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mercoledì 9 aprile 2025

il dilemma del porcospino (filosofia di evangelion 2di2)

Terza domanda: essere nel mondo. Se l'identità è fortemente caratterizzata dalla narrazione che facciamo di noi stessi, questa autonarrazione si arricchisce con l'esperienza dei racconti altrui che entra a far parte della propria biografia. Geniale, in questo senso, la metanarrazione dell'episodio 26: nel momento in cui Shinji si rende consapevole di essere simbolo e immagine narrativa che mostra agli altri, assume forme statiche diverse proprio a sottolineare come lui sia tutte quelle narrazioni che devono essere rielaborate in un unico stile che è il proprio stile.
Nella serie gli angeli sono una contro-narrazione, un racconto diverso che scava e sfida l'animo umano. Innanzitutto, mettono in crisi la certezza nel progresso, secoli di fiducia verso il quale sono dissolti di fronte a qualcosa di alieno. Poi, mentre tutti i protagonisti umani sono profondamente convinti di bastare a se stessi, gli angeli li costringono a collaborare, dimostrando che nessuno si salva da solo. E ancora, mettono in crisi la convinzione di poter proteggere la propria intimità. Ma gli angeli sono uguali all'uomo al 99,89%, il vero nemico in Evangelion è l'altro in tutte le sue forme e gli angeli non sono che un artefatto narrativo per esemplificare l'alieno, ciò che è assolutamente altro da me, il diverso per eccellenza. Il conflitto è prospettico, e si fonda sull'errata credenza che solo un punto di vista sia quello corretto: l'unico modo di uscire da questo conflitto è abitare l'ultima domanda.

Quarta domanda: risolvere l'intricato e delicato dilemma del porcospino. Tre sono le possibili soluzioni.
La fuga. L'A.T. Field - Absolute Terror Field - difende dagli altri grazie al terrore che provoca l'intimità. La solitudine è innalzata come muro difensivo che impedisce di essere alla mercé di chicchessia, proteggendo dal dolore. Ma non può essere questa la soluzione, poiché l'obiettivo principale è quello di scaldarsi insieme ai propri simili: fuggendo ci si preserva dal dolore della relazione solo per accettare una lenta morte per congelamento.
La compenetrazione. Dissolversi e unirsi per diventare una sola cosa. Si ottiene la cessazione del dolore ma non la felicità, solo il riposo della morte dell'io. Anche il ricongiungimento, quindi, come la fuga dal dolore, non è perseguibile, neanche questa seconda soluzione è soddisfacente, poiché è l'eliminazione del problema per mezzo della cessazione dei soggetti coinvolti. Si deve, invece, accettare la propria esistenza e, con essa, il proprio dolore per risolvere il dilemma del porcospino.
La coesistenza. Accettare la sofferenza generata dall'altro. Non è possibile risolvere il dilemma del porcospino senza che ci siano altri porcospini. La soluzione è affrontare il rischio e esporsi agli altri: superare il timore di essere ferito andando verso il prossimo e provando a aprire una soglia di felicità, vivere una vita piena di esperienze rischiando di essere feriti.

lunedì 7 aprile 2025

essere se stessi, essere per gli altri (filosofia di evangelion 1di2)

Di Fausto Lammoglia avevo già letto e apprezzato Filosofia di L'attacco dei giganti, un saggio popfilosofico che non è una lezione di filosofia in cui si studiano i grandi filosofi attraverso un prodotto della cultura pop, ma un dialogo con un prodotto di pop culture per fare insieme a esso e al lettore filosofia. Dello stesso tenore e valore si rivela anche questo appena uscito Filosofia di Neon Genesis Evangelion, che non spiega la filosofia attraverso la serie televisiva anime sceneggiata e diretta da Hideaki Anno e prodotta dallo studio Gainax - capolavoro denso e terribile quanto Essere e tempo di Martin Heidegger -, piuttosto fa attraversare al suo lettore domande profonde da abitare.

Prima domanda: essere se stessi. Partendo dall'imprescindibilità del corpo: Shinji e tutti i piloti non guidano gli Eva da remoto, ma entrano in simbiosi con la loro unità provando dolore fisico tanto da passare più tempo in ospedale che a bordo, e sotto la corazza delle unità Evangelion non ci sono cavi ma carne e sangue tanto che la loro vera natura è la loro animalità e fisicità. Shinji dovrà imparare da e con il suo corpo, riconoscere ciò che sente e prova, per potersi impossessare della sua persona, per imparare a essere se stesso. Rivelatore il fatto che le entry plug siano posizionate nella nuca e che il quinto chakra che connette anima e corpo sia proprio quello del collo (come avviene, del resto, anche in Attacco dei giganti, noto è il debito di stima che Isayama ha con l'opera di Anno).
Per essere se stessi è anche però necessario il riconoscimento attraverso l'altro - come ha chiaramente spiegato Hegel -, e infatti i piloti degli Eva cercano continuamente di essere riconosciuti come portatori di valore. Shinji, pur volendo continuamente fuggire, affronta le prove quali tentativi di recuperare un significato esistenziale agli occhi degli altri - quasi che implori preoccupatevi per me, prestatemi attenzione, siate gentili con me, abbiate cura di me. Asuka cerca di ottenere il suo posto nel mondo brillando in ciò che fa (a scuola, come pilota) e cercando di imporsi come donna (anche se così perde in partenza la sua possibilità di essere riconosciuta come persona poiché alla fine presenta se stessa come oggetto). 

L'incontro con l'altro diventa esperienza di limite e confronto, di revisione e ricostruzione della propria identità. E così la seconda domanda è: essere per gli altri. Come insegna il dilemma del porcospino presentato da Schopenhauer, è molto complesso trovare la distanza adeguata per poter essere se stessi insieme agli altri. La soluzione più semplice per essere riconosciuti sarebbe quella di assecondare l'altro, ma il rischio è così quello di non trovare una propria identità autonoma. Identificando se stessi con le aspettative altrui e sociali, con comportamenti culturalmente codificati, con funzioni strumentali ed etichette lavorative o legate al genere, si finisce per convogliare le energie vitali nella performatività, in modo da aderire quanto più perfettamente ad un ruolo, e ciò porta l'individuo pericolosamente vicino a esplodere o implodere, soverchiato dalla pressione sociale come spiega Marcuse. Si semplifica la vita, si rinuncia a scegliere per evitare le responsabilità che ne conseguono, ma si rimane ingabbiati in un'esistenza inautentica.
I piloti delle unità Eva fanno tutto ciò che fanno per essere riconosciuti e, di conseguenza, per riconoscersi. Convinti di non aver valore di per sé, i piloti trovano un loro significato nelle etichette che hanno ricevuto: l'Eva, la loro funzione, è tutto ciò che hanno, ossia tutto ciò che sono. Combattono per mettersi in mostra, per eccellere, per poter essere lodati, riducendo il loro essere alla loro funzione - ad eccezione di Toji che mostra invece una dimensione relazionale dell'esistenza e non prestazionale. Ma ridursi alla propria performatività, al bisogno di apparire e soddisfare una richiesta proveniente da altri, dissolve la possibilità di essere per sé, come spiega Sennett.
In fondo è tutta questione di distanze. Il cammino di Shinji è il tentativo di trovare un equilibrio tra l'isolamento e la dissoluzione negli altri; l'equilibrio necessario a non ferirsi senza per questo rimanere solo.

lunedì 31 marzo 2025

(altri) libri letti questo mese - marzo 2025

Anche questo mese una breve sintesi degli altri libri letti, sempre in ordine dal peggiore al migliore.

Il ragazzo di Annie Ernaux è il racconto da parte di una donna della sua relazione con un ragazzo di trent'anni più giovane, di un'avventura che a poco a poco si trasforma in una storia d'amore e diviene per la narratrice un viaggio nel tempo in cui il presente si mescola alla memoria dei rapporti passati e della propria esistenza sociale e sessuale.
Una miniatura di testo, forse poco più di un racconto, in cui i presunti impeto e scandalo della passione e del piacere non trovano alcuna capacità espressiva.

Altrettanto insignificante il romanzo di Vincenzo Latronico Le perfezioni, i cui protagonisti Anna e Tom sembrano avere una invidiabile vita: un lavoro creativo senza troppi vincoli, un appartamento a Berlino luminoso e pieno di piante, una passione per il cibo e la politica progressista, una relazione aperta alla sperimentazione sessuale e alle serate che finiscono la mattina tardi. Una quotidianità limpida e seducente come una timeline di fotografie scattate con cura. Ma fuori campo cresce una insoddisfazione profonda quanto difficile da mettere a fuoco: il lavoro diventa ripetitivo, gli amici tornano in patria, il tentativo di impegno politico si spegne in uno slancio generico. Gli anni passano, e in quella vita così simile a un’immagine - perfetta nel colore e nella composizione, ma piatta, limitata - Anna e Tom si sentono in trappola, tormentati dal bisogno di trovare qualcosa di più vero. 
Una storia sulla inautenticità di vite di successo ma impersonali che si esaurisce nell'intenzionalità ma rimane piatta, limitata e superficiale dal punto di vista letterario nel suo dire e non mostrare.

Il rinomato catalogo Walker & Dawn è un romanzo per giovani lettori di Davide Morosinotto che, nella Louisiana del 1904, vede protagonisti quattro amici - Te Trois, Eddie, Tit e Julie - accomunati da un catalogo di vendita per corrispondenza, tre dollari da spendere e una gran voglia di scoprire il mondo. E quando, anziché la rivoltella che hanno ordinato, arriva un vecchio orologio che nemmeno funziona, i quattro non ci pensano due volte e partono verso Chicago, per farselo cambiare. Si troveranno alle prese con un cadavere nelle sabbie mobili, una corsa clandestina su un treno merci, un battello a vapore sul Mississippi, imbroglioni e bari di professione, poliziotti corrotti, cattivi che sembrano buoni e buoni che non lo sono affatto, un delitto irrisolto e molti soldi. Un'avventura con quattro protagonisti che avrebbero potuto essere i migliori amici di Tom Sawyer.

Con Estella  Valerio Varesi ricostruisce e restituisce la vita straordinaria e dimenticata di Teresa NoceBrutta, povera e comunista - come la definì la madre del suo futuro marito, nonché segretario del Partito comunista italiano, Luigi Longo -, quella di Teresa Noce è la storia di una femminista ante litteram che attraversa controcorrente quasi tutto il Novecento. Proletaria, figlia di una lavandaia abbandonata dal marito, fin da giovanissima organizza i primi scioperi delle operaie tessili e da iscritta al Pci è protagonista dell’antifascismo dopo la presa del potere di Mussolini. In seguito è prim’attrice nella Resistenza: con il nome di battaglia Estella partecipa alla guerra di Spagna, ed è poi esule in Francia, dov’è catturata dalla polizia collaborazionista del regime di Vichy, e internata nel campo di concentramento di Ravensbrück. Alla fine della guerra è fra le 21 donne che hanno contribuito a scrivere la Costituzione, ed è l’ideatrice dei "Treni della felicità", che a partire dalla fine del 1945 sottrarranno moltissimi bambini alla miseria. Parlamentare per due legislature, viene emarginata dalla politica per non essersi piegata ai voleri del Pci al momento del divorzio con Longo. Malgrado la più grande delusione della sua vita, come dirà lei stessa a proposito del "tradimento" del partito, continua l’attività sindacale e si batte per i diritti delle donne, dalla parità salariale, ai servizi a favore della maternità, fino al riconoscimento della pari dignità nelle carriere. Una vita straordinaria dove la storia personale si intreccia con la storia collettiva fino a formare un tutt’uno. È la storia di una generazione che ha costruito l’Italia passando dalla grande tragedia della guerra all’altrettanto grande speranza verso il futuro.

Aliena di  Phoebe Hadjimarkos Clarke ha come protagonista Fauvel, una giovane donna che ha perso un occhio a causa di uno sparo della polizia durante una manifestazione. Paura e violenza sono tra i temi emergenti nella vicenda narrata. La paura rende stupidi, la paura ridefinisce il mondo, lo rinchiude: tutto può diventare il significante di una minaccia, e il linguaggio, gli indizi che lascia ovunque il destino sono solo marcatori nascosti della violenza a venire, e nient’altro; a poco a poco non hanno più altro senso che questo, quello del pericolo. Sudore che sgorga sotto le braccia, tra le natiche; che cola, che macera tra i peli e che puzza. La paura fa puzzare, la paura appesta. È infamante, impedisce tante cose, che si accumulano, si ammassano, finiscono con il barricare l’esistenza. Ma anche il tentativo di superare la paura, di resistere alla violenza, di opporsi a una certa violenza, la resistenza e la rivolta dello scontro in strada con le forze dell’ordine. Sapere fin nel più profondo di se stessi, negli organi, nei tessuti, nelle ossa, che può ricominciare, che la violenza non è mai veramente lontana, che i propri atteggiamenti e sguardi timorosi a volte non fanno che eccitare la ferocia. Che sentire la debolezza dell’altro fa nascere il desiderio di esercitare in modo più forte il potere che quella debolezza delinea. Questo gusto dello stritolamento può prendere una forma pubblica. Ma Fauvel e tutti gli altri hanno continuato a uscire, a correre, camminare, piangere per strada, per scongiurare il terrore, gli incubi, per non lasciarli vincere. Tutti insieme, a urlare. Alla fine diventa possibile, in tutto questo terrore, non avere più paura. Finalmente ci si incarna. Il corpo non è più solo una macchina da alimentare, curare, purgare, dove circolano merda e sangue. Lo si usa per qualcosa di diverso dalla meccanica. Ma è questo stesso corpo che è in pericolo. Questo corpo che trema alla vista delle uniformi, che suda e scoreggia di paura e di collera, che fa incubi la notte. Sia la paura sia la violenza mettono in primo piano l'agire attraverso il corpo, come singoli individui ma anche e soprattutto con gli altri: corpi in rivolta e spazi urbani, conflitti in cui la corporeità è esposta in tutta la sua intensità appassionata e vulnerabile. 
Peccato che poi, rispetto alla trama di quanto avviene, il romanzo rimanga piuttosto insoddisfacente.

Interessante la premessa con cui Andrea Bajani realizza L'anniversario, esplicitamente sottotitolato Un romanzo, quindi opera di finzione, perché è nell'invenzione e non nel ricordo  che la scrittura, colpendo parola dopo parola il monolite di una memoria familiare, può estrarre e fornire il vero disinteressandosi del reale. 

In Stella distante Roberto Bolaño prova a ricostruire l'esistenza di Carlos Wieder,  poeta e assassino, artista e criminale, pilota spericolato che si esibiva in performance di scrittura aerea e operatore di snuff movies, torturatore - nei mesi successivi al golpe di Pinochet - di decine di persone dei cui cadaveri ridotti a brandelli ha poi ha esposto le foto. La verità sembra però sfuggente, una pagina dopo l'altra, un tassello dopo l'altro - attraverso un accumulo di indizi, molti dei quali di natura squisitamente letteraria, e di storie parallele, alcune tragiche, alcune grottesche, alcune paradossalmente fiabesche -, il percorso di avvicinamento a quella che potrebbe essere la verità diventa via via più sdrucciolevole, come se l'autore medesimo ci invitasse a dubitare degli eventi che narra non meno che degli scrittori che cita, delle poesie, delle riviste, dei movimenti letterari a cui allude. Nonché, in definitiva, della esistenza stessa di un uomo chiamato Carlos Wieder.

Eureka Street è una strada di 
Belfast - città nell'Irlanda del Nord ridotta a un campo di battaglia - attorno alla quale  Robert McLiam Wilson fa girare le vicende del 1994 che coinvolgono soprattutto Chuckie, protestante, e Jake, cattolico, giovani legati da una profonda amicizia. Chuckie, antieroe grasso e sempliciotto, riesce a compiere mirabolanti imprese commerciali grazie a progetti tanto fantasiosi quanto ridicoli, mentre Jake, nonostante la sua scorza da duro, è un inguaribile romantico e non cerca denaro e ricchezza ma un amore che gli riempia la vita. E intorno a loro un'intera galleria di personaggi: Crab e Hally, trasporetatori senza scrupoli al servizio di un usuraio; Roche, sporco e violento ragazzino assetato di affetto; Max, fascinosa americana che ne ha passate di tutti i colori; Aoirghe, repubblicana fanatica convinta che mezzi criminali non inficino un nobile fine. Sullo sfondo, i conflitti irrisolti del paese che balzano brutalmente in primo piano quando un attentato sconvolge l'atmosfera bislacca e farsesca che pervade il racconto: le vittime esposte a un'oscena morte pubblica, quando l'esplosione sfila via le scarpe alla gente come un genitore premuroso e la lasciva violenza della deflagrazione sbottona le camicie agli uomini e solleva le gonne alle donne, e dopo i morti sono sparsi per terra come frutta marcia e, soprattutto, sono irrimediabilmente, impudicamente morti. Avevano tutti una storia. Non erano storie brevi, o non avrebbero dovuto esserlo. Avrebbero dovuto diventare lunghi romanzi, splendide narrazioni di ottocento pagine e più.
Sarà la commedia della vita a cancellare il sangue - è proprio questo che non va: la gente era talmente stanca che non ci faceva più caso. Ma com'è possibile? Da quando in qua una bomba sotto casa non fa più parlare nessuno? -, e le vicende improbabili e sgangherate di Chuckie e Jake tornano a dominare di nuovo le pagine del romanzo. Emerge comunque che, se volgete lo sguardo sulla città, vedrete chiaramente che c'è davvero qualcosa che divide i suoi abitanti: qualcuno questo qualcosa lo chiama religione, altri politica, ma è solo il denaro il vero motivo di differenza e discordia. Vedrete strade immerse nel verde e strade soffocate dal cemento: immaginatevi vite immerse nel verde e vite soffocate dal cemento. Nei quartieri ricchi e nei sobborghi senza un centimetro quadrato d'erba, i vostri occhi scorgeranno la verità.
Per noi la mattina era il momento migliore. Quando la gente è ancora svestita e un po' frastornata, e più arrendevole, priva di velleità pugilistiche. A quanto pare, senza pantaloni nessuno è in grado di reagire con vigore. La povertà deve essere più dura da mandar giù la mattina presto. È più facile sognare e fantasticare la sera, quando un po' di ottimismo o di birra possono inocularti qualche stilla di speranza, ma alla pallida luce dell'alba la miseria e l'umiliazione assumono un'aria alquanto realistica e immutabile. Mi deprimeva soprattutto il fatto che nessuno reagisse. Come se pensassero che ne avevamo il diritto, mentre loro, di diritti, erano sicuri di non averne neanche mezzo. Se una ragazza madre che non ha pagato l'ultima rata di venti sterline di un frigorifero che ne costa trecento, se lo lascia portare via senza provare neanche a lamentarsi, c'è qualcosa che non va. Le aspirazioni del proletariato sono destinate a finire così: arriva sempre qualche gorilla a riportarsi via tutta la paccottiglia accumulata con tanta fatica.

domenica 30 marzo 2025

notte stellata e caffè parigini

Sempre nell'ottica di ottimizzazione dei tempi, mentre si seguiva la nostalgica serie tv Hanno ucciso l'Uomo Ragno. La leggendaria storia degli 883 e si ascoltava l'audiolibro L'arte della gioia di Goliarda Sapienza, ho montato un po' di set Lego acquistati di recente.

Tra questi l'iconico Caffè francese, che cattura l'eleganza di un pittoresco bistrot all'aperto parigino, decorato con vasi di fiori pensili e accogliente con i suoi croissant, tazze e giornali. Questo Café Fleur ha trovato adeguata collocazione in uno degli scaffali della libreria dedicati all'esistenzialismo, accanto ai saggi e romanzi di Jean-Paul Sartre.

Inoltre, uno dei due set dedicati ai dipinti di Vincent van Gogh, quello che riproduce la Notte stellata. La notte - più viva e più ricca di colori del giorno, secondo l'artista -, le nuvole vorticose, le dolci colline: i mattoncini reinterpretano le pennellate di van Gogh, la cui minifigure - con pennello, tavolozza e cavalletto - è inclusa nel set. Set che, una volta completato, può anche essere appeso alla parete.



giovedì 20 marzo 2025

l'evoluzione delle stem

Nuovo set Lego è L'evoluzione delle STEM, cioè delle discipline scientifico-tecnologiche (science, technology, engineering, mathematics).
Il set realizza un libro in mattoncini pieno di scoperte, un’enciclopedia aperta piena di mini costruzioni che simboleggiano alcune delle più famose scoperte scientifiche e tecnologiche e celebrano l’evoluzione della scienza, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica.
Su una base a forma di libro aperto, appunto, trovano spazio il melo che ha ispirato la teoria della gravità, lo spettro visibile della luce che mostra i colori tra l'infrarosso e l'ultravioletto, il codice di trasmissione fatto di punti e linee inventato da Samuel Morse nel 1836, l'atomo di carbonio sul quale è basata tutta la vita sulla terra, il filamento di DNA, il modello di uno dei primi computer domestici, la sezione aurea derivante dalla serie di Fibonacci e visibile quasi ovunque in natura dalla struttura delle cellule all'orbita dei pianeti, la sonda Voyager 1 ovvero l'oggetto fatto dall'uomo più lontano dalla Terra e il primo veicolo spaziale a raggiungere lo spazio interstellare, il disco d'oro a bordo di tale sonda con i suoi saluti in 55 lingue e la sua selezione di musica e suoni naturali. lo space shuttle che rappresenta lo spirito pionieristico dell'umanità e segna gli incredibili risultati del volo spaziale con equipaggio, il calabrone vitale a mantenere un ecosistema globale sano e la biodiversità.
Inoltre, sono comprese le minifigures di Sir Isaac Newton (1643-1727) -  matematico, fisico, astronomo, filosofo naturale inglese, considerato uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi e noto soprattutto per la fondazione della meccanica classica, la teoria della gravitazione universale e l'invenzione del calcolo differenziale, contribuì significativamente a più branche del sapere, occupando una posizione di preminente rilievo nella storia della scienza e della cultura -, George Washington Carver (1864-1943) - agronomo statunitense ed educatore nel campo dell'agronomia, insegnò sul campo a ex-schiavi le tecniche di agricoltura per l'autosufficienza -, Marie Curie (1867-1934) - fisica, chimica e matematica polacca naturalizzata francese, prima donna insignita del premio Nobel, una dei cinque vincitori del Nobel ad averne ricevuti due e sola a aver vinto il premio in due distinti campi scientifici.









martedì 18 marzo 2025

autismo e genere

Piuttosto deludente l'incontro con il nuovo personaggio e la nuova serie di Alice Basso. Sarà anche perché le vicende della ghostwriter Vani Sarchia le ho ascoltate lette dall'autrice stessa, elemento che aggiunge verve e ironia all'esperienza di lettura/ascolto, ma mi sembra comunque che ne Le ventisette sveglie di Atena Ferraris la protagonista sia meno riuscita, il cast di comprimari troppo macchiettistico, la vicenda non ben architettata e per nulla in atmosfera di giallo (semmai di romance).
Peccato, anche perché invece è interessante la postfazione, che spiega la genesi del nuovo lavoro della Basso.

Nell'agosto del 2021 sono ad Asiago a presentare Il grido della rosa e mi raggiunge la mia amica Sara, fotografa bravissima. Chiacchieriamo del più e del meno prima e dopo l'attimo delle foto, e a un certo punto lei butta lì: "Ah, e poi quest'anno ho scoperto di essere autistica, e questa cosa mi ha cambiato la vita".
All'epoca, per me autismo significava poco più di quello che significa effettivamente per la stragrande maggioranza della popolazione, e infatti devo aver fatto una faccia che voleva palesemente significare: "Non
sembri affatto autistica".
Sara mi spiega che le è capitato di parlare con un'amica neuropsicologa di tutto un ventaglio di peculiarità che si portava dietro dall'infanzia, che andavano dalla necessità di chiudersi in isolamento totale per un certo tempo dopo esperienze di grande socialità, fino all'insofferenza se per sbaglio si metteva i calzini con le cuciture all'interno. La sua amica le ha detto: "Perché non provi a fare questo test, è il test a cui sottoponiamo le persone che pensiamo possano essere neurodivergenti.
E adesso eccola qua, una donna adulta, stimata, di successo, a dirmi: "Ho scoperto alla mia età di essere autistica".
Com'è possibile che una persona arrivi a trenta, quarant'anni per scoprire di essere neurodivergente?
E la risposta io l'ho trovata interessantissima: non "una persona"; una
donna.
Le diagnosi si fanno in primis a partire dall'osservazione di soggetti di sesso maschile, e se una patologia o una condizione si esprime diversamente nelle donne si arriva a accorgersene molto tardi. Anche solo nel piccolo della mia personale cerchia di conoscenze, i bambini autistici diagnosticati e seguiti come tali sono in nettissima prevalenza maschi. Dove sono le ragazze? Come mai sono così poche? Forse l'autismo si presenta praticamente solo nel genere maschile?
Scoperta degli ultimi anni: niente affatto. È pieno di donne autistiche. Solo che il loro essere autistiche si manifesta in un altro modo, e ce ne siamo accorti solo da pochissimo.
La parola "autismo" viene da
autòs, il "sé", quindi potremmo dire che è una "sindrome della chiusura in se stessi". Quante bambine passano per introverse, timidissime, imbranate, goffe; o ipersensibili, iperempatiche, esagerate e fuori luogo nelle loro manifestazioni emotive; o talvolta anche strampalate secchioncine genialoidi ma fuori sintonia col resto del mondo. Quante ragazzine chiuse, male integrate, fragili, magari soggette a scatti d'ira o crisi di pianto. Di quante avete pensato che potessero essere autistiche? Beninteso: non sto dicendo che lo siano per forza. Però "è isterica" o "è un'imbranata" o "deve imparare a vivere" sono cose che si sentono dire molto più spesso di "forse è autistica".
Un bambino - maschio - chiuso, o ansioso, smarrito, goffo, incapace di relazionarsi fa sorgere velocemente delle preoccupazioni negli adulti: perché il maschietto ideale è intraprendente, coraggioso, sveglio, disinvolto e integrato, uno che domina l'ambiente; i genitori saranno più inclini a consultare uno psicologo che lo aiuti. Una bambina chiusa, ansiosa, timida, goffa è uno spettacolo molto più normale. Insomma, è un po' il modo in cui sono fatte le femmine, no? E di una bambina timida e riservata, anche parecchio, che si rintana fra le sue cose senza dar fastidio, spesso si dice solo che è una
brava bambina.
Le manifestazioni che noi associamo a una determinata neurodivergenza sono quasi sempre tipiche dei soggetti maschi, e alle bambine non vengono diagnosticate perché le femmine non fanno la cortesia di mostrarle nella stessa maniera. L'ADHD, il disturbo da iperattività e deficit dell'attenzione, alle scuole elementari viene facilmente riconosciuto nel bambino (maschio) che non riesce a stare fermo, a concentrarsi, che "non si sa comportare". Ma magari accanto a lui è seduta una bambina che non attira l'attenzione facendo casino, che si agita giusto un po' nel banco, magari chiacchiera, perlopiù sogna a occhi aperti e divaga con la mente senza riuscire a seguire la lezione. Ciò da cui solitamente si riconosce lADHD è proprio quella H che perlopiù nelle bambine manca, ossia l'
hyperactivity (che poi manchi perché manca e basta o non si noti perché viene repressa di più, è ancora oggetto di studi). Si redarguisce la bambina perché la si vede scarabocchiare anziché ascoltare o prendere appunti; così lei smette, ma non ha il coraggio di spiegare che scarabocchiare non la distrae mica, anzi, la aiuta a stare attenta, e il risultato è che, cercando di fare la brava, si ritrova ancora meno produttiva.
Poi la bambina cresce. La ragazza continua a avere difficoltà a studiare. Le stesse difficoltà la seguono da grande, sul lavoro; così magari a un certo punto la ragazza si rivolge a uno psicologo. E statisticamente, in questa fase, a questa donna adulta che arriva a confidare una vita di difficoltà, con tutte le ansie e le sensazioni di fallimento correlate, viene diagnosticata cosa? La depressione.
Qui entra in scena una di quelle parole che spiegano un sacco di cose: il
masking. Cioè il mascheramento, quella serie di strategie con cui tu - specialmente tu ragazza -, nell'ansia di essere accettata e capita, impari a "fare la persona normale", sopprimendo gli atteggiamenti che ti verrebbero naturali e sostituendoli con quelli che vedi mettere in atto dalle persone intorno a te. Niente stimming (giocherellare coi capelli, dondolare su te stessa per calmarti), lasciare la stanza quando luci e rumori ti stanno portando sull'orlo dell'esaurimento nervoso, niente domande seccanti, niente che possa arrecare disturbo o disagio al prossimo. Osservi e imiti, affamata di copioni da recitare, per non correre il rischio di essere te stessa. Così da fuori finisci per sembrare normale.
Da tutto questo nasce Atena.

sabato 15 marzo 2025

gioca bene

Il libro a sorpresa di febbraio, di cui riesco a scrivere soltanto adesso, è stato Lego. Una storia di famiglia, ricostruzione biografica e non solo di Jens Andersen.

Si parte dalla falegnameria di Billund degli anni Venti e dalla filosofia con cui Ole Kirk Christiansen la fonda e la gestisce: il rispetto per il lavoro eseguito a regola d'arte, l'eccellenza del risultato, il rifiuto della mediocrità per fare meno fatica. Falegnameria che, già negli anni Venti, inizia a produrre anche alcuni giocattoli, recuperando i pezzi di legno avanzati per lavorarli e trasformarli in cavalli, mucche, case, oppure in alcuni miracoli tecnologici, come automobili, treni e aerei. Nel 1932 la falegnameria è ormai una fabbrica di giocattoli, e nel 1934 Ole Kirk sceglie di darle un nome che rimanga impresso nella memoria: le proposte sono LEGIO - legata all'espressione legioni di giocattoli - e LEGO - contrazione dell'espressione Leg godt, gioca bene. La piccola fabbrica fa progressi graduali ma ininterrotti con i suoi animali di legno su ruote - un'anatra semi-meccanica che fa qua qua con il becco -, le sue automobiline verniciate in colori vivaci e brillanti, il suo trenino espresso rosso: per decenni il mercato del giocattolo europeo è stato dominato dalla Germania, ma l'artigiano Ole Kirk, rifiutando di utilizzare materie prime economiche - sceglie invece solo legno di faggio stagionato e asciugato all'aria, cotto a vapore ed essiccato in forno -, considera LEGO competitiva in termini qualitativi.
La concezione dei bambini e del gioco in questi anni va cambiando: negli anni tra le due guerre psicologi, pedagogisti, scrittori e filosofi studiano la natura del bambino e il significato universale del gioco per l'uomo, negli anni Quaranta e nei primi anni Cinquanta in Scandinavia si pubblicano alcuni capolavori della narrativa per l'infanzia così che nella letteratura mondiale autori adulti osano dar vita a storie con un io narrante bambino dando voce ai più piccoli nella maniera più autentica. Anche LEGO espande la sua produzione sull'onda del boom della letteratura per ragazzi e del conseguente interesse per i bambini, il gioco e i giocattoli, partendo dal presupposto che per giocare bene servano giocattoli di qualità: il Kirk's Kuglebane [Campo da gioco di Kirk] - elementi oblunghi in legno che possono essere assemblati per costruire una pista per giocare con le biglie -, la scatola rossa degli educativi mattoncini in legno sui cui lati finemente levigati e laccati sono impressi numeri e lettere nei colori primari, la Pistola della Pace - pistola giocattolo semiautomatica in legno.
La carenza di legno, nel frattempo, spinge Ole Kirk a cercare materiali alternativi: l'età della plastica è alle porte, sui quotidiani danesi si scrive che i giocattoli del futuro saranno in coloratissima plastica, materiale perfetto per questo uso in quanto piacevole al tatto, igienico, innocuo e praticamente indistruttibile, e poiché i modelli si ottengono per fusione perfezionarli è facilissimo. Nel 1947 Ole Kirk vede una scatola di mattoncini in plastica, di vari colori, cavi e muniti di bottoncini sul lato superiore: con una manciata di questi pezzi, prodotti dalla British Industries Fair di Londra, ogni bambino può imitare il lavoro dei veri artigiani. Dal 1948 appaiono i primi giocattoli LEGO in plastica e infine, nel 1949, i primi coloratissimi mattoncini, gli Automatic Binding Bricks.
L'intuizione dell'azienda è quella di puntare su un assortimento a lunga durata che la renda meno dipendente da best seller temporanei - prodotti effimeri che pullulano nel settore del giocattolo -, e su un giocattolo del tutto unico e vendibile ovunque, spingendosi fuori dei confini nazionali: LEGO deve concentrarsi su una sola idea, focalizzarsi su un prodotto unico e longevo che possa evolvere in un sistema di gioco più ampio e che sia facile da utilizzare, fabbricare e vendere. I LEGO Mursten [Mattoni] sono rilasciati nel 1952-53, pensati non solo come mattoncini da combinare per creare questa o quella costruzione, ma come un sistema aperto all'opzione di collezionare mattoncini e ampliare le possibilità di gioco attraverso set regalo e scatole di espansione. Gli slogan sono Vuoi LEGO con me? e Costruisci una città LEGO. Il lancio non segna solo l'inizio di un nuovo sistema di gioco, ma promuove anche un messaggio sui bambini e sul gioco incredibilmente vitale e lungimirante, concetto gridato attraverso il disegno sulla copertina dell'opuscolo pubblicitario, in cui un allegro omino LEGO, in abiti da lavoro e con l'elmetto da muratore che si porta un megafono alla bocca per far conoscere al mondo intero l'idea umanistica del Sistema LEGO: Volevamo creare un giocattolo che avesse un valore per la vita di un bambino, che facesse appello alla sua fantasia, stimolando la voglia e la gioia di creare, forze motrici di ogni essere umano.
La rapida diffusione negli anni Cinquanta del Sistema LEGO è legata alla strategia pubblicitaria - fatta di spot nei cinema, brochure, esposizioni di costruzioni nelle vetrine dei grandi magazzini, riviste illustrate -, ai tanti pregi di un prodotto che offre infinite possibilità di gioco - soprattutto quando nel 1958 l'inserimento di tre tubi di collegamento cilindrici nella cavità del mattoncino consente incastri saldi, stabilità e forza di assemblaggio aprendo la porta a costruzioni inedite e nuove possibilità di combinazione -, al fatto che i mattoncini sembrano soddisfare un nuovo bisogno sociale, un desiderio di ricostruzione diffuso in tutta l'Europa del dopoguerra, che riguarda non solo case, quartieri e città ma anche modelli e relazioni famigliari.

Gli anni Sessanta sono quelli dell'espansione, e dopo Germania, Svizzera, Olanda, Belgio, Austria, Portogallo, Italia, LEGO fa la sua apparizione in Gran Bretagna, America del Nord, Australia, Singapore, Hong Kong, Giappone, Marocco. Sono anche gli anni in cui LEGO, producendo elementi più piatti che consentano di immaginare e realizzare modelli più dettagliati, si propone anche ai professionisti dell'edilizia (architetti, ingegneri, designer, costruttori) e a hobbisti adulti: è il Pilastro LEGO, livelli che dal Sistema nel Gioco per bambini salgono attraverso un prodotto rielaborato e arricchito in una scala diversa come hobby per gli adulti, poi uno rivolto agli specialisti del settore edilizio, fino a una sovrastruttura filosofica attraverso la quale - come spiega Godtfred Kirk Christiansen, figlio di Ole Kirk a lui subentrato - il gioco LEGO del futuro porterà a un cambiamento globale non solo nei modi di progettare e costruire, ma anche nei modi di pensare e di comportarsi in una sorta di spinta evolutiva. Pur non avendo successo le scatole per adulti lanciate nel 1962-63, l'utilizzo di mattoncini più piccoli per costruire oggetti più realistici finisce per arricchire il Sistema LEGO con nuove possibilità.

La fine degli anni Settanta porta alla guida dell'azienda Kjeld Kirk Kristiansen, con l'idea di segmentazione del mercato attraverso un giocattolo basato su un ampio ventaglio di prodotti rivolti a diverse fasce d'età e ai loro diversi bisogni di gioco. Sono gli anni delle Minifigures - vestite da eroi di tutti i giorni: poliziotti, pompieri, dottori, infermiere -, delle linee DUPLO, Città, Castello, Spazio, Technic, di tanti nuovi prodotti e set.

Gli anni Ottanta vedono proseguire l'esplosione del numero di set e il forte impatto delle Minifigures che consentono di combinare il gioco di costruzioni con quello simbolico. E sono anche gli anni della sfida digitale: il nerd informatico Kjeld ha già immaginato che LEGO troverà il suo accesso peculiare alla nuova tecnologia nell'intersezione tra gioco e didattica, i designer dell'azienda lavorano con pedagogisti ed esperti in diverse materie e tipi di insegnamento. Arrivano LEGO Education, LEGO Technic, LEGO DUPLO Mosaic, viene creato un portale dal quale gli insegnanti possono scaricare piani d'insegnamento, e nel 1984 arriva l'incontro con Seymour Papert - che da anni usa i mattoncini LEGO in diversi esperimenti al MIT Media Lab di Boston - e il suo linguaggio di programmazione Logo: accomunati dall'idea che quando costruiscono qualcosa con le proprie mani i bambini costruiscono al contempo il loro sapere, che questa forma di apprendimento è importante perché penetra più a fondo nel cervello, Kjeld e Papert sviluppano dei mattoncini LEGO con dei sensori incorporati con cui costruire robot, gru e veicoli comandati da un computer tramite il programma Logo, sviluppano un software per i modelli della linea Technic (LEGO TC, Technic Control). La LEGO Vision  che Kjeld porta nell'azienda è sintetizzata dalle idee di creatività, fantasia, entusiasmo, spontaneità, curiosità - valori il cui collante è il divertimento -, dalla concezione di una forza propulsiva del gioco quale esplorazione della realtà, dal legame tra giocare e imparare: Gioco, posso fare tutto. Nulla è vietato, creo il mio mondo, organizzo il caos, mantengo l'equilibrio fino a che penso che si possa mantenere, gioco a fare che il mondo esiste, è questo il mio gioco.
Anche il romanzo di Douglas Coupland Microservi (1995), che racconta di un gruppo di amici nerd informatici che da bambini giocavano tutti con i mattoncini di plastica, sembra muoversi nella stessa terra di confine tra gioco e informatica di Seymour Papert: Credo che sia sensato affermare che il LEGO è uno strumento di modellazione tridimensionale molto potente e che rappresenta un linguaggio in se stesso. Un'esposizione prolungata a qualunque linguaggio, visuale o verbale, altera di sicuro il modo in cui un bambino percepisce il suo universo.

Dopo anni di successo, però, subentra l'inerzia: invece di pensare in modo nuovo e diverso, si continua a fare sempre la stessa cosa e i capi dell'azienda si trasformano in creature lente e rigide - rinoceronti, come nell'opera teatrale di Eugène Ionesco - che non osano avventurarsi fuori dal branco e non fanno altro che trascinarsi avanti chiassosamente. Negli anni Novanta il mercato si sposta dal giocattolo tradizionale all'intrattenimento digitale, i modelli di gioco moderni cancellano i confini tra bambini, teenager e giovani, con i primi che rappresentano il gruppo di consumatori che invecchia più velocemente: kids are getting older younger, i bambini invecchiano più giovani. LEGO, come tutti i produttori di giocattoli, deve condurre un'ardua lotta per non restare indietro nella concorrenza impari con l'industria dei videogiochi e dei film, che occupano la maggior parte del tempo libero dei bambini. Per la prima volta nei sessantasei anni della sua storia, nel 1998 la LEGO conosce delle forti perdite. Inizia un periodo di zig-zag, al deficit del 1998 seguono i buoni profitti del 1999, profitti più modesti nel 2000-01, grosse perdite nel 2002-04: la causa di questo sviluppo instabile va ricercata in un successo dettato dalle mode - Star Wars e Harry Potter - che non ha però generato interesse e vendite per i prodotti più basilari. La fascia di consumatori che registra però una crescita è quella degli AFOL (Adult Fans of LEGO): i costruttori hobbisti adulti rappresentano una comunità in continua espansione. LEGO sceglie di dare voce a tali fan/consumatori, di puntare sull'attività che tali utenti svolgono e che arricchiscono l'esperienza che si può avere manipolando i set base.

Il bilancio dal 2005 torna positivo e ancora nel 2021 conosce un bilancio da record. Uno dei simboli della nuova eredità LEGO è la costruzione della LEGO House (2017), che trasforma la filosofia dell'azienda e del suo prodotto in un edificio. Nel piano interrato, una Memory Lane; nei piani superiori, quattro zone legate dall'apprendimento attraverso il gioco: rosa (creatività, il gioco libero), blu (sviluppo cognitivo, risoluzione di problemi e sfide), verde (abilità sociali, un universo popolato di personaggi e storie) e gialla (sviluppo emozionale, espressione dei sentimenti); all'ultimo piano, una galleria dei capolavori, dove è esposta una selezione di opere d'arte LEGO realizzate dagli AFOL di tutto il mondo; al centro, dal pavimento fino al soffitto, s'innalza un albero di quindici metri, fatto di milioni di mattoncini, chiamato Albero della creatività.

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