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mercoledì 30 aprile 2025

(altri) libri letti questo mese - aprile 2025

Per tutti i libri di cui non ho parlato in specifici post, c'è spazio qui in questa sintesi delle (altre) letture del mese. In ordine crescente di gradimento.

Uomini che fanno la guerra, si incazzano, diventano furiosi, litigano, sono gelosi, minacciosi, e usano la forza in modo esplicito, picchiando, violentando. Ma sono anche violenti in modo piú moderno, quindi occultato, passivo: sono lamentosi e recriminatori, e finiscono per soffocare le donne in altro modo. Sono i personaggi dei romanzi presentati da Francesco Piccolo nel saggio Son qui: m'ammazzi, racconto e indagine appunto su tredici personaggi maschili della letteratura italiana, che, secondo l'autore, sono entrati nelle nostre vite e hanno segnato in maniera indelebile il nostro immaginario, contribuendo a legittimare il mito della maschilità e la cultura virile. Ovvero, le opere chiave della nostra letteratura hanno in qualche modo contribuito a consolidare una certa idea di maschio, e in esse ci sono le tracce di uomini potenti, arroganti, violenti, egoisti e famelici. A partire dalle fondamenta, dalla settima novella dell'ottava giornata del Decameron, in cui Boccaccio mette in scena la spietata vendetta del giovane scolaro Rinieri, che sbeffeggiato e rifiutato da una avvenente vedova la punisce facendo in modo che non possa piú vantare la propria avvenenza - la morale: se si ferisce il maschio non è pena affatto ingiusta essere sfregiate a vita. E poi le peripezie matrimoniali di Zeno di cui scrive Svevo, uno Zeno Cosini arrogante e fragile al tempo stesso, irrazionale che si finge ponderato, ma soprattutto, come ogni uomo che si rispetti, tarlato dal desiderio, che una volta piantato in testa non schioda piú e fa compiere i gesti piú sciocchi e sconsiderati. E poi ancora, l'innominato di Manzoni, il Principe di Salina di Tomasi di Lampedusa, 'Ntoni di Verga, l'Antonio di Brancati, il Milton di Fenoglio e altri maschi, tutti sempre uguali a se stessi, vigliacchi e furiosi, gelosi e violenti, al centro di romanzi che hanno costruito il canone della letteratura italiana. Perché chi siamo ha a che fare con la famiglia, l'educazione, il mondo dove si cresce, ma anche con i libri che si sono letti.
Un po' troppo semplicistica e generalizzante, però, la tesi che questi racconti semplicemente corrispondano a quello che siamo.

Due morti apparentemente inspiegabili, una seteria in cui niente è come sembra, una donna alla ricerca della verità, rappresentano il punto di partenza de La fabbrica dei destini invisibili di Cécile Baudin. Le sirene delle seterie scandiscono la vita dell’Ain, una delle tante regioni che hanno cambiato volto dopo la Rivoluzione industriale. Eppure, fuori dei ritmi regimentati della fabbrica - che grazie alle nuove leggi sul lavoro garantisce salari migliori e orari più umani -, ci sono ancora centinaia di donne che vengono sfruttate nelle soffitte delle case, dove si fila sino a tarda ora alla luce incerta di una candela. È proprio per difendere i diritti di queste giovani invisibili se Claude Tardy è diventata ispettrice del lavoro. Una professione nuova e ancora tutta maschile, al punto che, per poterla svolgere, spesso Claude è costretta a indossare vestiti da uomo. Come la fredda sera di dicembre del 1893 in cui viene chiamata a indagare sulla morte sospetta di un operaio, trovato impiccato agli stessi fili metallici su cui si spezzava la schiena durante il giorno. E la faccenda si complica tre mesi dopo, quando dalle acque di un lago emerge il cadavere di un altro operaio. Due morti che non avrebbero nulla in comune, se non fosse che le vittime si somigliano come gocce d’acqua e sembrano in qualche modo legate a un convitto di religiose, dove le giovani operaie delle seterie sono ospitate fino al giorno del matrimonio. Ed è qui che la strada di Claude incrocia quella di suor Placide, che da mesi aspetta notizie di una ragazza scomparsa all’improvviso. A poco a poco, le due donne si rendono conto che le loro ricerche sono collegate e che solo unendo le forze potranno fare luce su una brutale realtà sommersa che coinvolge uomini potenti e pericolosi. Una realtà che in troppi hanno sempre finto di non vedere, per paura o per avidità.

Gifts. Doni, primo volume di Annals of the Western Shore di Ursula K. Le Guin. Nelle aspre e selvagge Altelande, vivono uomini che possiedono un dono, dono che è tramandato attraverso le generazioni, per via ereditaria, fin da quando se ne ha memoria. Sono doni meravigliosi, che permettono di evocare animali e mutare paesaggi, ma che possono essere anche terribili perché possono ottenebrare le menti o infliggere malattie. Orrec appartiene alla famiglia dei Caspromant, tanto famosa quanto temuta per il dono del disfacimento: un potere distruttivo, in grado di annientare qualsiasi cosa o persona, con la sola imposizione dello sguardo. All'età di tredici anni, però, il giovane ancora stenta a manifestarlo, ragion per cui il padre Canoc è molto turbato e c'è grande preoccupazione nel regno. Finché un giorno, all'improvviso, Orrec devasta un'intera collina senza volerlo, e prende l'amara decisione di bendarsi per sempre, per il timore di causare danni a ciò che ama di più, come la dolce Gry, compagna d'infanzia e forse sua futura sposa, anche lei dotata di un potente e magnifico dono. Ribellandosi ai loro destini, i due giovani affronteranno insieme le sfide della vita, per andare alla ricerca di loro stessi e del loro posto nel mondo.
Su potere, dovere e responsabilità: Per lui, il privilegio era un obbligo; comandare era servire; e il potere, il dono stesso, comportava una pesante perdita di libertà personale.

Un bell'affresco famigliare di desideri, solitudini e macerie senza fine, e al tempo stesso ritratto della contemporaneità, è Il giorno dell'ape di Paul Murray. La famiglia Barnes è nei guai: la concessionaria di Dickie, il padre, sta per fallire, ma lui, invece di affrontare la situazione, trascorre le giornate costruendo un bunker a prova di apocalisse; la moglie, Imelda, nel frattempo, si è messa a vendere i gioielli su eBay; la figlia maggiore, l'adolescente Cass, ex prima della classe, sembra voler sabotare la sua carriera scolastica; e PJ, il figlio dodicenne, sta allestendo un piano per scappare di casa. Che cosa è andato storto per i Barnes, al punto da mandare tutto in rovina? La coralità della narrazione, la somma dei punti di vista diversi che portano avanti - e indietro - la storia, forse permetterà di ricostruire e rintracciare il preciso inizio di tutto.

L'arte della gioia è un libro postumo di Goliarda Sapienza: giaceva da vent'anni abbandonato in una cassapanca e, dopo essere stato rifiutato da molti editori, venne stampato in pochi esemplari da Stampa Alternativa nel 1998. Ma soltanto quando uscì in Francia ricevette il giusto riconoscimento. Nel romanzo tutto ruota intorno alla figura di Modesta, una donna vitale e scomoda, potentemente immorale secondo la morale comune. Una donna siciliana in cui si fondono carnalità e intelletto. Modesta nasce in una casa povera ma fin dall'inizio è consapevole di essere destinata a una vita che va oltre i confini del suo villaggio. Ancora ragazzina è mandata in un convento e successivamente in una casa di nobili dove, grazie al suo talento e alla sua intelligenza, riesce a convertirsi in aristocratica attraverso un matrimonio di convenienza. Tutto ciò senza smettere di sedurre uomini e donne di ogni tipo. Amica generosa, madre affettuosa, amante sensuale, Modesta è una donna capace di scombinare ogni regola del gioco pur di godere del vero piacere, sfidando la cultura patriarcale, fascista, mafiosa e oppressiva in cui vive. Opera certamente scandalosa, erotica e politica, romanzo d'avventura e di formazione.
È il pieno possesso delle emozioni e la conoscenza suprema di ogni attimo prezioso che la vita ti concede in premio se hai polso fermo e coraggio. Ora so il senso profondo della libertà e della gioia, della tua arte mi sono impossessata, e solo gioia essa sarà da oggi per me.

Libro a sorpresa del mese, un testo a lungo cercato e tornato disponibile solo un anno fa, la raccolta di saggi dopo Heidegger scritti da Peter Sloterdijk negli anni Novanta e usciti con il titolo di Non siamo ancora stati salvati, replica appunto alla tesi heideggeriana - sostenuta nella sua ultima intervista rilasciata alla stampa - per cui «solo un dio ci può salvare». In questa serie di testi il filosofo tedesco risponde in modo ironico che non solo non siamo stati ancora salvati, ma che non lo saremo. L’essere umano non è altro che quel particolare animale che crea forme di addomesticamento reciproco, chiamate “culture”, rispetto alle quali non c’è alcun “fuori” a cui chiedere una qualche forma di salvezza. Nessun dio può infrangere il nostro destino di animali sapiens. Questa è la tesi feroce e disincantata che l’autore sostiene nel più provocatorio dei saggi contenuti nel volume, Regole per il parco umano. Clonazione, scoperte geografiche e coscienza delle macchine, umanismo e pessimismo, mostri e metafisica sono solo alcuni dei temi che attraversano i dieci saggi che compongono questo straordinario affresco di filosofia e storia della cultura contemporanea.
Leggere Sloterdijk è sempre straniante, illuminante, perturbante, gratificante, faticoso, estenuante, splendido, arricchente, ascetico.

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