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sabato 31 maggio 2025

(altri) libri letti questo mese - maggio 2025

Questo mese sono riuscito a scrivere poco o nulla - anche per i tanti pomeriggi passati a scuola tra collegio docenti, ricevimento generale delle famiglie, corsi di formazione sul gioco strutturato nella sua pratica educativa quotidiana e sul fare storia mediante il gioco e i mattoncini. Ma il post che raccoglie, in ordine crescente di preferenza, le letture mensili che non sono state oggetto di specifici post non poteva mancare.

Opera prima di  Hiroko Oyamada, La fabbrica ritrae il titanico ecosistema della vita lavorativa moderna, in cui l'esistenza umana sembra naufragare. La fabbrica è grande, grigia e assomiglia in tutto e per tutto a una vera e propria città, con un ponte a due corsie, un servizio di autobus e una propria compagnia di taxi, vetture e furgoni con il suo celebre logo che percorrono tutti i giorni le strade dei dintorni, e non vi è genitore che non auguri ai figli una brillante carriera alle sue dipendenze. Per la giovane Yoshiko, fresca di laurea, l’assunzione nella fabbrica rappresenta di certo un sogno che si realizza, e poco importa che il lavoro le venga pagato a ore, sia a tempo determinato e preveda un’unica mansione: azionare una macchina distruggi documenti per tutto il giorno, in qualità di membro della cosiddetta «Squadra distruttori». Per il briologo esperto in muschi Yoshio il salto di qualità è evidente: da ricercatore precario di una università di provincia a dipendente a tempo indeterminato nella famosa azienda in cui, a detta del suo professore, tutti i migliori laureati del paese sognano di entrare. E così Yoshio si ritrova a dirigere l’ufficio «sviluppo tetti verdi» del Reparto nuove soluzioni ambientali, che nemmeno esisteva prima del suo arrivo. L’assunzione nella fabbrica pare provvidenziale anche per Ushiyama, che lavorava come tecnico informatico per una piccola ditta prima di essere licenziato in tronco e senza spiegazioni: ora lavora come correttore di bozze al Reparto dati e documenti della fabbrica, ha a che fare solo con fogli di carta, penne e matite e ancora non ha capito se deve ritenersi fortunato. Tre giovani vite dedicate a una liturgia, il lavoro nella fabbrica, che, come un servizio di culto dovuto a un dio sconosciuto, governa il loro tempo. Che cosa produce, infatti, la fabbrica? Ed esiste ancora un mondo oltre i suoi confini?

Con Il giardino magico, Kaho Nashiki omaggia i giardini segreti dell’infanzia di ognuno e incoraggia i lettori a affrontare le proprie ferite, accettarle e convivere con esse. L'ambientazione è costituita da una grande villa in stile occidentale - dove erano vissuti i Burness prima di tornare in Inghilterra allo scoppio della Seconda guerra mondiale -, nel parco, ormai abbandonato, della quale avevano giocato generazioni di bambini. Una di loro, Terumi, è ora un’adolescente in conflitto con i genitori. La sua famiglia è stata colpita da una tragedia difficile da superare e lei ha trovato rifugio nei racconti del nonno di un’amica. Ma anche le storie più incredibili hanno un fondo di verità, e Terumi è venuta a conoscenza dell’esistenza di un giardino segreto a cui si può accedere pronunciando una formula magica davanti a un antico specchio di villa Burness. Ha quindi inizio la sua avventura in un mondo fantastico strettamente intrecciato alla realtà che la porterà a scoprire la verità sulla sua famiglia e su se stessa.

I Nove racconti di J.D. Salinger mostrano lo humor, la spietatezza, la grazia e la tragica amarezza del loro autore. Il loro punto di partenza è il "parlato" più colloquiale e modulato sulle effimere cadenze della moda. Per Salinger solo i bambini e chi ha vissuto l'orrore della guerra è vicino alla verità. Il dialogo dei bambini è una finestra su una realtà diversa e vertiginosa. Ma anche una conversazione pomeridiana tra amiche o la telefonata di un uomo che è a letto con una donna non sua diventano occasioni di poesia, nutrita di grande pietà umana.

Con Missitalia Claudia Durastanti consegna un romanzo in cui la geografia prevale sulla storia. Nella Lucania, infatti, ambienta tre storie di epoche diverse, in cui il paesaggio è lo stesso ma le vicende sono profondamente dievrse e slegate. Amalia Spada è un’avventuriera lontana dai tumulti che agitano la nazione che sta per nascere: donna dallo spirito irrequieto e temerario, vive in una casa tra i calanchi lucani diventata un rifugio per creature diseredate e ribelli in cerca di una nuova vita, per ragazze selvatiche e uomini dalla forza mozzata. Quando arriva l’industrializzazione, la fabbrica piomba nelle loro vite come un oscuro oggetto del desiderio, mutandone per sempre il destino. Negli anni del dopoguerra e della corsa all’energia, una giovane antropologa di nome Ada esplora la Basilicata del sortilegio e del petrolio mentre scopre diverse incarnazioni dell’amore: muovendosi tra centri di potere e impianti d’estrazione, Ada si ritrova invischiata in un Sud perturbante e magnetico che rivoluziona il corso della sua esistenza. Cento anni più tardi, la Lucania è diventata la base per la colonizzazione della Luna, da cui partono le navicelle dell’Agenzia Spaziale Mediterranea dirette al Mondo Nuovo. In questo insediamento avveniristico, si trova A, una donna solitaria e libera che ridà vita a oggetti non più desiderati per conto dell’Agenzia, donna nel cui passato c’è stato un marito, ma anche il bisogno di andare lontano, e nel cui presente c'è la voglia di conciliarsi con l’idea della fine.

Un grande appassionato di gialli è il protagonista della serie di Piergiorgio Pulixi il cui primo volume è La libreria dei gatti neri. Questo - o, meglio, Les Chats Noirs, omaggio anche ai due gatti neri che un giorno si sono presentati in negozio e non se ne sono più andati, da lui soprannominati Miss Marple e Poirot - il nome della piccola libreria specializzata in romanzi polizieschi che Marzio Montecristo ha aperto da qualche anno nel centro di Cagliari. Nonostante il brutto carattere del proprietario, la libreria è molto frequentata, ed è Patricia, la giovane collaboratrice di Montecristo, di origini eritree, a salvare i clienti dalle sfuriate del titolare. La libreria ha anche un gruppo di lettura, “gli investigatori del martedì”, un manipolo di super esperti di gialli che si riuniscono dopo la chiusura per discettare del romanzo della settimana. È una banda mal assembrata ma molto unita, di cui Marzio è diventato l’anima, suo malgrado. Un anno prima il gruppo si è dimostrato capace di aiutare una vecchia amica di Montecristo, la sovrintendente Angela Dimase, a risolvere un vero caso da tutti considerato senza speranza, amica che ora torna a chiedere la loro collaborazione per un’indagine che le sta togliendo il sonno: un uomo incappucciato si è presentato a casa di una famiglia, ha immobilizzato due coniugi e il loro figlioletto e ha intimato all’uomo di scegliere chi doveva morire tra la moglie e il figlio, e se non avesse deciso entro un minuto, li avrebbe uccisi tutti e due. Il sadico killer viene presto soprannominato «l’assassino delle clessidre», visto che sulla scena del crimine ne lascia sempre una. Riusciranno gli improbabili “investigatori del martedì” a sbrogliare anche questo caso?

La donna della mansarda è il sesto caso del commissario Arcadipane e di Corso Bramard, i personaggi di Davide Longo, ma è il primo suo romanzo che leggo. Nell'ottobre del 2013, a Torino una donna di trentasette anni scompare senza lasciare tracce. Niente di clamoroso, se la donna in questione non fosse stata Tina, pittrice di fama internazionale che da tempo viveva rinchiusa nel suo appartamento-studio all'interno della Prora, il bizzarro palazzo progettato dal bisnonno architetto. Quando il caso viene archiviato come allontanamento volontario, Muriel Gallirossi - agente, confidente e tuttofare di Tina - si rivolge a Bramard: è sicura che l'amica sia stata assassinata. Corso sa che le indagini sono state approfondite e che il presunto responsabile ha un alibi di ferro, eppure - nemmeno lui saprebbe dire perché, forse a turbarlo sono i quadri di Tina, forse la bellezza di Muriel - decide di parlarne con Arcadipane.


A Trieste Marco Balzano ambienta il suo romanzo Bambino. La Seconda guerra mondiale è appena finita, un uomo beve un caffè al bancone del bar, qualcuno lo chiama, lui si gira ma sente già la canna di una pistola puntata contro la schiena. Tutti lo conoscono come «Bambino»: è stato la camicia nera più spietata della città, ha ucciso e fatto uccidere, ha sempre cercato di stare dalla parte del più forte e si è sempre ritrovato dalla parte sbagliata. Una romanzo storico e civile, una storia veloce quanto un proiettile che attraversa guerre, confini, tradimenti, che indaga il rapporto tra individuo e collettività, tra le scelte personali e i grandi rivolgimenti della Storia, e con un personaggio duro. Mattia nasce a Trieste nel 1900, la sua infanzia irrequieta, forse, è già un presagio: un fratello che parte per l’America, un amico che presto lo abbandona. Quando scopre che la donna che lo ha cresciuto non è la sua vera madre, dentro di lui qualcosa si spezza e nel petto divampa un fuoco freddo che non saprà mai domare. L’ingresso tra le file degli squadristi è una conseguenza quasi naturale. Nonostante il soprannome che gli hanno affibbiato per il suo viso da fanciullo, «Bambino», Mattia ostenta una ferocia da boia. Ma prima ancora dell’ideologia, prima della violenza e della brutalità antislava, il motivo per cui indossa la camicia nera e batte palmo a palmo le terre contese è la speranza di ritrovare quella madre senza nome né volto. La ricerca di una donna che non ha mai conosciuto diventa il senso di tutto. Suo padre, un vecchio orologiaio sicuro che le persone si possano riparare come gli ingranaggi, è l’unico a conoscere la verità ma la tiene sigillata in un silenzio blindato quanto una cassaforte. Nella frontiera d’Italia più dilaniata, la vita di Mattia scivola su un piano inclinato: ogni giorno una nuova spedizione, un nuovo assalto, una nuova rapina. E poi, tutto d’un fiato, lo scoppio della guerra, i nazisti in città, l’occupazione jugoslava di Trieste, le foibe. Un’esistenza vissuta da cane sciolto, scandita da un implacabile conto alla rovescia. Un romanzo palpitante in cui il giudizio - anche di fronte alle azioni più estreme - è sempre fuori scena. 

Il buio oltre la siepe - ovvero To Kill a Mockingbird - è il classico di Harper Lee in cui l'avvocato Atticus Finch è incaricato della difesa d'ufficio di un afroamericano accusato di aver stuprato una ragazza bianca, il tutto in una sonnolenta cittadina del profondo Sud degli Stati Uniti. Riuscirà a dimostrarne l'innocenza, ma l'uomo sarà ugualmente condannato a morte. Intorno a questo episodio centrale, è costruito un affresco colorito e divertente della vita nel Sud ai tempi delle grandi piantagioni di cotone, dei braccianti neri che le coltivavano, delle cuoche di colore che allevavano i figli dei discendenti delle grandi famiglie dell'Ottocento, della white trash, i "bianchi poveri" abbrutiti e alcolizzati, e anche delle sentenze sommarie di giurie razziste e degli ultimi linciaggi americani della storia. La voce narrante è quella della piccola Scout, la figlia di Atticus, una Huckleberry Finn in salopette (dire "in gonnella" sarebbe inesatto, perché Scout è una maschiaccia impertinente e odia vestirsi da donna) che, ora sola ora in compagnia del fratello maggiore e del loro amico più caro, racconta la storia di Maycomb, Alabama, della propria famiglia, delle pettegole signore della buona società che vorrebbero farla diventare una di loro, di bianchi e neri per lei tutti uguali, e della vana battaglia paterna per salvare la vita di un innocente.
Aggiungo qui anche Va', metti una sentinella, seguito del romanzo di Harper Lee, in cui la ventiseienne Jean Louise "Scout" Finch  torna a casa da New York per visitare l'anziano padre, Atticus. Ambientato sullo sfondo delle tensioni per i diritti civili e il trambusto politico che negli anni cinquanta stanno trasformando il Sud degli Stati Uniti, questo ritorno assume un sapore agrodolce quando "Scout" viene a sapere verità inquietanti sulla sua famiglia, sulla cittadina e sulle persone che le sono più care. Questo ritorno è però estremamente deludente dal punto di vista della lettura, fatto da ricordi dell'infanzia giustapposti alla narrazione che sembrano solo parti espunte o non utilizzate del primo romanzo, e da personaggi che, più che essere compresi in modo più completo, appaiono quasi stravolti rispetto a quello che erano.

mercoledì 30 aprile 2025

(altri) libri letti questo mese - aprile 2025

Per tutti i libri di cui non ho parlato in specifici post, c'è spazio qui in questa sintesi delle (altre) letture del mese. In ordine crescente di gradimento.

Uomini che fanno la guerra, si incazzano, diventano furiosi, litigano, sono gelosi, minacciosi, e usano la forza in modo esplicito, picchiando, violentando. Ma sono anche violenti in modo piú moderno, quindi occultato, passivo: sono lamentosi e recriminatori, e finiscono per soffocare le donne in altro modo. Sono i personaggi dei romanzi presentati da Francesco Piccolo nel saggio Son qui: m'ammazzi, racconto e indagine appunto su tredici personaggi maschili della letteratura italiana, che, secondo l'autore, sono entrati nelle nostre vite e hanno segnato in maniera indelebile il nostro immaginario, contribuendo a legittimare il mito della maschilità e la cultura virile. Ovvero, le opere chiave della nostra letteratura hanno in qualche modo contribuito a consolidare una certa idea di maschio, e in esse ci sono le tracce di uomini potenti, arroganti, violenti, egoisti e famelici. A partire dalle fondamenta, dalla settima novella dell'ottava giornata del Decameron, in cui Boccaccio mette in scena la spietata vendetta del giovane scolaro Rinieri, che sbeffeggiato e rifiutato da una avvenente vedova la punisce facendo in modo che non possa piú vantare la propria avvenenza - la morale: se si ferisce il maschio non è pena affatto ingiusta essere sfregiate a vita. E poi le peripezie matrimoniali di Zeno di cui scrive Svevo, uno Zeno Cosini arrogante e fragile al tempo stesso, irrazionale che si finge ponderato, ma soprattutto, come ogni uomo che si rispetti, tarlato dal desiderio, che una volta piantato in testa non schioda piú e fa compiere i gesti piú sciocchi e sconsiderati. E poi ancora, l'innominato di Manzoni, il Principe di Salina di Tomasi di Lampedusa, 'Ntoni di Verga, l'Antonio di Brancati, il Milton di Fenoglio e altri maschi, tutti sempre uguali a se stessi, vigliacchi e furiosi, gelosi e violenti, al centro di romanzi che hanno costruito il canone della letteratura italiana. Perché chi siamo ha a che fare con la famiglia, l'educazione, il mondo dove si cresce, ma anche con i libri che si sono letti.
Un po' troppo semplicistica e generalizzante, però, la tesi che questi racconti semplicemente corrispondano a quello che siamo.

Due morti apparentemente inspiegabili, una seteria in cui niente è come sembra, una donna alla ricerca della verità, rappresentano il punto di partenza de La fabbrica dei destini invisibili di Cécile Baudin. Le sirene delle seterie scandiscono la vita dell’Ain, una delle tante regioni che hanno cambiato volto dopo la Rivoluzione industriale. Eppure, fuori dei ritmi regimentati della fabbrica - che grazie alle nuove leggi sul lavoro garantisce salari migliori e orari più umani -, ci sono ancora centinaia di donne che vengono sfruttate nelle soffitte delle case, dove si fila sino a tarda ora alla luce incerta di una candela. È proprio per difendere i diritti di queste giovani invisibili se Claude Tardy è diventata ispettrice del lavoro. Una professione nuova e ancora tutta maschile, al punto che, per poterla svolgere, spesso Claude è costretta a indossare vestiti da uomo. Come la fredda sera di dicembre del 1893 in cui viene chiamata a indagare sulla morte sospetta di un operaio, trovato impiccato agli stessi fili metallici su cui si spezzava la schiena durante il giorno. E la faccenda si complica tre mesi dopo, quando dalle acque di un lago emerge il cadavere di un altro operaio. Due morti che non avrebbero nulla in comune, se non fosse che le vittime si somigliano come gocce d’acqua e sembrano in qualche modo legate a un convitto di religiose, dove le giovani operaie delle seterie sono ospitate fino al giorno del matrimonio. Ed è qui che la strada di Claude incrocia quella di suor Placide, che da mesi aspetta notizie di una ragazza scomparsa all’improvviso. A poco a poco, le due donne si rendono conto che le loro ricerche sono collegate e che solo unendo le forze potranno fare luce su una brutale realtà sommersa che coinvolge uomini potenti e pericolosi. Una realtà che in troppi hanno sempre finto di non vedere, per paura o per avidità.

Gifts. Doni, primo volume di Annals of the Western Shore di Ursula K. Le Guin. Nelle aspre e selvagge Altelande, vivono uomini che possiedono un dono, dono che è tramandato attraverso le generazioni, per via ereditaria, fin da quando se ne ha memoria. Sono doni meravigliosi, che permettono di evocare animali e mutare paesaggi, ma che possono essere anche terribili perché possono ottenebrare le menti o infliggere malattie. Orrec appartiene alla famiglia dei Caspromant, tanto famosa quanto temuta per il dono del disfacimento: un potere distruttivo, in grado di annientare qualsiasi cosa o persona, con la sola imposizione dello sguardo. All'età di tredici anni, però, il giovane ancora stenta a manifestarlo, ragion per cui il padre Canoc è molto turbato e c'è grande preoccupazione nel regno. Finché un giorno, all'improvviso, Orrec devasta un'intera collina senza volerlo, e prende l'amara decisione di bendarsi per sempre, per il timore di causare danni a ciò che ama di più, come la dolce Gry, compagna d'infanzia e forse sua futura sposa, anche lei dotata di un potente e magnifico dono. Ribellandosi ai loro destini, i due giovani affronteranno insieme le sfide della vita, per andare alla ricerca di loro stessi e del loro posto nel mondo.
Su potere, dovere e responsabilità: Per lui, il privilegio era un obbligo; comandare era servire; e il potere, il dono stesso, comportava una pesante perdita di libertà personale.

Un bell'affresco famigliare di desideri, solitudini e macerie senza fine, e al tempo stesso ritratto della contemporaneità, è Il giorno dell'ape di Paul Murray. La famiglia Barnes è nei guai: la concessionaria di Dickie, il padre, sta per fallire, ma lui, invece di affrontare la situazione, trascorre le giornate costruendo un bunker a prova di apocalisse; la moglie, Imelda, nel frattempo, si è messa a vendere i gioielli su eBay; la figlia maggiore, l'adolescente Cass, ex prima della classe, sembra voler sabotare la sua carriera scolastica; e PJ, il figlio dodicenne, sta allestendo un piano per scappare di casa. Che cosa è andato storto per i Barnes, al punto da mandare tutto in rovina? La coralità della narrazione, la somma dei punti di vista diversi che portano avanti - e indietro - la storia, forse permetterà di ricostruire e rintracciare il preciso inizio di tutto.

L'arte della gioia è un libro postumo di Goliarda Sapienza: giaceva da vent'anni abbandonato in una cassapanca e, dopo essere stato rifiutato da molti editori, venne stampato in pochi esemplari da Stampa Alternativa nel 1998. Ma soltanto quando uscì in Francia ricevette il giusto riconoscimento. Nel romanzo tutto ruota intorno alla figura di Modesta, una donna vitale e scomoda, potentemente immorale secondo la morale comune. Una donna siciliana in cui si fondono carnalità e intelletto. Modesta nasce in una casa povera ma fin dall'inizio è consapevole di essere destinata a una vita che va oltre i confini del suo villaggio. Ancora ragazzina è mandata in un convento e successivamente in una casa di nobili dove, grazie al suo talento e alla sua intelligenza, riesce a convertirsi in aristocratica attraverso un matrimonio di convenienza. Tutto ciò senza smettere di sedurre uomini e donne di ogni tipo. Amica generosa, madre affettuosa, amante sensuale, Modesta è una donna capace di scombinare ogni regola del gioco pur di godere del vero piacere, sfidando la cultura patriarcale, fascista, mafiosa e oppressiva in cui vive. Opera certamente scandalosa, erotica e politica, romanzo d'avventura e di formazione.
È il pieno possesso delle emozioni e la conoscenza suprema di ogni attimo prezioso che la vita ti concede in premio se hai polso fermo e coraggio. Ora so il senso profondo della libertà e della gioia, della tua arte mi sono impossessata, e solo gioia essa sarà da oggi per me.

Libro a sorpresa del mese, un testo a lungo cercato e tornato disponibile solo un anno fa, la raccolta di saggi dopo Heidegger scritti da Peter Sloterdijk negli anni Novanta e usciti con il titolo di Non siamo ancora stati salvati, replica appunto alla tesi heideggeriana - sostenuta nella sua ultima intervista rilasciata alla stampa - per cui «solo un dio ci può salvare». In questa serie di testi il filosofo tedesco risponde in modo ironico che non solo non siamo stati ancora salvati, ma che non lo saremo. L’essere umano non è altro che quel particolare animale che crea forme di addomesticamento reciproco, chiamate “culture”, rispetto alle quali non c’è alcun “fuori” a cui chiedere una qualche forma di salvezza. Nessun dio può infrangere il nostro destino di animali sapiens. Questa è la tesi feroce e disincantata che l’autore sostiene nel più provocatorio dei saggi contenuti nel volume, Regole per il parco umano. Clonazione, scoperte geografiche e coscienza delle macchine, umanismo e pessimismo, mostri e metafisica sono solo alcuni dei temi che attraversano i dieci saggi che compongono questo straordinario affresco di filosofia e storia della cultura contemporanea.
Leggere Sloterdijk è sempre straniante, illuminante, perturbante, gratificante, faticoso, estenuante, splendido, arricchente, ascetico.

venerdì 18 aprile 2025

è così difficile pensare di cambiare il mondo?

Se tanto mi piacciono i romanzi di Vanni Santoni, è probabilmente perché con l'autore - per questioni generazionali? di formazione? - condivido buona parte di immaginario e vocabolario. Così è anche per l'ultimo Il detective sonnambulo, che prende le mosse da una Parigi contemporanea in cui Martino, che se ne è andato dall'Italia come tanti, vaga senza grandi prospettive fino a quando incontra Johanna: capelli rosso fuoco - esattamente pantone 1807 che va in 1805 nei punti luce e in 188 nelle ombre -, magnetica e scostante, è giovane quanto lui eppure più matura e complessa, almeno ai suoi occhi. Si innamorano, ma è un amore reso difficile dalle continue scomparse di lei, che non sembra avere una sola vita ma molte, e negli ambienti più diversi. E tuttavia si amano, nella città scossa da manifestazioni e rivolte - come quella del romanzo Aliena di Phoebe Hadjimarkos Clarke, non da molto consiglio di lettura dello stesso Santoni -, fino a quello che per Martino è il collasso di un mondo: Johanna scompare di nuovo, ma stavolta non per un giorno o due. Scompare, e non si fa più vedere. Martino la cerca ovunque, come uno di quegli investigatori col trench dei vecchi film noir - -, mentre passano i giorni e le settimane - e finiscono i soldi -, finché incappa in un manifesto che mostra la foto di un ragazzo bellissimo ed elegante che scende da un jet privato e, dietro di lui, riconosce subito i capelli rossi e l'inconfondibile postura di Johanna. Il poster è stato affisso da Tanya, la leader di un gruppetto anarchico che sta conducendo una ricerca che è lo specchio della sua: vuole ritrovare il giovane della foto, un certo Manfredi Contini della Torre - o Zoro009, o D.Tor, o Della T. -, criptomilionario che ha fatto una misteriosa donazione al suo gruppo. Tanya e Martino uniscono le forze e si imbarcano in un'indagine che li porterà a inseguire in giro per l'Europa Manfredi e gli eccentrici progetti finanziati dal suo impero fondato sui bitcoin, fino a invischiarsi con lui e Johanna in un quadrilatero amoroso sempre più difficile da sbrogliare, e in un ambizioso progetto che riunisce attivismo politico, esposizioni artistiche, programmazione digitale.

Tanti gli interrogativi e le provocazioni del romanzo:

Statuette, pupazzi e gadget vari, personaggi di fine resina pitturata a mano, diorami di scene celebri di One PieceNarutoDragon BallDemon Slayer e altro, sono modi in cui hanno preso sostanza i sogni di adulti che non volevano diventare tali, o che volevano tornare indietro e continuare a sognare, ma più in grande?

È
 possibile prendersi il privilegio di dare un senso a se stessi, salvarsi attraverso la creazioneÈ possibile avere accesso a una realtà ulteriore, più intensa e imprevedibile e avventurosa, più epica rispetto all'inautenticità che prima e per lo più è la vita quotidiana? O avere almeno un grande epilogo - alla Dark Angel Saga della run di Uncanny X-Force scritta da Rick Remender?

Si può - e sarebbe bene, del resto - essere puri, o anche andare
oltre, appartenere a quel mondo, già in qualche modo alieno alla natura umana, che è dei pazzi, o dei bimbi, o degli angeli, dei santi? Si può essere - à la Nietzsche - generosi e ricchi di spirito, aperti al mondo come fontane, non impedendo a nessuno di attingere dalle nostre acque, e così, certo, nemmeno impedendo a chicchessia di renderci torbidi, gettando in noi i passanti le cartacce e le bottiglie, i piccioni la loro merda, ma lasciando che tutto ciò scenda giù, in profondità, e tornando a essere limpidi?

Piuttosto che prepper - quelli che si fanno il bunker in qualche isola, quelli che si preparano a vivere in un mondo morto - e lungotermisti - quelli che pensano già all'umanità del 10.000, alla colonizzazione di Marte, al postcorpo, alle individualità solo-digitali - non è preferibile pensare ai problemi di oggi? E se sì, dove sono allora le folle inferocite o individui che pensino in grande, cerchino una via, non abbiano smesso di immaginare un futuro? Si è entrati in un'era a ogni effetto escatologica, tutto sta andando giù per lo scarico del cesso, e 
si è perso il senso della ribellione? Possibile che a Firenze le venti famiglie più ricche, oggi, sono le stesse che erano le più ricche nel Quattrocento? Manca la visione, la mentalità, di cambiare il mondo?  È così difficile pensarlo? Sprima che nascessero i giovani protagonisti di questo romanzo, i giovani delle ultime generazioni, pure il più pulcioso degli studentelli con la chitarra a tracolla voleva cambiare il mondo, perché adesso neanche chi ha un portafoglio di miliardi osa covare un tale sogno? Tanti miliardari e neanche un Batman?  È normale che tali individui non si mettano manco a fare i mecenati, come nel Quattrocento? O è tutta una grande tristezza? Non dovremmo allora far intendere alla gente che il riccastro può essere fatto fuori, che i castelli dei riccastri possono essere stretti d'assedio, che si può, si deve, ricorrere alla violenza? Far capire alla gente che il vero nemico è quello nei palazzi (o nei castelli), e che è più vulnerabile di quanto non si creda?

Possibile che il più alto dei risultati dell'Occidente, con cui ha vinto la guerra fredda, sia lo sfoggio di merci, tutte disponibili, subito, tutte fresche, tutte pronte, tutte all'occhio, cornucopie di frutta, festonature di pesci e gamberi e calamari, panoplie di salamelle e chorizos? E che però, pure, la fine s'annuncia in quest'abbondanzanelle confezioni di plastica, in una scatola che dura cinquecento anni per qualcosa che consumiamo in cinque minuti?

Possibile che solo i grandi esempi smuovano la storia? Nuove i
dee che tirino fuori da uno stato di ottundimento, di sonnambulismo, possono attecchire solo se favorite più da catastrofi che da avvertimenti, occorrendo cioè una Warnkatastrophe, una catastrofe che serva da monito, un fenomeno abbastanza violento da indurre processi di apprendimento, ma non così devastante da riportare allo stato selvaggio?

Pongo tutto sotto forma di domanda, perché la grandezza di questo romanzo è anche quella di far abitare ai suoi protagonisti questi interrogativi, porre queste questioni, senza la pretesa di univoche risposte.

mercoledì 9 aprile 2025

il dilemma del porcospino (filosofia di evangelion 2di2)

Terza domanda: essere nel mondo. Se l'identità è fortemente caratterizzata dalla narrazione che facciamo di noi stessi, questa autonarrazione si arricchisce con l'esperienza dei racconti altrui che entra a far parte della propria biografia. Geniale, in questo senso, la metanarrazione dell'episodio 26: nel momento in cui Shinji si rende consapevole di essere simbolo e immagine narrativa che mostra agli altri, assume forme statiche diverse proprio a sottolineare come lui sia tutte quelle narrazioni che devono essere rielaborate in un unico stile che è il proprio stile.
Nella serie gli angeli sono una contro-narrazione, un racconto diverso che scava e sfida l'animo umano. Innanzitutto, mettono in crisi la certezza nel progresso, secoli di fiducia verso il quale sono dissolti di fronte a qualcosa di alieno. Poi, mentre tutti i protagonisti umani sono profondamente convinti di bastare a se stessi, gli angeli li costringono a collaborare, dimostrando che nessuno si salva da solo. E ancora, mettono in crisi la convinzione di poter proteggere la propria intimità. Ma gli angeli sono uguali all'uomo al 99,89%, il vero nemico in Evangelion è l'altro in tutte le sue forme e gli angeli non sono che un artefatto narrativo per esemplificare l'alieno, ciò che è assolutamente altro da me, il diverso per eccellenza. Il conflitto è prospettico, e si fonda sull'errata credenza che solo un punto di vista sia quello corretto: l'unico modo di uscire da questo conflitto è abitare l'ultima domanda.

Quarta domanda: risolvere l'intricato e delicato dilemma del porcospino. Tre sono le possibili soluzioni.
La fuga. L'A.T. Field - Absolute Terror Field - difende dagli altri grazie al terrore che provoca l'intimità. La solitudine è innalzata come muro difensivo che impedisce di essere alla mercé di chicchessia, proteggendo dal dolore. Ma non può essere questa la soluzione, poiché l'obiettivo principale è quello di scaldarsi insieme ai propri simili: fuggendo ci si preserva dal dolore della relazione solo per accettare una lenta morte per congelamento.
La compenetrazione. Dissolversi e unirsi per diventare una sola cosa. Si ottiene la cessazione del dolore ma non la felicità, solo il riposo della morte dell'io. Anche il ricongiungimento, quindi, come la fuga dal dolore, non è perseguibile, neanche questa seconda soluzione è soddisfacente, poiché è l'eliminazione del problema per mezzo della cessazione dei soggetti coinvolti. Si deve, invece, accettare la propria esistenza e, con essa, il proprio dolore per risolvere il dilemma del porcospino.
La coesistenza. Accettare la sofferenza generata dall'altro. Non è possibile risolvere il dilemma del porcospino senza che ci siano altri porcospini. La soluzione è affrontare il rischio e esporsi agli altri: superare il timore di essere ferito andando verso il prossimo e provando a aprire una soglia di felicità, vivere una vita piena di esperienze rischiando di essere feriti.

lunedì 7 aprile 2025

essere se stessi, essere per gli altri (filosofia di evangelion 1di2)

Di Fausto Lammoglia avevo già letto e apprezzato Filosofia di L'attacco dei giganti, un saggio popfilosofico che non è una lezione di filosofia in cui si studiano i grandi filosofi attraverso un prodotto della cultura pop, ma un dialogo con un prodotto di pop culture per fare insieme a esso e al lettore filosofia. Dello stesso tenore e valore si rivela anche questo appena uscito Filosofia di Neon Genesis Evangelion, che non spiega la filosofia attraverso la serie televisiva anime sceneggiata e diretta da Hideaki Anno e prodotta dallo studio Gainax - capolavoro denso e terribile quanto Essere e tempo di Martin Heidegger -, piuttosto fa attraversare al suo lettore domande profonde da abitare.

Prima domanda: essere se stessi. Partendo dall'imprescindibilità del corpo: Shinji e tutti i piloti non guidano gli Eva da remoto, ma entrano in simbiosi con la loro unità provando dolore fisico tanto da passare più tempo in ospedale che a bordo, e sotto la corazza delle unità Evangelion non ci sono cavi ma carne e sangue tanto che la loro vera natura è la loro animalità e fisicità. Shinji dovrà imparare da e con il suo corpo, riconoscere ciò che sente e prova, per potersi impossessare della sua persona, per imparare a essere se stesso. Rivelatore il fatto che le entry plug siano posizionate nella nuca e che il quinto chakra che connette anima e corpo sia proprio quello del collo (come avviene, del resto, anche in Attacco dei giganti, noto è il debito di stima che Isayama ha con l'opera di Anno).
Per essere se stessi è anche però necessario il riconoscimento attraverso l'altro - come ha chiaramente spiegato Hegel -, e infatti i piloti degli Eva cercano continuamente di essere riconosciuti come portatori di valore. Shinji, pur volendo continuamente fuggire, affronta le prove quali tentativi di recuperare un significato esistenziale agli occhi degli altri - quasi che implori preoccupatevi per me, prestatemi attenzione, siate gentili con me, abbiate cura di me. Asuka cerca di ottenere il suo posto nel mondo brillando in ciò che fa (a scuola, come pilota) e cercando di imporsi come donna (anche se così perde in partenza la sua possibilità di essere riconosciuta come persona poiché alla fine presenta se stessa come oggetto). 

L'incontro con l'altro diventa esperienza di limite e confronto, di revisione e ricostruzione della propria identità. E così la seconda domanda è: essere per gli altri. Come insegna il dilemma del porcospino presentato da Schopenhauer, è molto complesso trovare la distanza adeguata per poter essere se stessi insieme agli altri. La soluzione più semplice per essere riconosciuti sarebbe quella di assecondare l'altro, ma il rischio è così quello di non trovare una propria identità autonoma. Identificando se stessi con le aspettative altrui e sociali, con comportamenti culturalmente codificati, con funzioni strumentali ed etichette lavorative o legate al genere, si finisce per convogliare le energie vitali nella performatività, in modo da aderire quanto più perfettamente ad un ruolo, e ciò porta l'individuo pericolosamente vicino a esplodere o implodere, soverchiato dalla pressione sociale come spiega Marcuse. Si semplifica la vita, si rinuncia a scegliere per evitare le responsabilità che ne conseguono, ma si rimane ingabbiati in un'esistenza inautentica.
I piloti delle unità Eva fanno tutto ciò che fanno per essere riconosciuti e, di conseguenza, per riconoscersi. Convinti di non aver valore di per sé, i piloti trovano un loro significato nelle etichette che hanno ricevuto: l'Eva, la loro funzione, è tutto ciò che hanno, ossia tutto ciò che sono. Combattono per mettersi in mostra, per eccellere, per poter essere lodati, riducendo il loro essere alla loro funzione - ad eccezione di Toji che mostra invece una dimensione relazionale dell'esistenza e non prestazionale. Ma ridursi alla propria performatività, al bisogno di apparire e soddisfare una richiesta proveniente da altri, dissolve la possibilità di essere per sé, come spiega Sennett.
In fondo è tutta questione di distanze. Il cammino di Shinji è il tentativo di trovare un equilibrio tra l'isolamento e la dissoluzione negli altri; l'equilibrio necessario a non ferirsi senza per questo rimanere solo.

lunedì 31 marzo 2025

(altri) libri letti questo mese - marzo 2025

Anche questo mese una breve sintesi degli altri libri letti, sempre in ordine dal peggiore al migliore.

Il ragazzo di Annie Ernaux è il racconto da parte di una donna della sua relazione con un ragazzo di trent'anni più giovane, di un'avventura che a poco a poco si trasforma in una storia d'amore e diviene per la narratrice un viaggio nel tempo in cui il presente si mescola alla memoria dei rapporti passati e della propria esistenza sociale e sessuale.
Una miniatura di testo, forse poco più di un racconto, in cui i presunti impeto e scandalo della passione e del piacere non trovano alcuna capacità espressiva.

Altrettanto insignificante il romanzo di Vincenzo Latronico Le perfezioni, i cui protagonisti Anna e Tom sembrano avere una invidiabile vita: un lavoro creativo senza troppi vincoli, un appartamento a Berlino luminoso e pieno di piante, una passione per il cibo e la politica progressista, una relazione aperta alla sperimentazione sessuale e alle serate che finiscono la mattina tardi. Una quotidianità limpida e seducente come una timeline di fotografie scattate con cura. Ma fuori campo cresce una insoddisfazione profonda quanto difficile da mettere a fuoco: il lavoro diventa ripetitivo, gli amici tornano in patria, il tentativo di impegno politico si spegne in uno slancio generico. Gli anni passano, e in quella vita così simile a un’immagine - perfetta nel colore e nella composizione, ma piatta, limitata - Anna e Tom si sentono in trappola, tormentati dal bisogno di trovare qualcosa di più vero. 
Una storia sulla inautenticità di vite di successo ma impersonali che si esaurisce nell'intenzionalità ma rimane piatta, limitata e superficiale dal punto di vista letterario nel suo dire e non mostrare.

Il rinomato catalogo Walker & Dawn è un romanzo per giovani lettori di Davide Morosinotto che, nella Louisiana del 1904, vede protagonisti quattro amici - Te Trois, Eddie, Tit e Julie - accomunati da un catalogo di vendita per corrispondenza, tre dollari da spendere e una gran voglia di scoprire il mondo. E quando, anziché la rivoltella che hanno ordinato, arriva un vecchio orologio che nemmeno funziona, i quattro non ci pensano due volte e partono verso Chicago, per farselo cambiare. Si troveranno alle prese con un cadavere nelle sabbie mobili, una corsa clandestina su un treno merci, un battello a vapore sul Mississippi, imbroglioni e bari di professione, poliziotti corrotti, cattivi che sembrano buoni e buoni che non lo sono affatto, un delitto irrisolto e molti soldi. Un'avventura con quattro protagonisti che avrebbero potuto essere i migliori amici di Tom Sawyer.

Con Estella  Valerio Varesi ricostruisce e restituisce la vita straordinaria e dimenticata di Teresa NoceBrutta, povera e comunista - come la definì la madre del suo futuro marito, nonché segretario del Partito comunista italiano, Luigi Longo -, quella di Teresa Noce è la storia di una femminista ante litteram che attraversa controcorrente quasi tutto il Novecento. Proletaria, figlia di una lavandaia abbandonata dal marito, fin da giovanissima organizza i primi scioperi delle operaie tessili e da iscritta al Pci è protagonista dell’antifascismo dopo la presa del potere di Mussolini. In seguito è prim’attrice nella Resistenza: con il nome di battaglia Estella partecipa alla guerra di Spagna, ed è poi esule in Francia, dov’è catturata dalla polizia collaborazionista del regime di Vichy, e internata nel campo di concentramento di Ravensbrück. Alla fine della guerra è fra le 21 donne che hanno contribuito a scrivere la Costituzione, ed è l’ideatrice dei "Treni della felicità", che a partire dalla fine del 1945 sottrarranno moltissimi bambini alla miseria. Parlamentare per due legislature, viene emarginata dalla politica per non essersi piegata ai voleri del Pci al momento del divorzio con Longo. Malgrado la più grande delusione della sua vita, come dirà lei stessa a proposito del "tradimento" del partito, continua l’attività sindacale e si batte per i diritti delle donne, dalla parità salariale, ai servizi a favore della maternità, fino al riconoscimento della pari dignità nelle carriere. Una vita straordinaria dove la storia personale si intreccia con la storia collettiva fino a formare un tutt’uno. È la storia di una generazione che ha costruito l’Italia passando dalla grande tragedia della guerra all’altrettanto grande speranza verso il futuro.

Aliena di  Phoebe Hadjimarkos Clarke ha come protagonista Fauvel, una giovane donna che ha perso un occhio a causa di uno sparo della polizia durante una manifestazione. Paura e violenza sono tra i temi emergenti nella vicenda narrata. La paura rende stupidi, la paura ridefinisce il mondo, lo rinchiude: tutto può diventare il significante di una minaccia, e il linguaggio, gli indizi che lascia ovunque il destino sono solo marcatori nascosti della violenza a venire, e nient’altro; a poco a poco non hanno più altro senso che questo, quello del pericolo. Sudore che sgorga sotto le braccia, tra le natiche; che cola, che macera tra i peli e che puzza. La paura fa puzzare, la paura appesta. È infamante, impedisce tante cose, che si accumulano, si ammassano, finiscono con il barricare l’esistenza. Ma anche il tentativo di superare la paura, di resistere alla violenza, di opporsi a una certa violenza, la resistenza e la rivolta dello scontro in strada con le forze dell’ordine. Sapere fin nel più profondo di se stessi, negli organi, nei tessuti, nelle ossa, che può ricominciare, che la violenza non è mai veramente lontana, che i propri atteggiamenti e sguardi timorosi a volte non fanno che eccitare la ferocia. Che sentire la debolezza dell’altro fa nascere il desiderio di esercitare in modo più forte il potere che quella debolezza delinea. Questo gusto dello stritolamento può prendere una forma pubblica. Ma Fauvel e tutti gli altri hanno continuato a uscire, a correre, camminare, piangere per strada, per scongiurare il terrore, gli incubi, per non lasciarli vincere. Tutti insieme, a urlare. Alla fine diventa possibile, in tutto questo terrore, non avere più paura. Finalmente ci si incarna. Il corpo non è più solo una macchina da alimentare, curare, purgare, dove circolano merda e sangue. Lo si usa per qualcosa di diverso dalla meccanica. Ma è questo stesso corpo che è in pericolo. Questo corpo che trema alla vista delle uniformi, che suda e scoreggia di paura e di collera, che fa incubi la notte. Sia la paura sia la violenza mettono in primo piano l'agire attraverso il corpo, come singoli individui ma anche e soprattutto con gli altri: corpi in rivolta e spazi urbani, conflitti in cui la corporeità è esposta in tutta la sua intensità appassionata e vulnerabile. 
Peccato che poi, rispetto alla trama di quanto avviene, il romanzo rimanga piuttosto insoddisfacente.

Interessante la premessa con cui Andrea Bajani realizza L'anniversario, esplicitamente sottotitolato Un romanzo, quindi opera di finzione, perché è nell'invenzione e non nel ricordo  che la scrittura, colpendo parola dopo parola il monolite di una memoria familiare, può estrarre e fornire il vero disinteressandosi del reale. 

In Stella distante Roberto Bolaño prova a ricostruire l'esistenza di Carlos Wieder,  poeta e assassino, artista e criminale, pilota spericolato che si esibiva in performance di scrittura aerea e operatore di snuff movies, torturatore - nei mesi successivi al golpe di Pinochet - di decine di persone dei cui cadaveri ridotti a brandelli ha poi ha esposto le foto. La verità sembra però sfuggente, una pagina dopo l'altra, un tassello dopo l'altro - attraverso un accumulo di indizi, molti dei quali di natura squisitamente letteraria, e di storie parallele, alcune tragiche, alcune grottesche, alcune paradossalmente fiabesche -, il percorso di avvicinamento a quella che potrebbe essere la verità diventa via via più sdrucciolevole, come se l'autore medesimo ci invitasse a dubitare degli eventi che narra non meno che degli scrittori che cita, delle poesie, delle riviste, dei movimenti letterari a cui allude. Nonché, in definitiva, della esistenza stessa di un uomo chiamato Carlos Wieder.

Eureka Street è una strada di 
Belfast - città nell'Irlanda del Nord ridotta a un campo di battaglia - attorno alla quale  Robert McLiam Wilson fa girare le vicende del 1994 che coinvolgono soprattutto Chuckie, protestante, e Jake, cattolico, giovani legati da una profonda amicizia. Chuckie, antieroe grasso e sempliciotto, riesce a compiere mirabolanti imprese commerciali grazie a progetti tanto fantasiosi quanto ridicoli, mentre Jake, nonostante la sua scorza da duro, è un inguaribile romantico e non cerca denaro e ricchezza ma un amore che gli riempia la vita. E intorno a loro un'intera galleria di personaggi: Crab e Hally, trasporetatori senza scrupoli al servizio di un usuraio; Roche, sporco e violento ragazzino assetato di affetto; Max, fascinosa americana che ne ha passate di tutti i colori; Aoirghe, repubblicana fanatica convinta che mezzi criminali non inficino un nobile fine. Sullo sfondo, i conflitti irrisolti del paese che balzano brutalmente in primo piano quando un attentato sconvolge l'atmosfera bislacca e farsesca che pervade il racconto: le vittime esposte a un'oscena morte pubblica, quando l'esplosione sfila via le scarpe alla gente come un genitore premuroso e la lasciva violenza della deflagrazione sbottona le camicie agli uomini e solleva le gonne alle donne, e dopo i morti sono sparsi per terra come frutta marcia e, soprattutto, sono irrimediabilmente, impudicamente morti. Avevano tutti una storia. Non erano storie brevi, o non avrebbero dovuto esserlo. Avrebbero dovuto diventare lunghi romanzi, splendide narrazioni di ottocento pagine e più.
Sarà la commedia della vita a cancellare il sangue - è proprio questo che non va: la gente era talmente stanca che non ci faceva più caso. Ma com'è possibile? Da quando in qua una bomba sotto casa non fa più parlare nessuno? -, e le vicende improbabili e sgangherate di Chuckie e Jake tornano a dominare di nuovo le pagine del romanzo. Emerge comunque che, se volgete lo sguardo sulla città, vedrete chiaramente che c'è davvero qualcosa che divide i suoi abitanti: qualcuno questo qualcosa lo chiama religione, altri politica, ma è solo il denaro il vero motivo di differenza e discordia. Vedrete strade immerse nel verde e strade soffocate dal cemento: immaginatevi vite immerse nel verde e vite soffocate dal cemento. Nei quartieri ricchi e nei sobborghi senza un centimetro quadrato d'erba, i vostri occhi scorgeranno la verità.
Per noi la mattina era il momento migliore. Quando la gente è ancora svestita e un po' frastornata, e più arrendevole, priva di velleità pugilistiche. A quanto pare, senza pantaloni nessuno è in grado di reagire con vigore. La povertà deve essere più dura da mandar giù la mattina presto. È più facile sognare e fantasticare la sera, quando un po' di ottimismo o di birra possono inocularti qualche stilla di speranza, ma alla pallida luce dell'alba la miseria e l'umiliazione assumono un'aria alquanto realistica e immutabile. Mi deprimeva soprattutto il fatto che nessuno reagisse. Come se pensassero che ne avevamo il diritto, mentre loro, di diritti, erano sicuri di non averne neanche mezzo. Se una ragazza madre che non ha pagato l'ultima rata di venti sterline di un frigorifero che ne costa trecento, se lo lascia portare via senza provare neanche a lamentarsi, c'è qualcosa che non va. Le aspirazioni del proletariato sono destinate a finire così: arriva sempre qualche gorilla a riportarsi via tutta la paccottiglia accumulata con tanta fatica.

domenica 30 marzo 2025

notte stellata e caffè parigini

Sempre nell'ottica di ottimizzazione dei tempi, mentre si seguiva la nostalgica serie tv Hanno ucciso l'Uomo Ragno. La leggendaria storia degli 883 e si ascoltava l'audiolibro L'arte della gioia di Goliarda Sapienza, ho montato un po' di set Lego acquistati di recente.

Tra questi l'iconico Caffè francese, che cattura l'eleganza di un pittoresco bistrot all'aperto parigino, decorato con vasi di fiori pensili e accogliente con i suoi croissant, tazze e giornali. Questo Café Fleur ha trovato adeguata collocazione in uno degli scaffali della libreria dedicati all'esistenzialismo, accanto ai saggi e romanzi di Jean-Paul Sartre.

Inoltre, uno dei due set dedicati ai dipinti di Vincent van Gogh, quello che riproduce la Notte stellata. La notte - più viva e più ricca di colori del giorno, secondo l'artista -, le nuvole vorticose, le dolci colline: i mattoncini reinterpretano le pennellate di van Gogh, la cui minifigure - con pennello, tavolozza e cavalletto - è inclusa nel set. Set che, una volta completato, può anche essere appeso alla parete.



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