che precede è <i>gherasko</i> - "invecchio". Il disegno va "letto" nella relazione organica fra l'immagine e la citazione: Goya cita <i>per intero</i> la sentenza di Solone, solo che la scinde in due linguaggi diversi e complementari, affidando alle parole scritte il "sempre imparando", e all'immagine del vecchio la malinconica confessione: "invecchio".</span></div><div><span style="font-family: Calibri;">Anche per questa via è dunque possibile escludere che nel <i>Saturno</i> l'artista spagnolo abbia semplicemente "dimenticato" di raffigurare gli attributi che infallibilmente accompagnano la rappresentazione del dio. Se nel dipinto non compaiono i tradizionali simboli temporali, essi mancano perché una loro eventuale presenza renderebbe meno leggibile la chiave di interpretazione di Kronos-<i>chronos</i> che Goya intendeva rendere evidente. Mancano perché, ciò che resta, e balza dunque in primo piano, è un aspetto che non è riconducibile alla pluralità indistinta dei segni che scandiscono il passaggio da Kronos a <i>chronos</i> e poi alla morte.</span></div><div><span style="font-family: Calibri;">Per Goya, Saturno è il dio cannibale, il tempo che tutto tutto divora e consuma. L'acquaforte di Hogarth segna il culmine di un processo di accumulazione di simboli temporali che hanno condotto al compimento - ma insieme anche alla dissoluzione - dell'immagine tradizionale del tempo. Dopo quell'esito, non è più possibile <i>ornare</i> l'immagine del tempo con attributi che ne addolciscano la forza devastatrice. Saturno compare in tutta la selvaggia ferocia del <i>tempus edax</i>, che non lascia alcuno scampo. Nessuna <i>divagazione</i>, nessun cedimento all'eufemismo della metafora, ma il tempo come potenza instabile e distruttiva, rappresentato nella sua brutale quintessenza del divoratore.</span></div><div><span style="font-family: Calibri;"><br /></span></div><div><span style="font-family: Calibri;">Ma il disegno esige un ulteriore approfondimento sul piano specificamente filosofico. Con uno scatto d'orgoglio, quel vecchio rivendica di essere ancora capace di imparare. Anzi, nella connessione fra il disegno e la citazione, Goya ci dice che <i>la sofferenza gli ha insegnato</i>.</span></div><div><span style="font-family: Calibri;">Che la <i>sofferenza</i> [<i>pathos</i>] possa produrre <i>conoscenza</i> [<i>mathos</i>] è convinzione che affiora ripetutamente. Lo afferma Eschilo (<i>Agamennone</i>), ma una convinzione analoga è espressa anche da Sofocle (<i>Elena</i>, <i>Edipo re</i>). Il <i>pathos</i> è dunque il tramite di un'esperienza che conduce verso un arricchimento della conoscenza, come già aveva solennemente affermato Erodoto, sostenendo che le sofferenze producono conoscenze.</span></div><div><span style="font-family: Calibri;">Se davvero il vecchio raffigurato nel disegno corrisponde a un autoritratto; se l'immagine appena delineata di un personaggio che procede con fatica appoggiandosi a due bastoni e che di sé dice di aver imparato coincide con quella dell'artista spagnolo - questo è ciò che Goya <i>ha imparato</i> e vuole trasmetterci. Egli ha "imparato" che il tempo consuma e distrugge tutto ciò che ricade sotto il suo dominio, fino al punto da divorare ciò che ha generato. A differenza di quello descritto da Hogarth, il <i>Kronos</i> di Goya <i>lotta disperatamente per sopravvivere. Gli occhi ne dicono la follia, per sopravvivere distrugge ciò che soltanto ne può assicurare la continuità. Un impulso di morte che si esprime in disperata e cieca volontà di vita</i> (Cacciari).</span></div><div><span style="font-family: Calibri;"><br /></span></div><div><span style="font-family: Calibri;">[Umberto Curi, <i>La morte del tempo</i>]</span></div>niccehttp://www.blogger.com/profile/12884567277362765310noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8031468922064277370.post-67514319816391524422022-01-21T16:46:00.000+01:002022-01-21T16:46:04.856+01:00la morte del tempo<p><span style="font-family: Calibri;">Il pensiero greco conosce due modi distinti per definire il tempo (Per la verità, oltre ai termini <i>aion</i> e <i>chronos</i>, di cui ora si dirà più ampiamente, nei testi letterari e filosofici greci antichi si possono ritrovare altre due accezioni diverse, corrispondenti a categorie temporali. <i>Kairos</i> è il termine con cui ci si riferisce a una dimensione qualitativa del tempo. Coincide dunque con quello che si potrebbe chiamare il "momento opportuno", il "tempo debito", nel quale la continuità <i>chrono</i>logica si interrompe per l'irruzione di un "istante" diverso e più "intenso" rispetto ai precedenti. <i>Eniautos</i>, infine, è il tempo ciclico, il "grande anno", un periodo di tempo relativamente lungo, nel quale si ripresentano gli stessi avvenimenti): da un lato esso è qualificato come <i>aion</i>, il "sempre-essente", la "durata" senza limiti, che non ha né principio né fine. Dall'altro lato esso è <i>chronos</i>, grandezza misurabile, forma temporale del divenire e del perire.</span></p><div><span style="font-family: Calibri;">Per Anassimandro la nascita e la morte degli enti, il ciclico compimento di una giustizia universale che reintegra l'unità originaria dissipata dalla molteplicità del divenire, avvengono secondo l'ordine del tempo (<i>chronos</i>). </span></div><div><span style="font-family: Calibri;">Per Eraclito il tempo è <i>aion</i>, ed è un fanciullo che si comporta come tale, e dunque gioca disponendo le pedine sulla scacchiera. </span></div><div><span style="font-family: Calibri;">Questa scissione fra tempo aionico e tempo cronico, tra la durata "sempre-essente" dell'essere e l'irreversibilità del divenire, è riconfermata nel mito cosmologico descritto nel <i>Timeo</i> platonico, dove <i>aion</i> è la forma del tempo riferita all'essere, e <i>chronos</i> è il tempo attribuito al divenire.</span></div><div><span style="font-family: Calibri;"><br /></span></div><div><span style="font-family: Calibri;">Nelle fonti più antiche che ne hanno tramandato la figura, Kronos è provvisto di un'intelligenza contorta e terribile, anzi, la cosa più terribile. I due aggettivi formano in realtà un'endiadi. Egli è infatti terribile, <i>perché</i> la sua <i>metis</i> non è lineare, non ha la trasparenza del <i>logos</i>, né il "naturale" orientamento verso il bene che è proprio della <i>sophia</i>.</span></div><div><span style="font-family: Calibri;">Una saggezza "ricurva", una falce affilata, la propensione a cibarsi di carne umana. Con questi attributi egli comparirà frequentemente nelle raffigurazioni rinascimentali e barocche, fino alle soglie dell'età contemporanea.</span></div><div><span style="font-family: Calibri;"><br /></span></div><div><span style="font-family: Calibri;">Nella lingua greca antica, Kronos si scrive con la lettera <i>kappa</i>. Con una leggera differenza (all'ascolto, quasi impercettibile) nella lettera iniziale - una <i>chi</i>, anziché una <i>kappa</i> - si scriveva il termine impiegato per indicare il tempo - <i>chronos</i>. La fortuita somiglianza fra le parole venne adottata a prova dell'identità reale fra le due concezioni, che per la verità avevano alcuni tratti in comune.</span></div><div><span style="font-family: Calibri;">Poco alla volta, soprattutto a partire dal IV e dal V secolo dopo Cristo, Kronos viene raffigurato attraverso simboli che hanno un evidente significato temporale, mentre anche i tratti originali vengono interpretati come simboli del tempo.</span></div><div><blockquote><span style="font-family: Calibri;">Il falcetto, tradizionalmente spiegato come utensile agricolo o strumento di castrazione, giunse a interpretarsi come simbolo dei <i>tempora quae sicut falx in se recurrunt</i>, e la favola mitica, che egli avesse divorato i suoi figli, significava che il Tempo divora tutto ciò che ha creato (Panofsky, <i>Il Padre Tempo</i>, in <i>Studi di iconologia</i>).</span></blockquote></div><div><span style="font-family: Calibri;">Kronos diventa <i>chronos</i>. In quanto è <i>edax rerum</i>, divoratore di tutto ciò che ha creato, il tempo coincide con l'immagine di Kronos che divora i suoi figli. Analogamente, la falce, "ricordo" dell'evirazione inflitta a Urano, è insieme anche lo strumento che richiama l'attività agricola ed è inoltre il simbolo della ricorrenza curvilinea del tempo.</span></div><div><span style="font-family: Calibri;">Ma poiché la morte era rappresentata con una falce, si realizza una sovrapposizione. Appropriatosi delle qualità di Kronos, il tempo entra così in una relazione sempre più stretta con la morte.</span></div><div><blockquote><span style="font-family: Calibri;">Questa è dunque l'origine della figura di Padre Tempo quale la conosciamo. Mezzo classica e mezzo medievale, questa figura illustra tanto la grandiosità astratta di un principio filosofico, quanto la voracità maligna di un demone distruttivo, e appunto questa ricca complessità dell'immagine nuova spiega il frequente apparire e il diverso significato del Padre Tempo nell'arte rinascimentale e barocca. Verso gli ultimi anni del XV secolo, le rappresentazioni della Morte cominciano a desumere la caratteristica clessidra e talvolta perfino le ali. Il Tempo a sua volta poteva raffigurarsi come ministro della morte, che egli provvede di vittime, o come demone dai denti di ferro ritto in mezzo alle rovine (<i>ibid</i>.).</span></blockquote></div><div><span style="font-family: Calibri;">Ciò che concettualmente era ancora possibile - la distinzione fra la morte e il tempo e fra questo e Kronos-Saturno - sfuma dal punto di vista iconologico. Dall'immagine del tempo si prelevano le ali, da quella di Saturno l'aspetto tetro e decrepito, e inoltre alcuni tratti strettamente saturnini, come il falcetto e il motivo cannibalico.</span></div><div><span style="font-family: Calibri;"><br /></span></div><div><span style="font-family: Calibri;">La miseria dell'esistere, l'<i>evanescenza</i> che nulla risparmia e da cui nulla può sottrarsi. Testimonianza di questo modo di concepire la condizione dei viventi è la ricca e diversificata tradizione iconologica fiorita in età rinascimentale e moderna sul tema della <i>vanitas vanitatum</i>.</span></div><div><blockquote><span style="font-family: Calibri;">Il termine "Vanitas" come distintivo di una categoria particolare di Nature morte è già presente negli inventari del primo Seicento rispetto a una classificazione che comprendeva in un primo tempo gli oggetti preminenti nella composizione e in un secondo tempo classificava genericamente la pittura come <i>Stilleleben</i>, <i>Vie coye</i>, <i>Natura in posa. </i>Sulla fortuna, sull'estensione e sulla resistenza del termine "Vanitas" ha giocato un ruolo fondamentale il riferimento al passo dell'Ecclesiaste (Veca, <i>Vanitas. Il simbolismo del tempo</i>).</span></blockquote></div><div><span style="font-family: Calibri;">La traduzione latina favorisce una lettura dell'espressione chiave della Bibbia secondo un'accezione solo parzialmente corrispondente al significato originale. Il sintagma del testo biblico - <i>hevel hevelim</i> - una volta reso col latino <i>vanitas vanitatum </i>assume talora un'intonazione moraleggiante che appare riduttiva e unilaterale. Ciononostante, almeno alcune opere dell'arte figurativa, fra il XIV e il XVIII secolo, esprimono incisivamente il "senso" di quel discorso, nel momento in cui rappresentano la realtà vivente nei termini di un processo di universale dissoluzione, come irreversibile e irrimediabile <i>venir meno</i> dell'essere.</span></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgdJXoXYLzjihWX1u_S2AOEo8QKW7J12LstVOC3f1RV_XY1osIOLgLDyg0vkQp2wzuVKJrBS0ywpeHR0CJ2aN-ehPYbtn7z5eBOl7pei7MIzF-KNcqK4OQmM0rN0A0xMju4Ev4yYzTky3RayIosVCGK_mYUKM125tRYvh8vMGbclpn_v-ZjGO2IOYnyXQ=s252" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: Calibri;"><img border="0" data-original-height="200" data-original-width="252" height="317" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgdJXoXYLzjihWX1u_S2AOEo8QKW7J12LstVOC3f1RV_XY1osIOLgLDyg0vkQp2wzuVKJrBS0ywpeHR0CJ2aN-ehPYbtn7z5eBOl7pei7MIzF-KNcqK4OQmM0rN0A0xMju4Ev4yYzTky3RayIosVCGK_mYUKM125tRYvh8vMGbclpn_v-ZjGO2IOYnyXQ=w400-h317" width="400" /></span></a></div><span style="font-family: Calibri;">Fra esse, una delle più suggestive è certamente il <i>tailpiece</i> (ultimo foglio di un'edizione completa delle opere grafiche) col quale <b>William Hogarth</b> suggella la sua fertile produzione grafica e pittorica. Al centro di questa incisione campeggia una pipa appena rotta, dalla quale esce ancora una nuvoletta di fumo in cui è iscritta la parola "Finis" (a questo proposito, pur non riferendosi all'incisione di Hogarth, Veca osserva che <i>se teniamo conto che il termine ebraico corrispondente al latino </i>Vanitas<i> (</i>Hével<i>) significa Fumo, Vapore e si fa riferimento alla consueta presenza di bugie, faci o braceri fumiganti che possiamo riscontrare nella produzione moraleggiante cinquecentesca e secentesca la coincidenza fra testo biblico e rappresentazione plastica rasenta l'ovvietà dell'evidenza</i>). Colui che fumava giace riverso, con lo sguardo rivolto verso l'alto, e reca i segni caratteristici con i quali viene rappresentato il tempo: è un vecchio alato, accompagnato da una falce e da una clessidra.</span></div><div><span style="font-family: Calibri;">Intorno, una serie di altri oggetti, indicanti tutti la morte, la distruzione, la fine: il carro del sole che precipita, il testamento che nomina quale esecutore delle ultime volontà il Chaos, testimoni Cloto, Lachesi e Atropo, una colonna rotta, le fiamme che consumano uno degli ultimi dipinti dello stesso pittore. E ancora: il borsello logoro e consunto, l'arco ormai inservibile di Eros, la corona in frantumi, la tavolozza e il fucile, simboli rispettivamente dell'arte e della guerra, infranti, la campana incrinata.</span></div><div><span style="font-family: Calibri;">Sulla sinistra dell'incisione, proprio ai piedi della pietra sepolcrale, <i>un documento con grande sigillo avvisa della bancarotta della Natura; il sigillo poggia su un libro aperto sull'ultima pagina: </i>exeunt<i> </i>omnes<i> - la commedia è finita, l'</i>all the world's a stage<i>, quella scena che è la terra intera, ha finalmente terminato la sua </i>dira cupido <i>di finzioni, apparenze, idoli, sogni, contese</i> (Cacciari, <i>La morte del tempo</i>).</span></div><div><span style="font-family: Calibri;">Tutti i dettagli di questa composizione recano i segni di una <i>immane ruina</i>, di una dissoluzione che investe e distrugge ogni cosa, umana e naturale. Alle <i>imprese</i> del tempo, corrisponde qui la morte del tempo stesso. Anche la falce di Kronos è rotta, come rotto è pure l'astuccio della clessidra, dalla quale esce la sabbia, e rotta è la pipa ancora fumante. Muore il tempo stesso, e con esso tutto ciò che esiste in questo mondo.</span></div><div><span style="font-family: Calibri;">Il titolo dell'acquaforte di Hogarth, <i>The Bathos</i>, riprende la definizione fornita da Alexander Pope <i>(Peri Bathous, Or the Art of Sinking in Poetry</i>), e poi più volte ricorrente nelle controversie sull'arte del XVIII secolo in Inghilterra (al significato originario di "profondità", col quale compare nella lingua greca, Pope sostituisce un'accezione spregiativa: <i>bathos</i> è la trasformazione del sublime in triviale e lo "sprofondamento", di cui dice il verbo <i>to sink</i>, mentre apparentemente riprende il termine greco originario, in realtà allude a un "andare a fondo", "cadere in basso", che è in qualche modo l'opposto dell'accezione originaria). Attraverso un rovesciamento, nel caso dell'acquaforte di Hogarth, <i>Bathos</i> indica soltanto sentimentalità "facile", una pateticità superficiale e infine ridicola. Le cose che pretendono di apparire sublimi, in realtà suscitano la derisione, mentre il sarcasmo dell'artista nei confronti della propria composizione comnprende in sé <i>quella rivolta all'idea stessa di un Sublime nelle cose del mondo, capace di non finire preda della ruota vorace del tempo</i> (Cacciari).</span></div><div><span style="font-family: Calibri;">In altre parole, <i>un vecchio tema di elegie poetiche sul carattere transitorio di tutte le cose, sul potere che ha il tempo di livellare, logorare, abbassare tutto, si è trasformato in un quadro</i> (Sedlmayr, <i>La morte del tempo</i>). Indubbiamente, in <i>The Bathos</i> si possono ritrovare, raffigurati analiticamente, in maniera perfino puntigliosa, tutti i segni impressi dall'azione del <i>tempus edax</i>, i trofei accumulati da Kronos, culminati con l'immagine che si scorge sul fondo del quadro, la forca da cui penzola l'<i>ultimo uomo</i>, richiamata dalla quasi identica struttura di sostegno dell'insegna che campeggia al centro, recante la scritta "Alla fine del mondo". Ma ciò che caratterizza peculiarmente questa originale variante della tematica tradizionale della <i>vanitas vanitatum</i> è la rappresentazione <i>riflessiva</i> del potere distruttivo del tempo, il fatto che lo stesso Kronos sia coinvolto direttamente nell'<i>immane ruina</i> che egli stesso ha provocato. La morte <i>del</i> Tempo - genitivo oggettivo - è il tema principale. L'apocalisse a cui allude l'incisione non reca un nuovo cielo o una nuova terra; essa non <i>rivela</i> altro che non sia <i>la nullità dell'ente come tale, la sovranità assoluta del Nulla sull'ente</i> (Cacciari).</span></div><div><span style="font-family: Calibri;"><br /></span></div><div><span style="font-family: Calibri;">[Umberto Curi, <i>La morte del tempo</i>]</span></div>niccehttp://www.blogger.com/profile/12884567277362765310noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8031468922064277370.post-34386888390177906052022-01-13T17:32:00.001+01:002022-01-13T17:32:13.375+01:00hulk (tubas)<div style="text-align: left;"> <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEglTeUo_lv3VS8SB5BntkVDc7O6AIp8ODgjrFvuZDqRuocVlqrq2xKtQN9CDWndg3XLPFiEE5s8hJxFX39M9Jh2pxqBKxchPiIoa3350BDinhRWgyqhoyADaerFgAHahFBczdoaZCMe1XeukdvjcsXhBLkPcdjoRN3QKeU3zVRVkYvSpsZpoRpoyog8gg=s3840" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="3840" data-original-width="3028" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEglTeUo_lv3VS8SB5BntkVDc7O6AIp8ODgjrFvuZDqRuocVlqrq2xKtQN9CDWndg3XLPFiEE5s8hJxFX39M9Jh2pxqBKxchPiIoa3350BDinhRWgyqhoyADaerFgAHahFBczdoaZCMe1XeukdvjcsXhBLkPcdjoRN3QKeU3zVRVkYvSpsZpoRpoyog8gg=w315-h400" width="315" /></a></div>Tra le opere più interessanti della <a href="http://popfilosofico.blogspot.com/2022/01/da-koons-nietzsche.html">mostra di <b>Jeff Koons</b> <i>Shine</i>, presso Palazzo Strozzi a Firenze</a>, c'è <i>Hulk (Tubas)</i>, della serie <i>Hulk Elvis</i>. Con questa serie Koons allarga la produzione dei suoi realistici gonfiabili in acciaio inossidabile colorato, brillante e riflettente a personaggi dei fumetti, perfetta espressione della cultura di massa già enfatizzata dalla Pop Art. </div><div style="text-align: left;"><blockquote>Sono lì per proteggere... ma allo stesso tempo possono diventare molto, molto violenti... Gli Hulk sono così: sono davvero simboli ad alto contenuto di testosterone.</blockquote></div><div style="text-align: left;">Come per il marinaio mangia-spinaci Popeye, del personaggio a Koons interessa la duplicità e la capacità di trasformazione. Come <i>Dolphin</i>, invece, anche la scultura di Hulk presenta un assemblaggio tra oggetti di materiali diversi, ovvero tra una replica in metallo di un gonfiabile del supereroe e una tuba a cinque campane in ottone. </div><div style="text-align: left;">La scelta del personaggio è anche legata a un ricordo di famiglia, all'immagine del figlio di Koons che davanti allo specchio prova la classica posa aggressiva del personaggio. Di quella posa Koons nota l'assonanza con la posa di Elvis Presley nelle serigrafie <i>Triple Elvis</i> che Andy Warhol realizza a partire dalle foto pubblicitarie per il film western del 1960 <i>Flaming Star</i>.</div><div style="text-align: left;"><blockquote>L'ho visto in piedi davanti a uno specchio, che guardava il suo corpo tutto intero per la prima volta... Mi ha ricordato l'Elvis di Andy Warhol. Era una questione di identità maschile.</blockquote></div><div style="text-align: left;">Hulk sembra rimandare, nel suo aspetto impetuoso, a un guerriero epico che fa la sua improvvisa comparsa sul campo di battaglia, un po' come Achille, il primo grande eroe della letteratura occidentale. E, come Achille, manifesta nei gesti la sua inclinazione all'ira funesta. Con un effetto sinestetico, la grande scultura di Koons pare emettere un terrificante urlo di battaglia, accompagnato dal fragore assordante degli strumenti a fiato. E, ancora come l'eroe omerico, anche l'Hulk di Koons ha un punto debole che lo rende umano: la valvola sul dorso, anch'essa perfettamente riprodotta, è il tallone d'Achille che ne attesta la fragilità.</div><div style="text-align: left;"><br /></div><div style="text-align: left;">Nelle sculture di questa serie, Koons utilizza un materiale classico come il bronzo, colorato poi con sorprendente realismo che fa apparire leggera e quasi aerea la invece pesante fusione metallica. La vivace policromia rimanda da una parte al tema della "parvenza", dall'altra alla cromia dei bronzi antichi con cui gli scultori ellenistici riuscivano a restituire effetti naturalistici che imitavano i colori della vita, oppure a ricreare effetti <i>shine</i>, lucenti, scintillanti e splendenti, come quelli dello scudo in bronzo di Achille descritti da Omero, scudo caratterizzata da prodigiosi effetti luminosi che lo fanno apparire come forgiato di pura luce, una luce che sembra irradiare anche dall'eroe che lo porta, rendendolo raggiante come un sole e conferendogli poteri soprannaturali in una trasformazione verso la trascendenza. Come avviene per Popeye o Hulk.<br /></div><div style="text-align: left;">I prodigi cromatici e luministici della scultura, così come gli effetti di trascendenza su chi ne viene a contatto, legano l'opera di Koons a questi altissimi precedenti.</div><div style="text-align: left;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEisRgc78RUosISMCHtI0ZyBPfZnlLntINoOKuThUx6jRoN1vROjaCvz50lMOcFY89_BCT396qG00YC-Wi3IM_D2vCEoTTwlpwO6EL91PsfUcxqA9g3Uv6GiKnqK5wYDpRlUsIy-bHit06r1GJOE_8WPWoQXgHG7PXOf7-iGhCsGJRD5564AvdEQIzMZ8Q=s255" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="255" data-original-width="198" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEisRgc78RUosISMCHtI0ZyBPfZnlLntINoOKuThUx6jRoN1vROjaCvz50lMOcFY89_BCT396qG00YC-Wi3IM_D2vCEoTTwlpwO6EL91PsfUcxqA9g3Uv6GiKnqK5wYDpRlUsIy-bHit06r1GJOE_8WPWoQXgHG7PXOf7-iGhCsGJRD5564AvdEQIzMZ8Q=w248-h320" width="248" /></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiopjSn0jJPbudIbpePGR8ltc6MjUxIk1vcpL9rwV6t5Pna91jR0WnqelsRZ-KuDchqzZUYfX4jVSE01h1xBUeUzOsEl84Cz3qNHVuSRb9DCwKZq2Jk6PdSdvvqY7HKmhk0hXFjpbF1pn-RPbqCdsaxNUGReD6al2V8tkeZLbx9TlKPqJWgsLNf0GMGFQ=s421" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="421" data-original-width="320" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiopjSn0jJPbudIbpePGR8ltc6MjUxIk1vcpL9rwV6t5Pna91jR0WnqelsRZ-KuDchqzZUYfX4jVSE01h1xBUeUzOsEl84Cz3qNHVuSRb9DCwKZq2Jk6PdSdvvqY7HKmhk0hXFjpbF1pn-RPbqCdsaxNUGReD6al2V8tkeZLbx9TlKPqJWgsLNf0GMGFQ=w243-h320" width="243" /></a></div></div><br /><br /><div style="text-align: left;"><br /></div>niccehttp://www.blogger.com/profile/12884567277362765310noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-8031468922064277370.post-75223001819122683382022-01-10T14:24:00.000+01:002022-01-10T14:24:39.077+01:00da koons a nietzsche<div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjWIuJInz9QKVIEsS0-Zirewxv4Tr8NlN8dGvPIwhvvj50tKkXa_H-Za5aUmHi8KSi7wkk5JrGsNtp1u-8NF7UJwOOJcfVN7Ud-8opFpWabbNjE6FFC4Jf2tE3imZYgH0s2zNnPJ2we6noz8uz9TUXwv44ZwT_mkwShFSiD__629F0IKr84Mo_xHc4Saw=s275" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="275" data-original-width="183" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjWIuJInz9QKVIEsS0-Zirewxv4Tr8NlN8dGvPIwhvvj50tKkXa_H-Za5aUmHi8KSi7wkk5JrGsNtp1u-8NF7UJwOOJcfVN7Ud-8opFpWabbNjE6FFC4Jf2tE3imZYgH0s2zNnPJ2we6noz8uz9TUXwv44ZwT_mkwShFSiD__629F0IKr84Mo_xHc4Saw=w266-h400" width="266" /></a></div>A dicembre ho organizzato una uscita didattica per portare le mie due classi quinte alla visita guidata della mostra, presso Palazzo Strozzi a Firenze, dell'artista contemporaneo <b>Jeff Koons</b>.<br />Uno degli interessi era la connessione dell'opera di Koons con la filosofia di <b>Nietzsche</b>, che l'artista stesso considera come uno dei riferimenti per la sua arte.<br /><br />A partire dal titolo della mostra, <i>Shine</i>. La brillantezza, la lucentezza. Ma anche allusione al pressoché omofono tedesco <i>schein</i>, che è il sembrare, quindi l'apparenza, la parvenza. Le opere di Koons sono spesso costituite da o contengono superfici lucenti, sculture in acciaio inossidabile colorato dall'effetto brillante e riflettente. Brillantezza e parvenza che possono rimandare all'idea nietzschiana. Che cos'è per il filosofo tedesco "parvenza" ce lo dice lui stesso nell'aforisma 54 del primo libro della <i>Gaia scienza</i>: </span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;"><blockquote>In verità, non l’opposto di una sostanza – che cos’altro posso asserire di una sostanza qualsiasi se non appunto i soli predicati della sua parvenza? In verità, non una maschera inanimata che si potrebbe applicare ad una x sconosciuta e pur anche togliere! Parvenza è per me proprio ciò che opera e vive, che si spinge tanto lontano nella sua autoderisione da farmi sentire che qui tutto è parvenza e fuoco fatuo e danza di spiriti e niente di più – che tra tutti questi sognatori anch’io, l’«uomo della conoscenza», danzo la mia danza; che l’uomo della conoscenza è un mezzo per prolungare la danza terrena e con ciò appartiene ai sovrintendenti alle feste dell’esistenza; e che la sublime consequenzialità e concomitanza di tutte le conoscenze è, forse, e sarà il mezzo più alto per mantenere l’universalità delle loro chimere di sogno e la generale comprensione reciproca di questi sognatori e con ciò appunto la durata del sogno.</blockquote></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;">Non una negativa superficialità o un'ingannevole apparenza, anzi <i>tutto ciò che è profondo ama la maschera</i>, sostiene sempre Nietzsche.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;"><br /></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhSjHJgo41KrzK0D_xcT0ToFlfzzQi6XVF0n1RHqwBwkgzT02m6pR-xV04u_TWdF-DlKGFvmC9AhiRIWGB4Hg6gwL94OIF_KqxevC7ZTZWdFaHwOF9JU_yzld3UZs6RaJ1V_2_MTgbZBJztfWcRx9B_LdjSC7DKrNChpnxDvE-5rZkQIrvC4OPn7_pMjg=s1320" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="742" data-original-width="1320" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhSjHJgo41KrzK0D_xcT0ToFlfzzQi6XVF0n1RHqwBwkgzT02m6pR-xV04u_TWdF-DlKGFvmC9AhiRIWGB4Hg6gwL94OIF_KqxevC7ZTZWdFaHwOF9JU_yzld3UZs6RaJ1V_2_MTgbZBJztfWcRx9B_LdjSC7DKrNChpnxDvE-5rZkQIrvC4OPn7_pMjg=w400-h225" width="400" /></a></div>In tutte queste s</span><span style="font-family: Calibri;">culture in acciaio colorato brillante e riflettente, n</span><span style="font-family: Calibri;">ella serie delle </span><i style="font-family: Calibri;">Gazing Ball </i><span style="font-family: Calibri;">con le sue sfere di vetro soffiato blu, questa parvenza lucente</span><span style="font-family: Calibri;"> riflette </span><span style="font-family: Calibri;">l'ambiente in cui le opere sono collocate e</span><span style="font-family: Calibri;"> lo spettatore che le sta guardando, includendoli nell'opera</span><span style="font-family: Calibri;">. Così, nessuno in realtà vedrà mai la stessa opera. Anche questo può far pensare a Nietzsche e a come, secondo la sua filosofia, </span><span style="font-family: Calibri;">non vi sia nulla di ultimo e definitivo, non si possa condividere la fiducia nell’esistenza di fatti incontrovertibili, perché il fatto è sempre qualcosa che prende forma soltanto all’interno del complesso processo interpretativo di volta in volta attuato dal soggetto conoscente (<i>Non esistono fatti, solo interpretazioni</i>), così che o</span><span style="font-family: Calibri;">gni conoscenza ha solo una natura prospettica (prospettivismo), perché legata al punto di vista del singolo soggetto conoscente, ai suoi particolari interessi e bisogni. E a ciò </span><i style="font-family: Calibri;">non esiste assolutamente scampo, né alcuna strada per scivolare e sgattaiolarsene via nel mondo reale! Siamo nella nostra rete, noi ragni, e qualunque cosa venga da noi imprigionata qua dentro, non la potremmo acchiappare se non in quanto è ciò che si fa appunto prendere nella nostra rete </i><span style="font-family: Calibri;">(</span><i style="font-family: Calibri;">Aurora</i><span style="font-family: Calibri;">).</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div>Ancora, infine, includendo lo spettatore nell'opera stessa, elevandolo alla dignità di evento estetico, l'arte di Koons gli svela il segreto </span><span style="font-family: Calibri;"><i>secondo cui ogni uomo è un miracolo irripetibile</i>, osa mostrare che nella propria </span><span style="font-family: Calibri;"><i>unicità egli è bello e degno di considerazione, nuovo e incredibile</i>.</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Calibri;"><blockquote>Ogni uomo in fondo sa benissimo di essere al mondo solo per una volta, come un unicum, e che nessuna combinazione per quanto insolita potrà mescolare insieme per una seconda volta quella molteplicità così bizzarramente variopinta nell’unità che egli è (<i>Schopenhauer come educatore</i>).</blockquote>L'uomo lo sa, sostiene Nietzsche, ma lo nasconde come una cattiva coscienza. Koons ce lo ricorda e ci invita alla felicità di questa liberazione.</span></div>niccehttp://www.blogger.com/profile/12884567277362765310noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8031468922064277370.post-61615642930181309262022-01-07T15:09:00.002+01:002022-01-07T15:11:44.933+01:00l'istante e la libertà [2]<p><span style="font-family: Calibri;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: Calibri;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEi-Dj34ncm6YaDFw4QM9DavCBBUh5dRpEPN8rZZzcgDJq4CX0W83CxRnNs4LHKCeBcPI4hnrw6W3BTdWnJk_QsmTp5HWIC804_Z9BUDKvVI0K0NIRlqgavdPr_3Fy71Hmn2qjIi8IFzYbhJ6SVJqwIy6o9nvXuADalCOGqg8kEtviQLBVP1-ma81OSeWw=s262" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="262" data-original-width="192" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEi-Dj34ncm6YaDFw4QM9DavCBBUh5dRpEPN8rZZzcgDJq4CX0W83CxRnNs4LHKCeBcPI4hnrw6W3BTdWnJk_QsmTp5HWIC804_Z9BUDKvVI0K0NIRlqgavdPr_3Fy71Hmn2qjIi8IFzYbhJ6SVJqwIy6o9nvXuADalCOGqg8kEtviQLBVP1-ma81OSeWw=w293-h400" width="293" /></a></span></div><span style="font-family: Calibri;">A partire dal terzo capitolo, il <a href="http://popfilosofico.blogspot.com/2022/01/listante-e-la-liberta.html">testo della Bespaloff</a> diviene, come del resto recita il sottotitolo, un saggio su <b>Montaigne</b>, su quell'autore che, rispetto alla scelta agostiniana di rifiutare se stessi per scegliere Dio, preferisce scegliere se stesso. Nulla di luciferino né di faustiano, però, in questa conversione al terreno: <span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">l’umanesimo critico di Montaigne non smette mai di biasimare l’orgoglio, di spogliare l’uomo della sua effimera regalità e lo lascia, sul gradino più basso, solamente con <i>la soddisfazione virile di vederci chiaro, o piuttosto di sapere che non ci vedrà mai del tutto chiaro</i>. </span></span><div><span id="docs-internal-guid-bb1d93c6-7fff-d2f8-7b52-a91b4534853a"><span style="font-family: Calibri;"><br /><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Montaigne si impegna a formare l'uomo aiutandolo a risolvere il problema che egli stesso si pone: come convertire all’autentico? La prima parte del compito di tale conversione <i>consiste nell’utilizzare la negazione socratica per smuovere la tirannia dell’abitudine, il dispotismo delle idee preconcette, per dissolvere nella relatività del divenire i concetti e i dogmi che separano l’uomo dal reale</i>. <i>È necessario dissipare nell’uomo ogni apparenza di stabilità, togliergli tutti gli appoggi, distruggere fino alle fondamenta la sua sicurezza.</i></span></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"></span></p><blockquote><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Non abbiamo alcuna comunicazione con l’essere, poiché ogni natura umana è sempre a metà fra il nascere e il morire, non percependo di sé che un’oscura apparenza e ombra, e un’idea malcerta e fragile. E se, per caso, vi ficcate in testa di voler capire il vostro proprio essere, sarà né più né meno che se uno volesse acchiappare l’acqua: poiché quanto più afferrerà e stringerà ciò che per sua natura scorre dappertutto, tanto più perderà ciò che voleva prendere e stringere in pugno (</span><span style="font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Saggi</span><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">, II, 12).</span></blockquote><p></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Con questo Montaigne <i>vuole esercitare lo spirito a cogliere il moto, a sopportare l’insicurezza del divenire; vuol far disperare la ragione, per costringerla a conoscere i suoi limiti. </i>
Allora, però, può iniziare </span><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">la seconda parte di questo compito, perché <i>accorgersi di questa situazione è già un sottrarvisi</i>. Dopo aver dissolto l’essere nel divenire, dopo essersi sciolto e aver mollato la presa, si tratta adesso di rimettersi insieme, riprendersi, </span><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">cioè costruirsi in seno al divenire.</span></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="white-space: pre-wrap;"></span></p><blockquote>Guardate dentro di voi, riconoscetevi, restate in voi: la vostra intelligenza e la vostra volontà, che si sperpera altrove, riportatela a se stessa; voi scorrete via, vi disperdete: rimettetevi insieme, puntellatevi; vi stanno tradendo, vi stanno disperdendo, vi stanno derubando di voi stessi (III, 9).</blockquote></span></span><p></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-family: Calibri;"><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Montaigne ci restituisce il gusto di una libertà guarita dalla presunzione, di una</span><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> libertà che si muove tra due poli: <i>da un lato, l’obbedienza e l’accettazione dell’ignoranza; dall’altro, la fedeltà all’istante, alla verità soggettiva, che implica il dubbio, l’autocritica, l’incertezza, la dialettica delle contraddizioni</i>. </span></span></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-family: Calibri;"><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></span></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-family: Calibri;"><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">In questo Montaigne non ha torto di richiamarsi a Socrate: la sua è una saggezza in fase di apprendimento, fino alla morte. E tale saggezza ha origine e fine nell’esperienza del presente autentico che la Bespaloff chiama istante, per sottolineare che il punto di arrivo è identico al punto di partenza, che non c'è promessa di sicurezza né stabilità, che non c'è alcuna giustificazione o redenzione finale. Limitatezza, per Montaigne, non è sinonimo di fallimento, né il fallimento, del resto, sinonimo di assurdo.</span></span></p><span style="font-family: Calibri;"><br /><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Montaigne ha dimostrato abbastanza chiaramente che è scrivendo che si rafforza e si forma. </span></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="white-space: pre-wrap;"></span></p><blockquote><div style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt; text-align: left;"><span style="white-space: pre-wrap;">Non ho fatto il mio libro più di quanto il mio libro abbia fatto me; libro consustanziale al suo autore (II, 18).<br /></span><span style="white-space: pre-wrap;">È un’impresa spinosa, più di quanto sembri, seguire un incedere vagabondo come quello del nostro spirito; penetrare le profondità opache dei suoi meandri interni; scegliere e fissare tanti minimi aspetti dei suoi turbamenti (II, 6).</span></div></blockquote><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Questa impresa</span><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> <i>non è solo l’esplorazione, bensì ciò che l’opera fa dell’esploratore che si osserva e si sorprende</i>. L’io dell’opera comincia a esistere solo nel momento in cui l'autore gli dà corpo </span><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">fissando nella scrittura le agitazioni, le contraddizioni della soggettività sfuggente.</span></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="white-space: pre-wrap;"></span></p><blockquote>Non c’è descrizione difficile quanto la descrizione di se stessi, né certo altrettanto utile. Bisogna bene pettinarsi, bisogna bene mettersi in ordine e rassettarsi per presentarsi in pubblico. Ebbene io mi faccio bello continuamente, perché mi descrivo continuamente (II, 6).</blockquote><p></p><p dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;"><span style="font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Riconoscendo l’impossibilità di descriversi senza farsi belli, di comunicarsi senza trasformarsi, Montaigne non sostituisce un essere fittizio a un essere reale, ma al contrario, ciò implica che solo attraverso la voce e l’intervento stilistico è possibile la vittoria dell’io autentico sull’io in via di disgregazione perpetua. Perché l'io autentico possa apparire, è necessario allentare il legame tirannico che assoggetta l’individuo al momento, alla mentalità, alla moda esterna. </span><span style="white-space: pre-wrap;"><i>La risposta definitiva della saggezza di Montaigne è la grazia, come libertà conquistata, come frutto di un allenamento paziente come quello del ballerino, e a volte rigido come quello dell’asceta. Montaigne insegna modestamente a non trasformare la vita in un inferno. Ed è già molto difficile.</i></span></p></span></div>niccehttp://www.blogger.com/profile/12884567277362765310noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-8031468922064277370.post-68468551083705722112022-01-03T12:06:00.002+01:002022-01-03T12:06:39.431+01:00l'istante e la libertà<p><span style="font-family: Calibri;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: Calibri;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEif7tX-5gp-RXWTreuf6XxPae3b5M2Pp58pkEQUa7SA2s_i4y7Ou1GCLpx4NCVCQkQiHJookL7Ni58qXNiZAH_lKwFlxerFnAO30WYpZnYyJ8NPu9N3gjF7um7ZVUABt99bcLAouY6K5aJcUPDSUrb-fVLa2QgrcmlZbxgXCUAX3ITqlyfKDzliMwXL8Q=s890" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="890" data-original-width="536" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEif7tX-5gp-RXWTreuf6XxPae3b5M2Pp58pkEQUa7SA2s_i4y7Ou1GCLpx4NCVCQkQiHJookL7Ni58qXNiZAH_lKwFlxerFnAO30WYpZnYyJ8NPu9N3gjF7um7ZVUABt99bcLAouY6K5aJcUPDSUrb-fVLa2QgrcmlZbxgXCUAX3ITqlyfKDzliMwXL8Q=w241-h400" width="241" /></a></span></div><span style="font-family: Calibri;">Uno degli ultimi libri letti nel 2021 è stato l'ultimo lascito scritto, il progetto incompiuto e pubblicato postumo (nel 1950), di <b>Rachel Bespaloff</b>, autrice nota soprattutto per uno splendido saggio sull'<i>Iliade</i>.<br />In <i><b>L'istante e la libertà</b></i> la Bespaloff giustappone le descrizioni che dell'istante fanno Agostino (<i>Confessioni</i>), Montaigne (<i>Saggi</i>) e Rousseau (<i>Fantasticherie del passeggiatore solitario</i>), così da rivelarci le somiglianze e le divergenze tra questi <i>tre poeti della soggettività e dell'istante</i>, tre filosofi che <i>partono dall'individuo che sono in prima persona, dalla loro propria vicenda in una svolta decisiva della storia</i>, e che presentano l'istante quale dimensione temporale di <i>pienezza, pace, possesso di sé in un presente autentico</i>.<br />Se <b>Agostino</b> nella conversione <i>si strappa da un mondo che ha nutrito, se non colmato, la sua brama appassionata</i>, e attraverso un reale sacrificio, una lotta all'ultimo sangue, <i>scambia i piaceri con la felicità</i> e il rientro in sé; per <b>Montaigne</b>, invece, rientrare in se stessi non vuol dire lasciare il mondo quanto, piuttosto, <i>riscoprirlo e farlo proprio mediante l'intelligenza e i sensi</i>, non vuol dire la sottomissione dell'io ma la sua educazione attraverso il dubbio e il tempo. La grazia, nel filosofo francese, è quella della creatura padrona di se stessa. </span><div><span style="font-family: Calibri;"><blockquote><i>Montaigne fa proprio l'ideale di bellezza in cui la perfezione promette il piacere, quale le arti, la poesia e la cultura del suo tempo fanno a gara a celebrare, ma vi aggiunge ciò che gli impedisce di diventare una menzogna: la prova del tempo; la vecchiaia, la malattia, la singolarità dei destini individuali, la crudeltà, la morte.</i></blockquote></span><p></p></div><div><span style="font-family: Calibri;">E con <b>Rousseau</b> ascoltiamo tutt'altra voce, quella di <i>un essere senza rifugio, che la realtà oltraggia</i>, che si allontana dal mondo che vorrebbe rifare, che trova l'estasi dell'istante né attraverso la grazia divina né attraverso uno sforzo di attenzioni ma per <i>un concorso di circostanze favorevoli </i>che porta al puro sollievo della consapevolezza di esistere e della felicità di essere.<br /></span></div><div><span style="font-family: Calibri;">Abbiamo, così, il pellegrino e la bellezza sacra, l'esploratore e la bellezza umana, l'esiliato e la bellezza magica. Abbiamo, tuttavia, anche il fondo comune di un <i>senso dell'esistere come modo privilegiato di svelamento dell'essere attraverso la conoscenza di sé</i> che sorge nel rapimento di una pienezza <i>che mette in gioco una libertà indipendente dal fare, unicamente legata all'evidenza interiore dell'essere e del nulla</i> - senso dell'esistere che, all'opposto può affiorare anche nell'angoscia dell'intuizione della finitezza come nella <i>ennui</i> di Pascal, nello <i>spleen</i> di Baudelaire, nella <i>nausée</i> di Sartre.</span></div>niccehttp://www.blogger.com/profile/12884567277362765310noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-8031468922064277370.post-72202373888163103172022-01-01T10:25:00.000+01:002022-01-01T10:25:20.733+01:00per l'anno nuovo<p><span style="font-family: Calibri;">Non potevo (ri)cominciare che utilizzando <b>Nietzsche</b>, l'aforisma 276 con cui si apre il quarto libro de <i>La gaia scienza</i>, capolavoro di levità e lucidità. </span></p><p><span style="font-family: Calibri;"><br /></span><span style="font-family: Calibri; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><i>Io vivo ancora, io penso ancora</i></span><span style="font-family: Calibri; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><i>. Oggi ognuno si permette di esprimere il suo augurio e il suo più caro pensiero: ebbene, voglio dire anch’io che cosa oggi mi sono augurato da solo e quale pensiero quest’anno,</i> dopo molto tempo<i>, </i></span><span style="font-family: Calibri; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><i>m’è venuto in animo</i> <i>– quale pensiero deve essere per me fondamento, garanzia, dolcezza</i> </span><span style="font-family: Calibri; white-space: pre-wrap;"><i>di tutta la vita futura</i> (?) </span><span style="font-family: Calibri; white-space: pre-wrap;">da questo 1° gennaio 2022.
<i>Voglio</i> tornare a scrivere delle cose, di <i>quel che v'è </i></span><span style="font-family: Calibri; white-space: pre-wrap;">almeno per me</span><span style="font-family: Calibri; white-space: pre-wrap;"><i> di bello in loro </i></span><span style="font-family: Calibri; white-space: pre-wrap;"><i>–</i> </span><span style="font-family: Calibri; white-space: pre-wrap;"><i>così sarò uno di quelli che </i>scrivono (tanti? troppi?). Scrivere<i>: </i></span><span style="font-family: Calibri; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><i>sia questo d’ora innanzi il mio</i> ritrovato impegno! </span><span style="font-family: Calibri; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><i>Non voglio</i> necessariamente realizzare chissà cosa<i>. Non voglio</i> necessariamente commenti</span><span style="font-family: Calibri; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><i>, non voglio neppure </i>necessariamente lettori. Scrivere di nuovo </span><span style="font-family: Calibri; white-space: pre-wrap;"><i>sia la mia unica</i> <i>intenzione! E, insomma: prima o poi voglio</i> di nuovo <i>essere uno che</i> scrive<i>!</i></span></p>niccehttp://www.blogger.com/profile/12884567277362765310noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8031468922064277370.post-33433925161871991252021-12-31T11:42:00.000+01:002021-12-31T11:42:59.209+01:00da domani...<p> <span style="font-family: Calibri;">... si prova a tornare a dar vita a questa pagina, magari anche solo con incostanti aggiornamenti.</span></p>niccehttp://www.blogger.com/profile/12884567277362765310noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8031468922064277370.post-37437404274722396122020-10-21T10:43:00.001+02:002020-10-21T12:03:09.265+02:00filosofia come allenamento<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgYZBjucJp_AZ5QojCY4tS-L-ydfZ1ZhNghv0BLVuTnhfdgnes8l9PKwC7vOwdMsWp_LzWtkw-6eZVw6KyTzjVqOlofkorBg12oruuiuszd7lukH5aLa6uDrbN8C03yLTDIrlWVcBqkT296/s626/9788833313252_0_0_626_75.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="626" data-original-width="425" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgYZBjucJp_AZ5QojCY4tS-L-ydfZ1ZhNghv0BLVuTnhfdgnes8l9PKwC7vOwdMsWp_LzWtkw-6eZVw6KyTzjVqOlofkorBg12oruuiuszd7lukH5aLa6uDrbN8C03yLTDIrlWVcBqkT296/w271-h400/9788833313252_0_0_626_75.jpg" width="271" /></a></div><div><b><i>La palestra di Platone</i></b> è l'ultimo, straordinario testo del filosofo <b>Simone Regazzoni</b>.</div>La <i>philosofia</i>, amore per il sapere, è anche se non soprattutto <i>philoponia</i>, amore per la fatica, è essere disposti a faticare per cambiare se stessi, per elevarsi.<div>Ma non essendo l'uomo una mente disincarnata, puro pensiero, <i>res cogitans</i> separata dal proprio corpo vivente, la filosofia non può permettersi di assumere una postura asservita al dominio della sola parola e della razionalità, deve invece ripensarsi come cura e allenamento integrale di sé, come trasformazione della vita che coinvolge il plesso di mente-e-corpo, come invito ad abbandonare la propria dipendenza da uno stile di vita comodo e cogliere invece l'occasione per allenarsi come un dio (<b>Sloterdijk</b>).</div><div>Così è la filosofia in origine, con <b>Platone</b>, filosofo lottatore che pensa nei luoghi in cui si lotta, pensa il proprio discorso nei termini propri della lotta e quando articola in chiave politica la propria filosofia pone l'allenamento in palestra e la lotta come elementi fondamentali per la formazione di maestri e allievi.</div><div>Così può e deve tornare a essere, considerando il corpo vivente come spazio di lotta, potenza, benessere, conflitto, pensiero, elevazione, auto-creazione, gioia. La sfida è atletica, estetica, cognitiva, etica e politica insieme, e consiste nella cura di sé (<b>Foucault</b>) come allenamento e combattimento permanente, al fine di essere in grado di fronteggiare, con coraggio, gli eventi, di accedere a un'altra intensità di esistenza (<b>Badiou</b>).</div><div>Certo non c'è nessun combattimento senza aggressività e senza il rischio di fare o di farsi male, ma è proprio questo male che si impara a maneggiare, gestire, contenere, pensare: non c'è etica degna di questo nome, se non ci si allena all'uso della forza che ogni vivente possiede in sé, se non ci si prende cura della pulsione di morte, con la pulsione a combattere o di aggressività che ogni soggetto porta con sé. Come anche <b>Montaigne </b>scrive sull'educazione dei fanciulli, è necessario avvezzarli al sudore e al freddo, al vento, al sole e ai rischi affinché essi possano fare ogni cosa, e non desistano dal fare il male né per mancanza di forza né di capacità, ma per mancanza di volontà.</div><div>Attraverso la fatica, e facendo prova dell'essere-esausto, facendo prova del limite, ci si supera per divenire altro da sé: l'elevazione non è un mero potenziamento di sé, accrescimento di sé, ma un divenire in sé altro da sé, un miglioramento, perfezionamento, potenziamento vitale, un divenire-animale (<b>Deleuze</b>) che è accesso alla pienezza della potenza del proprio corpo vivente. <i>Sfinir-si</i> significa fare esperienza della fine come superamento di sé, trasformazione del limite in un passaggio ad altro da sé. Il soggetto, in questo senso, si costituisce nell'allenamento, l'allenamento è il processo attraverso cui il soggetto costituisce continuamente se stesso al di là di sé: l'allenamento è una pratica di soggettivazione continua che produce un potenziamento vitale. Si è in lotta continua con se stessi per andare al di là di sé. Attraverso allenamento e ripetizione si arriva allo stile, forma incarnata e adatta alla propria singolarità, forma della propria forza e della propria vita, elevazione, intensità, godimento, gioia.</div><div>Questo <i>body-building</i> con cui si costruisce il proprio corpo, è anche un lavoro sulla vita ed è contemporaneamente un <i>brain-building</i>, data la neuroplasticità del cervello sulla cui materialità e sui cui processi di pensiero agiscono i movimenti del nostro corpo. Allenarsi è un processo di trasformazione radicale che coinvolge la totalità dell'essere umano, è un trasformarsi, elevarsi, perfezionarsi per essere migliori rispetto a ciò che si è, è una lotta contro la vita mediocre e una tensione verso l'eccellenza.<br /> <br /><br /><br /></div>niccehttp://www.blogger.com/profile/12884567277362765310noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-8031468922064277370.post-18941045980648303412019-06-18T10:14:00.002+02:002019-06-18T10:15:59.001+02:00∞ x 0<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="font-size: small;">Ramanujan
elaborò una teoria della realtà intorno allo Zero e all'Infinito.
[...] Pare che lo Zero rappresentasse la Realtà Assoluta.
L'Infinito, cioè ∞,
era le molteplici manifestazioni di quella Realtà. Il loro prodotto
matematico, ∞
x 0, non era un solo numero, ma tutti i numeri, ciascuno dei quali
corrispondeva ad atti individuali della creazione. Ai filosofi,
forse, e ai matematici sicuramente, l'idea avrebbe potuto apparire
sciocca. Ramanujan, invece, vi trovava un significato. [...] Ramanujan </span>«parlava con un tale entusiasmo delle questioni filosofiche, che a volte sentivo che sarebbe stato più contento di riuscire ad affermare le sue teorie filosofiche che a fornire rigorose dimostrazioni delle sue congetture matematiche» (S.R. Ranganathan).</span></div>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: small;">(Robert
Kanigel, <i>L'uomo che vide l'infinito. La vita breve di Srinivasa
Ramanujan, genio della matematica</i>)</span></div>
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiPd1pfhfTbhHwTrSKWKmXnNGhTPcunEEbIDULgMJD_KhfC6kDh9IcaLSn7epo7JrHWVDIoVfPfL9G_JCh3_82arQRkSPISPg4DxUb0JgH_oMsC2J8qfoV3AUYnGJ7MreO6WFhj98IOibz7/s1600/Ramanujan.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="164" data-original-width="310" height="210" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiPd1pfhfTbhHwTrSKWKmXnNGhTPcunEEbIDULgMJD_KhfC6kDh9IcaLSn7epo7JrHWVDIoVfPfL9G_JCh3_82arQRkSPISPg4DxUb0JgH_oMsC2J8qfoV3AUYnGJ7MreO6WFhj98IOibz7/s400/Ramanujan.jpg" width="400" /></a></div>
<br />niccehttp://www.blogger.com/profile/12884567277362765310noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8031468922064277370.post-60732644062438339222019-05-20T09:38:00.003+02:002019-06-18T10:14:38.986+02:00dharma<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8ZbRNg_wwTrh3uYG4RLfrwTplCT6Rn5AaZHD-2Rl9ZwjBZfzWuk_swMk6X9X-JAK7-2y9boAB5298w_UyxBRrtB0aEseUDUp95BRyhE7YxKtVaDoZjoNtJ5HfJkSDBPWMd3NLRmQNNvan/s1600/Weil.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="400" data-original-width="302" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8ZbRNg_wwTrh3uYG4RLfrwTplCT6Rn5AaZHD-2Rl9ZwjBZfzWuk_swMk6X9X-JAK7-2y9boAB5298w_UyxBRrtB0aEseUDUp95BRyhE7YxKtVaDoZjoNtJ5HfJkSDBPWMd3NLRmQNNvan/s400/Weil.jpg" width="301" /></a></div>
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Erano proprio gli stessi giorni della conferenza di Monaco: regnava un'atmosfera sinistra. [...] Io avevo già preso la decisione che, in caso di guerra, avrei disertato. [...]</span><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Allora pensavo di essere perfettamente lucido, ma lo si è mai quando bisogna decidere qualcosa di grave? Non credo all'imperativo categorico. [...] Pretendere di comportarsi sempre secondo quanto prescrivono delle massime universali è assolutamente insensato, se non assolutamente ipocrita. [...]</span><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Non esiste una regola universale che prescriva a ciascuno come si deve comportare: l'individuo porta in sé il suo <i>dharma </i>[dovere, legge]. [...]</span><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">L'unico rimedio è che ciascuno cerchi di determinare il più chiaramente possibile il proprio <i>dharma</i>, che può essere soltanto individuale. Il <i>dharma </i>di Gauguin è stato la pittura. Il mio, come me lo immaginavo nel 1938, mi sembrava evidente: dedicarmi alla matematica con tutte le mie forze. Il peccato sarebbe stato soltanto lasciarmene distogliere.</span><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Non ignoravo il <i>Critone</i>, né la prosopopea delle leggi immaginata da Socrate. Ma fra l'obbedienza suprema che questi tributa alle leggi della patria e la disobbedienza civile [...] non mi sembrava che la prima fosse da preferirsi alla seconda. [...] Del resto [...] non si trattava affatto del diritto di disobbedire a leggi ingiuste, bensì del dovere di disobbedirvi, il che è completamente diverso: il dovere [...] consiste nel disobbedire alle leggi non appena si è convinti, in coscienza, che esse siano fondamentalmente ingiuste, e ciò senza curarsi delle possibili conseguenze.</span><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span>
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">(André Weil, <i>Ricordi di apprendistato. Vita di un matematico</i>).</span>niccehttp://www.blogger.com/profile/12884567277362765310noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8031468922064277370.post-40308317693890310882019-04-15T10:19:00.001+02:002019-04-15T10:19:41.588+02:00sessistenza<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiSwU8FPrWk8J4JWqRIxifEgXzfW32_CEtIFgnhQhCgzX08y78hsJF9NMfux2HS0jBtqyjeFbcppQErRFrrXBdF51oUKKNA65L1yM_lUuHj2nLBwOXJm2VboQC0XHKQz3Kr-iziWQQyP2yy/s1600/9788869831072_0_221_0_75.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="314" data-original-width="221" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiSwU8FPrWk8J4JWqRIxifEgXzfW32_CEtIFgnhQhCgzX08y78hsJF9NMfux2HS0jBtqyjeFbcppQErRFrrXBdF51oUKKNA65L1yM_lUuHj2nLBwOXJm2VboQC0XHKQz3Kr-iziWQQyP2yy/s400/9788869831072_0_221_0_75.jpg" width="281" /></a></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><b>Kant </b></span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">apre un’epoca in cui la Ragione deve essa stessa considerarsi come </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Trieb</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">, pulsione, spinta, tensione e desiderio verso un “incondizionato” che finisce per rivelare di non consistere in nient’altro che nella propria spinta. Chiamata “volontà” da </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><b>Schopenhauer </b></span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">e poi da </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><b>Nietzsche</b></span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">, spunterà come “pulsione” in Freud - non senza essere passata per la “forza lavoro” di </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><b>Marx </b></span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">e per il “salto” di </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><b>Kierkegaard</b></span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">. Sicuramente anche per le “differenze parallele” di </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><b>Deleuze </b></span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">e </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><b>Derrida </b></span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">- differenziazione e differ</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">ae</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">nza che hanno almeno in comune la messa in gioco di una tensione, di una pulsione e di una pulsazione. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Nella posterità kantiana la pulsione diviene l’atto del soggetto, della natura e/o dello spirito. Questa storia è, in definitiva, la storia della destinazione dell’uomo o addirittura della vita in assenza tanto di Dio quanto degli dèi. La destinazione: non il destino, secondo la nozione fissa di una predestinazione, ma il </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">fatum</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">, la parola che annuncia e dà il tono di un invio, di un indirizzo che invia all’esistenza senza per questo determinarla come un processo prestabilito: la possibilità di un azzardo contrario, di una deviazione. C’è sempre nel destino ciò che Derrida chiama una </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">destinerranza</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">. Spinta destinerrante, indeterminatezza della pulsione. Spinge, e tuttavia non spinge verso alcuno scopo. L’”essere-gettato” di </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><b>Heidegger</b></span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">. L’ek-sistenza consiste in un’eiezione o in un esilio. L’ek-sistente non è gettato fuori da un luogo né da una volontà estranea: il suo essere consiste interamente in questo essere-gettato. Fuori da niente e per niente né per nessuno. Una nuova esperienza d’essere. C’è una pulsione primordiale che tuttavia non preesiste rispetto all’esistere, ma in esso forza e forma il suo getto, la sua espulsione ad essere. Quel che in Heidegger non smette di essere gettato - inviato, indirizzato, spedito verso la sua più propria assenza di scopo, verso la sua esposizione a tutto e a niente.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">È proprio nel </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">treiben </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">che possiamo formulare la nostra ragion d’essere: la ragion d’essere senza ragione, l’esistere in quanto tale. La pulsione dice insomma la vita che ha luogo soltanto uscendo dal niente e per niente, uscendo per uscire. La pulsione kantiana della ragione, il desiderio dell’incondizionato non è altro che la spinta che ritorna su se stessa e si conosce come eccedenza costitutiva - il natale, il nascente, il nascere che si spinge verso la propria incondizionalità. Vale a dire verso la sua assolutezza: slegato da tutto, non potendo essere legato a niente, </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">non </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">potendo </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">essere </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">(</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">n’être</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">) che </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">nascita </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">(</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">naître</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">). Eccesso, trascendenza, trasgressione e nascita non costituiscono niente di posteriore a una condizione data, a una misura stabilita, a un’immanenza, a una legge o a un ordine: l’origine è la levata o il levarsi che nulla precede. Quest’origine non si inscrive in un punto, si produce dentro e come sua propria tensione, nel suo battito, nella sua pulsazione. Non ha un’identità, differisce da se stessa, si differisce, s’invola e s’invia. L’”essere” come invio a un fuori è sicuramente almeno un aspetto di ciò che Heidegger ha voluto designare come essere donato (o donante) e di ciò che Derrida ha voluto connotare come la </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">differ</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">ae</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">nza</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> della e nell’origine. Nient’altro che il </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">nascere </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">della </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">natura </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">nella sua levata, nel suo invio, nella sua gettata e nella sua venuta. Il </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">nascere </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">(</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">naître</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">) in quanto </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">non essere</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> (</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">n’être</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">) nient’altro che la sua propria alterazione.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="font-family: Arial; white-space: pre-wrap;">Il desiderio si rinnova e si annienta con lo stesso movimento. Si consuma e rinasce. Viene dal niente e non cerca niente: è l’essere teso dalla sua propria alterazione e il consumarsi di qualsiasi posizione dell’essere, di qualsiasi presenza a vantaggio di un invio. Né nel proprio godimento né nella propria discendenza il desiderio raggiunge altro se non la sua propria fiammata, il suo proprio divoramento, il suo esaurimento, la sua estenuazione. Un eccesso, un’eccedenza o trascendenza. Una spinta d’essere che non ha alcun senso (né ragione, né causa, né fine) che di essere spinta - di essere in quanto spinta e di essere spinta dal suo proprio eccesso. </span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"><br /></span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">(</span><span style="font-family: Arial; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Jean-Luc Nancy, </span><span style="font-family: Arial; font-style: italic; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-weight: 700; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Sessistenza</span><span style="font-family: Arial; white-space: pre-wrap;">)</span></div>
niccehttp://www.blogger.com/profile/12884567277362765310noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8031468922064277370.post-56798498909375856482019-02-13T08:46:00.000+01:002019-02-13T08:46:44.695+01:00filosofia come narrazione complessa<div class="separator" style="clear: both; text-align: right;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhpF2jfWGZvN883VOzz33EKmwFhK_YD4S1hPxwUF8J_0Y-uGq6mPfzWbbpOjPKDKKcfWiZ-uer5E82vK405FeTtZHjX5hsm_kwIkaV3xcZN63VgpbtmpUvug37-0M95rdXNFzQd_tdu5EgM/s1600/download.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="296" data-original-width="170" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhpF2jfWGZvN883VOzz33EKmwFhK_YD4S1hPxwUF8J_0Y-uGq6mPfzWbbpOjPKDKKcfWiZ-uer5E82vK405FeTtZHjX5hsm_kwIkaV3xcZN63VgpbtmpUvug37-0M95rdXNFzQd_tdu5EgM/s400/download.jpg" width="229" /></a></div>
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Uno spettro si aggira nel discorso filosofico del Novecento: la letteratura come altra forma di scrittura al di là dei limiti del <i>logos</i>. Un fantasma, quello della letteratura, al contempo <i>desiderato </i>e <i>forcluso </i>dalla filosofia, mai del tutto attraversato per incontrare il reale della scrittura in una nuova forma. Ecco ciò che è stato mancato dalla filosofia, secondo il filosofo <b>Simone Regazzoni</b>. </span><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">In questo <i><b>Iperomanzo </b>-</i> saggio da leggersi </span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">in coppia con la recente</span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"> </span><a href="http://popfilosofico.blogspot.com/2018/10/il-desiderio-della-scrittura.html" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">monografia su Derrida</a><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"> pubblicata presso Feltrinelli - Regazzoni prospetta la </span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">fine della separazione tra filosofia e </span><i style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">mimesis </i><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">poetica, il cui antico dissidio </span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><b>Platone </b>poneva all'origine della specificità filosofica: </span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">un andare </span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">verso-l'origine-oltre-la-fine della filosofia attraverso il </span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">ricongiungimento tra filosofia e poesia. Ecco l'ingiunzione per la filosofia: misurarsi, fino in fondo, con la propria fine come esaurimento di ciò che la filosofia </span><i style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">può </i><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">pensare in forma argomentativa, reinventare la propria scrittura.</span><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="background-color: white; color: #6a6a6a; font-family: "arial" , sans-serif;">È </span><b>Nietzsche </b>che aveva iniziato a portare la filosofia oltre se stessa, attraverso una pratica di scrittura che non rimanda più a una qualche verità da scoprire o enunciare. I</span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">l mondo divenuto favola non si lascia più</span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"> </span><i style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">concipere</i><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">, cioè afferrare dal concetto, non si lascia più dire nella forma di un discorso vero. </span><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">La finzione è un elemento costitutivo della realtà, ed è proprio perché sono venute meno l'idea di realtà e di verità come qualcosa di presente, stabile, afferrabile attraverso il </span><i style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">logos</i><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">, dicibile in un discorso razionale, che la filosofia deve trovare, attraverso la letteratura, una nuova forma di pensiero in grado di misurarsi con la complessità. </span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">La filosofia diviene o</span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">perazione di stile, che con Nietzsche dà vita a pagine tra le più alte che la letteratura tedesca abbia conosciuto. Nel Novecento, Ermeneutica e decostruzione </span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">sono state forme di preparazione all'</span><i style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">assolutamente nuovo</i><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"> che è la letteratura, </span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">tuttavia esse non hanno mai messo davvero in atto </span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">la letteratura ma si sono limitate a dichiararla, vale a dire ancora recuperarla in un</span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"> </span><i style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">logos</i><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">: essa, invece, andrà praticata, scritta. Dunque, occorre alla filosofia </span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">un gesto che vada al di là della decostruzione dell'apparato della razionalità metafisica, di cui sono state mostrate le aporie, l'instabilità dei margini, l'impossibilità di funzionare secondo un sogno di purezza che non avrà mai luogo; occorre alla filosofia </span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">misurarsi fino in fondo con un mondo vero diventato favola. O</span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">ggi, secondo Regazzoni, pensare la filosofia significa, inevitabilmente, pensare il romanzo: </span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">"romanzo" è dunque il nome dell'impasse attorno a cui è ruotata e ruota la questione della fine e del superamento della metafisica come pratica di un pensiero che pensa altrimenti, al di là del </span><i style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">monologos</i><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">, al di là del concetto, al di là della teoria.</span><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Le tappe della storia di questa impasse ricostruita da Regazzoni comprendono, tra gli altri, Barthes, Derrida ed Eco.</span><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><b>Roland Barthes</b> ha dato corpo alla</span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"> scrittura della preparazione, alla simulazione dell'opera in corso, a uno spazio di indecisione e indistinzione tra teoria e scrittura, saggio e romanzo, filosofia e letteratura. Ma questa preparazione del romanzo s</span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">arà solo la storia interiore di un uomo che vuole scrivere e non avrà </span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">nulla di un thriller, </span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">ahimè - dispiacere, rimpianto, rammarico, pentimento, dello stesso Barthes.</span><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Anche <b>Jacques Derrida</b>, nella sua </span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">infinita preparazione all'opera impossibile, nell'infinito intrattenimento della sua filosofia con il fantasma della letteratura, non ha mai scritto il desiderato </span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">libro impossibile da scrivere, illeggibile, impensabile per il suo stesso autore. Eppure esso rappresenta il centro vuoto che orienta la scrittura del filosofo francese. </span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">La resistenza dell'esistenza al concetto di sistema, la singolarità dell'esperienza nel suo rapporto con la lingua, orientano la filosofia di Derrida come </span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">ricerca di una scrittura singolare, idiomatica e autobiografica, che eccede l'orizzonte del senso e l'astrazione della pura teoria: questa è stata la pratica costante di Derrida e la specificità e la grandezza del suo pensiero. Ma il suo limite è stato quello di una</span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"> strategia testuale segnata da un'idea avanguardistica di letteratura in cui la </span><i style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">narrazione </i><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">è negata, legata a un contesto culturale in cui la letteratura era vista essenzialmente come operazione di stile, gesto di rottura con la forma del romanzo classico.</span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgmqRsb__JuByt5Ra475UQ_Stje8lrzGRz0Y4A0uhae5KyoK2mJ3frpH4zNmbZMbT4kGgKm4_Vt1ngX_R56bxwIxNL4xxU9HK-zovTvtmUBBbyQrOtzjVp4nkImmv2pRbA13FJHS-t8cjso/s1600/tullio-pericoli-umberto-eco-1980.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="654" data-original-width="500" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgmqRsb__JuByt5Ra475UQ_Stje8lrzGRz0Y4A0uhae5KyoK2mJ3frpH4zNmbZMbT4kGgKm4_Vt1ngX_R56bxwIxNL4xxU9HK-zovTvtmUBBbyQrOtzjVp4nkImmv2pRbA13FJHS-t8cjso/s400/tullio-pericoli-umberto-eco-1980.jpg" width="305" /></a></div>
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><span style="background-color: white; color: #6a6a6a; font-family: "arial" , sans-serif;">È l</span></span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">a neoavanguardia italiana che comincia a riflettere sui limiti delle strategie di sovversione semantica, di illeggibilità, e rivaluta, in nuove forme, trama, avventura, azione, recuperando la dimensione la narrazione, l'intreccio. Con <i>Il nome della rosa</i> <b>Umberto</b></span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><b> Eco</b> produce un romanzo sperimentale e insieme popolare, in cui l'avanguardia si compie nel pop e in cui avviene la riunificazione di filosofia e narrazione</span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">: </span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">il superamento delle <i>impasses </i>teoretiche della filosofia del Novecento avviene così con un <i>thriller </i>che vende milioni di copie in tutto il mondo. Grazie a </span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">un intreccio forte, un </span><i style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">plot</i><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">, un </span><i style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">mythos</i><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">, </span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Eco fa del romanzo uno spazio filosofico, non scrivendo romanzi filosofici nel senso di romanzi con una tesi, come aveva fatto Sartre, ma realizzando, invece, lo spazio per un pensiero filosofico altro: </span><i style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">lo spazio in cui pensare ciò che non si può teorizzare, lo spazio di una filosofia che eccede i limiti del logos</i><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">.</span><br />
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Bisogna partire da Eco, dunque, ma anche andare al di là di Eco stesso: l'ulteriore sfida è quella del </span><i style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">polymythos</i><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">,</span><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;"><i> </i>della </span><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">molteplicità delle linee narrative e delle trame. </span><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">La sfida della multitrama è quella che è stata fallita dal cosiddetto romanzo massimalista, nel quale l'esuberanza diegetica segue un principio addizionale e della digressione, un accumulo senza fine che va verso il caos, verso l'esplosione della trama come principio d'ordine. Per eccesso di narrazione, quindi, viene nuovamente meno la trama, ed è questo il limite delle opere di Pynchon, Wallace o Bolaño, cedere sotto il peso della molteplicità del narrabile. </span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhK7rMhbOyvDzI8FdjD9__MmzjlBU5ErOFramIZPvFoblLJ95pe-7bV6wYYwvVB8KpmP3IxMiR6P144VdepguMezjib38NAQXJOnpqjOUL826kfRjZzhbVgh6yzDELKrMWmt9p7p-SJrlLV/s1600/serietv.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="863" height="231" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhK7rMhbOyvDzI8FdjD9__MmzjlBU5ErOFramIZPvFoblLJ95pe-7bV6wYYwvVB8KpmP3IxMiR6P144VdepguMezjib38NAQXJOnpqjOUL826kfRjZzhbVgh6yzDELKrMWmt9p7p-SJrlLV/s400/serietv.jpg" width="400" /></a></div>
<span style="background-color: white; color: #6a6a6a; font-family: arial, sans-serif;">È necessario, invece, narrare s</span><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">enza perdersi in essa, ed è ciò in cui riesce la più potente invenzione narrativa degli ultimi vent'anni, la nuova serialità televisiva, la </span><i style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">complex TV</i><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">. Ancora una volta, dopo Eco, è dunque nello spazio della </span><i style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">popular culture</i><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;"> che avviene la sintesi più avanzata e innovativa delle grandi questioni sollevate alla frontiera tra filosofia e letteratura nel corso del Novecento: universi narrativi iper-diegetici, </span><i style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">multiplot</i><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">, che affrontano grandi questioni etiche, politiche, esistenziali, metafisiche. La complessità dell'iperserialità non è solo legata alla molteplicità delle linee narrative, ma anche all'ibridazione di generi e stili, al gioco intertestuale di citazioni e rinvii, che danno vita a un testo stratificato.</span><br />
<span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">Come può, dunque, la filosofia pensare ciò che non si lascia più cogliere nelle maglie del </span><i style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">logos</i><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">, di un discorso teorico che enunci una tesi vera sul mondo? La risposta di Regazzoni è mettendo in discussione l'idea di mondo come totalità dotata di senso, l'idea di unità e unicità del mondo, rompendo con la dimensione di un pensiero che sia </span><i style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">uno</i><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">, con la volontà</span><i style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;"> mono-logica</i><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;"> del filosofo che pensa, che esprime il proprio pensiero come </span><i style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">uno</i><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">. Un pensiero polifonico, dunque, che può realizzarsi solo nell'apertura radicale al molteplice data da una modalità di scrittura sistematicamente tesa a produrre </span><i style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">pensieri che l'autore non sa di pensare</i><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">, a produrre </span><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">mondi con un'autonomia interiore </span><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">in cui</span><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;"> le voci dei personaggi sfuggono al proprio autore.</span><br />
<span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">In questo g</span><i style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">ioco dei mond</i><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">i il pensiero s</span><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">fugge strutturalmente al proprio autore, si fa molteplicità attraverso letture cui l'autore non avrà nemmeno pensato. Questo iperomanzo, macchina per produrre molteplici interpretazioni, non è altro che la forma di scrittura che si fa carico nel modo più radicale della decostruzione del </span><i style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">logos </i><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">come monologismo, che pensa il gioco dei mondi, che si fa spazio eracliteo di gioco e di conflitto di un pensiero plurale senza sintesi. </span><br />
<span style="background-color: white; color: #6a6a6a; font-family: arial, sans-serif;">È così che si e</span><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">redita la decostruzione, rispondendo all'esigenza </span><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">di una nuova forma di presentazione per la filosofia, all'esigenza di una nuova modalità di pensiero che, giunto al punto di esaurimento del proprio possibile come possibile di un "io penso", si apra a una dimensione altra di scrittura in grado di ospitare un pensiero molteplice. Bisogna attraversare la f</span><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">ine di una forma storica di discorso che ha preteso di distinguersi, in quanto dominio del <i>logos</i>, dalla narrazione-<i>mythos</i>, fine che è nuovo inizio della filosofia come narrazione complessa, come pensiero che si affida alla plurivocità della narrazione </span><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">come modalità di discorso che si misura con ciò che non può essere detto semplicemente in un discorso dotato di significato ma che deve essere raccolto in una trama, non dedotto ma narrato.</span><br />
<i style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">Il romanzo pensa, un </i><i style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">pensiero a molti mondi </i><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">in cui</span><i style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;"> l'ultima parola del pensiero è lasciata all'altro</i><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">.</span>niccehttp://www.blogger.com/profile/12884567277362765310noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8031468922064277370.post-31991622808222047612018-10-30T18:13:00.000+01:002018-10-30T18:13:17.574+01:00il desiderio della scrittura<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkUuYt_uPrwDwQoqcnwwB0Nx0aOYE6EyjEMvzM7lHWSY_HNHodgI9s9-bjBd6wEkLMXV8t8b0F-ZLpb3u_AxRuJtQcHUXhCQk6PWbVU_-_CYSYjw-t8HlMGYyGZky3gOrROJivIOa0Ivrr/s1600/9788807227127_quarta.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1069" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkUuYt_uPrwDwQoqcnwwB0Nx0aOYE6EyjEMvzM7lHWSY_HNHodgI9s9-bjBd6wEkLMXV8t8b0F-ZLpb3u_AxRuJtQcHUXhCQk6PWbVU_-_CYSYjw-t8HlMGYyGZky3gOrROJivIOa0Ivrr/s400/9788807227127_quarta.jpg" width="266" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Non una introduzione, una ricostruzione del pensiero, una normalizzazione o un addomesticamento, ma una controfirma all'innegabile <i>mostruosità </i>del pensiero derridiano.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Già autore di libri e saggi su <b>Jacques Derrida</b>, questa volta <b>Simone Regazzoni</b>, allievo del filosofo francese, si impegna in una lotta, in un corpo a corpo con il maestro. Il testo pubblicato nella collana "Eredi" della Feltrinelli è appunto il resoconto quasi diaristico di un tale annoso corpo a corpo, con cui Regazzoni controfirma il <i>corpus </i>derridiano, <i>corpus </i>che non può essere separato dal corpo del suo autore, corpo di scrittura che, al di là di qualsiasi vecchia distinzione di genere e di disciplina, deve essere considerato come un poema in cui <i>bios </i>e <i>graphia </i>sono inseparabilmente tessuti insieme da una firma e dalla sua unicità. E del resto è proprio questo <b>desiderio della scrittura</b>, questo primo desiderio che spinge a scrivere e che si fa cifra di singolarità e idiomaticità - "<i>questa cosa</i>, questa scrittura idiomatica di cui so che la purezza è inaccessibile, ma che continuo a sognare", confessa Derrida - a rappresentare il centro intorno a cui ruota il testo di Regazzoni, che rifiuta ogni idea di una filosofia di Derrida: è proprio il movimento eccedente rispetto al <i>logos</i> filosofico la dimensione più mostruosa, violentemente inventiva, non addomesticabile, della scrittura del filosofo francese, pensatore perturbante per la filosofia stessa e i suoi custodi.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Secondo Regazzoni la grandezza di Derrida, l'eredità del suo pensiero e della sua scrittura, consiste nel modo in cui egli ha risposto all'esaurimento storico della filosofia come dominio del <i>logos</i>, alla </span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">fine della filosofia - </span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">già all'opera e in decostruzione -</span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"> intesa come </span><i style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">logos </i><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">discorsivo, universitario, accademico, saggistico. Egli ha risposto </span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">all'appello ingiunto dall'</span><i style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">a venire</i><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"> del pensiero attraverso una forma di scrittura idiomatica, che sfida le regole della buona scrittura filosofica, eccede i limiti della concatenazione concettuale e dell'esposizione di tesi, procedendo al di là dell'opposizione tra filosofia e letteratura, in una avventura della scrittura in cui, senza niente da dire - "ecco ciò che non sopportano, che io non dica niente, mai niente che stia in piedi o che valga, nessuna tesi che si possa confutare, né vera né falsa" -, Derrida scrive e scrive altrimenti, firmando in prima persona e mescolando generi, stili, lingue, toni, pensiero e vita, aneddoto e riflessione, con il risultato di dissolvere l'ordine filosofico in una <b>autofiction</b>: una scrittura autobiografica in cui però non c'è un soggetto già dato che si racconta, ma in cui piuttosto il soggetto - il soggetto-filosofo ma anche il vivente-Derrida - si costruisce come narrazione di sé, in cui "il me non esiste" ma "è dato dalla scrittura". Ma questa grandezza, riconosce Regazzoni, non è stata affatto priva di impasse, perché se è vero che Derrida ha sempre lottato per trovare un'altra forma di presentazione per la filosofia, è altrettanto vero che non vi è davvero riuscito, non è arrivato a comporre il Libro che ha sognato. Con questo desiderio di scrittura bisogna misurarsi, in filosofia, per ereditare Jacques Derrida.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Se non si vuole essere semplici archivisti - custodi del passato, dei resti - ma <b>eredi </b>che si misurano con un segreto che va al di là di tutto ciò che resta, lo si deve fare a partire da ciò che non ha avuto luogo: assolutamente fedeli e massimamente infedeli al cuore dell'eredità, non si deve trasmettere un sapere, ma </span><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">si deve rispondere a una ingiunzione spettrale, che arriva dall'altro, come mostra quel libro sull'eredità, sugli eredi e su cosa significa ereditare che è, fra le altre cose, <i>Spettri di Marx</i>. "L'eredità non è mai un <i>dato</i>, è sempre un compito", quindi essa chiama in gioco non solo e non tanto la sopravvivenza del morto, il prendersi cura delle cose morte, ma la <i>nostra vita</i>, ci impegna a controfirmare l'eredità del padre portandola altrove e inventandola, a controfirmarne il segreto che ci dice "leggimi". E all'eredità di Derrida, all'ingiunzione del suo segreto, si risponde comprendendo che essa non trasmette altro che il desiderio: desiderio che nella sua forma più pura è lettura del segreto come segreto, segreto che non è niente, niente di essente; desiderio che è un fuoco pronto a bruciare tutto, senza resto, senza resti, fino alla cenere.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Ereditare è ingiunzione a <b>vagliare il fuoco</b>, </span><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">ma ingiunzione che non è separabile da quella a bruciare, distruggere: il segreto chiede di essere letto, ripetuto, conservato ma anche cancellato in altro, nell'altro che controfirma il segreto. Solo passando attraverso il fuoco dell'altro si salva, sopravvive. Questo è ciò che ha fatto del resto lo stesso Regazzoni in questi anni, anni di tesi politiche su Derrida e dizionari della decostruzione, ma anche di scritture ibride e contaminate sia nei contenuti pop sia nello stile e nei generi, di avventure in romanzi e dichiarazioni d'amore, di sperimentazione di forme nuove da dare alla filosofia.</span><br />
<span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">Regazzoni, a partire da Derrida - ed entrambi a partire dallo spettro di Sartre -, risponde all'appello della decostruzione della frontiera tra filosofia e letteratura, non cede sul </span><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;"><b>desiderio di letteratura</b> a costo della filosofia, spingendo quest'ultima a battere nuove strade. Ma ciò si dà perché sin dall'origine lo spettro della letteratura assilla e infesta la filosofia: tra un'univocità assoluta e un'equivocità assoluta non si può veramente scegliere, ché qualsiasi oggettività ideale, qualsiasi significato o senso, qualsiasi verità per essere ciò che è deve in primo luogo poter iscriversi, ripetersi, darsi, differenziarsi in un segno, diventare altro da sé. La possibilità della scrittura, dell'iscrizione, è necessaria e costituente al senso, alla verità, che senza di essa non si danno. Ma questa possibilità necessaria già da sempre contamina e lacera verità e senso, idealità, è al contempo condizione della loro impossibilità, dell'impossibilità della loro rigorosa purezza. La scrittura è allora ciò che marca una mancanza costitutiva, una differ<i>ae</i>nza, una traccia, che i filosofi tentano sempre sistematicamente di cancellare, e che resta invece sempre da pensare, spettro che sempre assilla il <i>logos </i>quale sogno di una parola piena, trasparente, dotata di senso. All'origine, dunque, c'è una contaminazione strutturale tra filosofia e letteratura, tra il sogno di un'origine pura, semplice, una presenza piena del senso, che si darebbe nel <i>logos </i>quale discorso univoco, e lo spazio di segni equivoci presi nel gioco di un rinvio che non mette capo a un senso ultimo ma a pura disseminazione. E se non si dà mai senso puro, significato che non sia già abitato in sé dalla differ<i>ae</i>nza, allora è necessaria la letteratura come pratica di scrittura che rompe con la logica del senso, come esercizio di un pensiero che eccede i limiti e il dominio del <i>logos</i>,<i> </i>come desiderio di entrare in questo gioco della differ<i>ae</i>nza in cui il corpo del significante è "intransitivo e intransigente: resta, resiste, esiste e si fa rimarcare".</span><br />
<span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">A questo spazio di una resistenza, di una restanza, di un tutt'altro senza volto che non si sarà mai fatto assimilare, Derrida sceglie di dare il nome platonico di <b>chora</b>, aporia dell'iscrizione originaria, spazio di pura iscrivibilità e potenza di scrittura più vecchia del <i>logos </i>stesso, condizione di possibilità dell'idea stessa, della sua riproducibilità come il medesimo.</span><br />
<span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">Non si eredita dunque la decostruzione se non a partire dal desiderio di realizzare un'opera al di là della filosofia, in cui il pensiero non possa in alcun modo essere separato dalla singolarità della vita, in cui lo stile e il corpo della scrittura siano lo spazio di questa unione. La forma sarebbe quella di un <b>diario totale</b>, spazio altro della scrittura in cui costituirsi come io, come soggetto, spazio testamentario di una sopravvivenza attraverso cui solo si può accedere alla propria vita, a sé come soggetto vivente. Questo divenire soggetto attraverso la scrittura autobiografica è un divenire sé passando per la diversione dell'altro, dell'esteriorità, della morte e di una certa distruzione.</span><br />
<span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">Per questo è già anche un'<b>auto-immuno-bio-grafia</b>, un'esperienza di costituzione e, al contempo, di decostruzione di sé, della propria vita e del suo senso </span><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">di cui desidero appropriarmi e di cui tuttavia non arrivo mai ad appropriarmi, scacco che però è la possibilità stessa della vita e del suo senso. Scrivere significa allora tentare, nella ripetizione, di farsi padrone della propria morte, accettando di darsela di buon grado - come se si trattasse di bere il <i>pharmakon </i>della cicuta -, distruggendo e salvando la propria vita.</span><br />
<span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;">Conclude, dunque, Regazzoni, che la singolarità idiomatica e autobiografica di Derrida resiste alla teoria, alla sistematizzazione, al metodo, alla forma della domanda metafisica che si interroga sull'essenza di qualcosa. Con </span><span style="font-family: arial, helvetica, sans-serif;"><b>l'invenzione della decostruzione</b>, e la sua pratica nella scrittura come invenzione, Derrida non crea i propri concetti ma firma le parole che si lascia dettare, che fa e lascia venire, dalla scrittura stessa, lavorando di stile e di idiomaticità sul significante per eludere il "voler-dire" e la fissazione del senso, esponendosi e inventandosi: invenzione <i>di </i>Jacques Derrida, nel doppio senso indecidibile del genitivo soggettivo e oggettivo. Questo niente da dire, niente da pensare che si scrive, non ha nulla di nichilistico, apre piuttosto a qualcosa di più e di altro rispetto ciò che un soggetto può semplicemente dire e pensare.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<br />niccehttp://www.blogger.com/profile/12884567277362765310noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8031468922064277370.post-45693855347554959582017-06-10T18:21:00.000+02:002017-06-10T18:21:25.035+02:00socratico gandalf<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgYNAd4czadcbVDX2X1WTQ46jWQh8RtxGFenR6nzJOHa0oWbuSPL32oWx6Rh4Eme7ddYmrg5aje0AzJfzK8AlgDyjkGKKpj2FCeAGLT6x4bfw7UZlf3UMNWK3KMWNVWRQYAGwcuw3HG3xqu/s1600/lee-lotr_Frodo_and_Gandalf.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="1550" data-original-width="933" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgYNAd4czadcbVDX2X1WTQ46jWQh8RtxGFenR6nzJOHa0oWbuSPL32oWx6Rh4Eme7ddYmrg5aje0AzJfzK8AlgDyjkGKKpj2FCeAGLT6x4bfw7UZlf3UMNWK3KMWNVWRQYAGwcuw3HG3xqu/s640/lee-lotr_Frodo_and_Gandalf.jpg" width="384" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nella
Terza Età, il concilio degli dei decise di inviare dall’Ovest
nella Terra di Mezzo gli Istari, un gruppo di “stregoni”, al fine
di contrastare la crescita dell’ombra di Sauron. Uno, l’ultimo
venuto, all’Ovest si chiamava Olorin, che vuol dire sogno,
immaginazione, memoria, chiara visione di cose non fisicamente
presenti. Tra gli Elfi, nella Terra di Mezzo, fu chiamato Mithrandir,
il Pellegrino Grigio, poiché non dimorava in nessun luogo e non
ambiva a ricchezze né a seguaci, ma andava sempre di qua e di là
per la Terra di Mezzo facendo amicizia con tutte le genti in tempo di
bisogno. L’Elfo Guardiano, Cirdan, indovinò in lui il massimo
spirito e il più realmente sapiente, e gli affidò il Terzo Anello,
Narya il Rosso. Cordiale e sollecito era infatti il suo spirito, egli
era colui che si opponeva al fuoco che distrugge con il fuoco che
illumina e soccorre.
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Pur
essendo uno degli Istari <b>Gandalf </b>non si è mai fermato, e si è
mescolato a tutte le razze e a tutte le storie degli abitanti della
Terra di Mezzo. Amico dei signori degli Elfi e dei re degli Uomini,
nemico epocale del maledetto Sauron, godeva molto della compagnia
degli Hobbit; nei loro curati giardinetti, dopo un pasto abbondante,
amava fumare la pipa e chiacchierare su tutto un po’, mentre il
sole dei pomeriggi autunnali sarebbe calato solo – lentamente
aprendo le ombre sull’erba appena innaffiata – per dar spazio
all’allegria della cena con gli ospiti.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Gandalf
sapeva affrontare molte situazioni e trattare con molti caratteri,
perché si coinvolgeva ma non si imponeva, perché era profondamente
democratico, senza ombra di snobismo ed alterigia. Sapeva cavalcare
veloce, maneggiare terribile la spada, amava i boschi verde cupo e i
candidi ghiacciai aperti sul cielo infinito, amava i giochi e le
fantasie, le leggende e i poemi romantici d’amore e morte.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br />
</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjQnP7I5qkepDTupR8PsAGCVinXIvjXlwqqzflBPp3o7d9nCPR4KjOUlsSh6pA4zyMoxK2b_OcQrrlK9-_DbRN8Xppz7JuDl4hBz8-AekViuHd7p59HqiunFV4-0VEPe5iMWGeQxZvoCwVK/s1600/9f6fb9b9b4172ef37a070772e555f871.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="768" data-original-width="1024" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjQnP7I5qkepDTupR8PsAGCVinXIvjXlwqqzflBPp3o7d9nCPR4KjOUlsSh6pA4zyMoxK2b_OcQrrlK9-_DbRN8Xppz7JuDl4hBz8-AekViuHd7p59HqiunFV4-0VEPe5iMWGeQxZvoCwVK/s400/9f6fb9b9b4172ef37a070772e555f871.jpg" width="400" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nella
Contea tutti gli Hobbit sono ignoranti attuali: ma tra di loro alcuni
sono anche ignoranti potenziali – coloro che chiudono occhi e
orecchie ai grandi avvenimenti della Terra di Mezzo, avvenimenti che
però, volenti o nolenti, comunque li coinvolgono – mentre altri
sono potenziali sapienti: sono Frodo, Sam, Merry e Pipino, che
ascoltano Gandalf, consultano gli Elfi, ammirano gli Uomini, imparano
e crescono e saranno gli unici a saper fronteggiare la marea che
arriverà a sommergere la stessa pacifica Contea. D’altra parte, ci
sono i sapienti attuali, per esempio gli Istari (gli “stregoni”),
e tra essi c’è chi è ignorante potenziale, come Saruman Curunir,
che corrompe la sapienza posseduta e diventa progressivamente cieco,
incapace di imparare dall’esperienza, e c’è chi è anche
potenziale sapiente, come Gandalf Mithrandir, che tutti ascolta e da
tutti impara, e nel suo socratico “so di non sapere” vive la sua
vocazione di ricercatore e di testimone della verità.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il
contrasto tra la suggestione narcisistica e l’esemplarità buona è
quello – nel romanzo di Tolkien – tra Saruman e Gandalf. La voce
idealizzata di Saruman era un’illusione, ma con tutta la potenza
dell’illusione:
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">«<span style="font-size: small;"><i>Per
alcuni l’incantesimo durava solo finché la voce si rivolgeva a
loro personalmente, e quando parlava a qualcun altro essi sorridevano
come chi ha indovinato il trucco di un prestigiatore, mentre gli
altri sono ancora sbalorditi. A molti bastava udirne il suono per
esserne avvinti; vi erano infine i succubi, coloro che rimanevano
vittime dell’incantesimo e che ovunque fossero udivano la dolce
voce bisbigliare istigandoli</i></span>».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Pensa,
invece, a Gandalf, “capo” senza attributi vistosi, senza pompe né
misteri né sceneggiate né minacce né vanità né esibizionismi né
uffici prestabiliti né liturgie sacre.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -0.14cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il
re Aragorn Elessar lo sa bene e, alla fine della guerra, si fa
incoronare da Gandalf dicendo:</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -0.14cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -0.14cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">«<span style="font-size: small;"><i>Lui
è stato il fautore di tutto ciò che è stato compiuto e questa
vittoria è sua</i></span>».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -0.14cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br />
</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgwPE8VIRjaqwfVEgPDtkDylxP8SflX-OGX-qs9Qc99gu-hbhYCcH5UNqVLfDdpy9pU0ePwtaDjjnDcgFfMA9jzL4W1P1oLyDoAn4sUL3IDbsjjAHMgordMW3mwdVK5E7UNGoVUkmir4wmi/s1600/1335821290783.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="976" data-original-width="1422" height="273" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgwPE8VIRjaqwfVEgPDtkDylxP8SflX-OGX-qs9Qc99gu-hbhYCcH5UNqVLfDdpy9pU0ePwtaDjjnDcgFfMA9jzL4W1P1oLyDoAn4sUL3IDbsjjAHMgordMW3mwdVK5E7UNGoVUkmir4wmi/s400/1335821290783.jpg" width="400" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -0.14cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il
potere di Gandalf è il dire la verità e – a partire dalle massime
universali fino ad arrivare ai consigli pratici e necessari occasione
per occasione – il permettere che gli altri abbiano intorno a sé
l’ambiente idoneo per pensarla in proprio. Alla fine delle singole
storie dei membri della Compagnia, nessuno dipende da Gandalf o cerca
di imitare Gandalf: gli hobbit rimangono hobbit, ma più felicemente
e pienamente hobbit; gli uomini rimangono uomini ma più pienamente
uomini; chi doveva portare l’Anello riesce a portarlo; chi doveva
diventare re lo diventa; chi voleva sposarsi si sposa; chi voleva
vivere e non morire vive.</span></div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">E
Gandalf parte dai Rifugi Oscuri senza portare via niente dalla Terra
di Mezzo: il suo “potere”, veramente efficace, non è, alla fine,
nel far dipendere gli altri da sé, ma nel contribuire a farli vivere
non dipendenti da nessuno e sempre più amici tra loro.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(da </span><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;">Franco Manni, </span></span><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Lettera
ad un amico della Terra di Mezzo)</i></span></span></div>
niccehttp://www.blogger.com/profile/12884567277362765310noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8031468922064277370.post-3847393180677978802017-05-31T12:39:00.000+02:002017-05-31T12:39:02.974+02:00letture di maggio<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjo8yzdlPnM8SeWZDgKqIVHTqmU2nN3LP1JqCFPQptKSdjndYhcNxdqO2Nf0wdclzbMQzxRwB7fTZ-MX0Rck7au5lMOy6AZjJN19zs50Xb76slGWK4otGKUZWAceCkpPsj7m0w8TdjZgO0n/s1600/4191_SalmanRushdie_1242261199.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="310" data-original-width="200" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjo8yzdlPnM8SeWZDgKqIVHTqmU2nN3LP1JqCFPQptKSdjndYhcNxdqO2Nf0wdclzbMQzxRwB7fTZ-MX0Rck7au5lMOy6AZjJN19zs50Xb76slGWK4otGKUZWAceCkpPsj7m0w8TdjZgO0n/s400/4191_SalmanRushdie_1242261199.jpg" width="258" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Molto bello il romanzo di <b>Salman Rushdie</b> <i><a href="http://www.anobii.com/books/L_incantatrice_di_Firenze/9788804601296/011bf686de33d5a9f5/">L'incantatrice di Firenze</a></i>, in cui tra storia e favola si legano i destini dell'Occidente - la Firenze rinascimentale - e dell'Oriente - le splendide corti dell'Asia -, tra individui che non si contentano di essere ma sono intenti a diventare, donne immaginarie fatte reali dalla forza dell'immaginazione di chi le ama, artisti capaci di sfuggire alla realtà nelle loro opere, assedi alla bella città di Prato, uomini con la spada che quando incontrano uomini con il fucile sono uomini morti perché nell'era dell'archibugio non c'è più posto per il cavaliere in armatura. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Opere prime sia per un autore che leggo con piacere ormai da anni, <b>Murakami Haruki</b>, con la recente riproposizione in un unico volume - <i><a href="http://www.anobii.com/books/Vento__flipper/9788806227982/011fce4c191500eaf8/">Vento & Flipper</a></i> - dei suoi due primi romanzi <i>Ascolta la canzone del vento</i> e <i>Flipper, 1973 </i>- accompagnati dal racconto illustrato <i><a href="http://www.anobii.com/books/Gli_assalti_alle_panetterie/9788806229771/01b031b4c0b4a0b35c/">Gli assalti alle panetterie</a></i> -, sia per un autore di recentissima scoperta, <b>Michael Chabon</b>, con <i><a href="http://www.anobii.com/books/I_misteri_di_Pittsburgh/01834e30cacf0b03c6/">I misteri di Pittsburgh</a></i>, romanzo di iniziazione alla vita adulta in cui, come spesso avviene, è il caldo dell'estate a sciogliere vecchi legami e presunte certezze, a fondere orizzonti e identità, a trasformare e far sperimentare nuove forze e forme, nuovi incontri, desideri e concatenamenti.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Piccoli e interessanti saggi: quello di <b>Carlo M. Cipolla</b> <i><a href="http://www.anobii.com/books/Vele_e_cannoni/9788815234278/0155170cbf7e115962/">Vele e cannoni</a></i>, che mostra i presupposti tecnici alla base dell'aggressiva espansione europea per mare nell'età moderna; la filosofia di un non-colore tracciata da <b>Alain Badiou</b> ne <i><a href="http://www.anobii.com/books/Lo_splendore_del_nero/9788868336523/013a4ab49771935a35/">Lo splendore del nero</a></i>; le <i><a href="http://www.anobii.com/books/Aporie/9788845201431/014d43033497f48f07/">Aporie</a></i> sul morire, sui limiti e sui passaggi di <b>Jacques Derrida</b>; il percorso di apprendistato in filosofia di <i><a href="http://www.anobii.com/books/Gilles_Deleuze/9788865481394/017b6dbb53c47383b1">Gilles Deleuze</a></i> ricostruito da <b>Michael Hardt</b>.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><i>Graphic novel</i> di <b>Mark Millar</b>, <i><a href="http://www.anobii.com/books/Superior/9788891202130/01ac0401ef0d937e34/">Superior</a></i>, e di <b>Kathryn Immonen</b>, <i><a href="http://www.anobii.com/books/Ti_prego,_rispondi/9788865438121/01f1042dcab4904ed6">Ti prego, rispondi</a></i>, e le gialle tavole non esaltanti de <i><a href="http://www.anobii.com/books/Le_cose_cos%C3%AC/9788893360234/015f038e50580ba1b1/">Le cose così</a></i> di <b>Mattia Labadessa</b>.</span></div>
niccehttp://www.blogger.com/profile/12884567277362765310noreply@blogger.com0