Il corso on line su Moderno e Postmoderno continua con due saggi di Nietzsche e Freud -completando così, dopo Marx, la cosiddetta triade del sospetto - e un romanzo della Woolf.
Di Friedrich Nietzsche ho letto la Genealogia della morale. Forse questo scritto polemico è il peggiore Nietzsche che io abbia letto, ma questo non gli impedisce di essere un gran bel libro: sicuramente la forma, la sperimentazione stilistica, non è ai vertici caratteristici del filosofo tedesco, ma non per questo il testo non è al solito dinamite, un far filosofia martellando contro idoli, luoghi comuni, presunte certezze, metafisiche verità , rovesciati valori.
La genealogica scoperta dell'origine dell'opposizione tra "buono" e "cattivo" e la distinzione tra quest'ultimo e "malvagio", l'identificazione dell'immeschinirsi e del livellarsi dell'uomo europeo come il massimo dei pericoli, quello della stanchezza, del passivo nichilismo, della mancanza di voglia di divenire piĂą grande, di essere - come un arco - teso, pronto al nuovo, al piĂą difficile ancora, al piĂą lontano ancora, minaccia peggiore di ogni presunta barbarie. Lo smascheramento del risentimento quale origine del senso di colpa e della cattiva coscienza, della crudeltĂ nascosta dietro ogni morale (perfino nel vecchio Kant l'imperativo categorico puzza di crudeltĂ , di un certo lezzo di sangue e di tortura) e interiorizzata in aggressivitĂ contro l'uomo stesso. La trasformazione di questa malattia - che poteva essere come una gravidanza o un orrendamente gioioso travaglio, un'avventura, un disprezzo per nuove sorprendenti bellezze e affermazioni, un supplizio ed esercizio da artisti - in ideali ascetici castranti, venefici, avvilenti, dall'effetto insomma simile a un'intossicazione alcolica o alla sifilide.
Questi i temi delle tre trattazioni del saggio nietzschiano.
Di Sigmund Freud, invece, mi è toccato Il disagio della civiltà . Per esprimere la mia delusione derivante da questa lettura uso (parafrasandole solo un po') le stesse parole scritte dallo psicoanalista all'inizio del sesto paragrafo di questo suo saggio: leggendo questo lavoro ho avuto la sensazione di ascoltare la descrizione di una materia universalmente nota, l'impressione che siano stati consumati carta e inchiostro e si sia dato tanto da fare al compositore e allo stampatore del libro solo per esporre cose risapute. La mia personale impressione di aver a che fare con nient'altro che senso comune - il rapporto tra incivilimento e senso di colpa, il prezzo in termini di perdita di felicità che è necessario pagare quale debito per il progresso civile, etc. - è forse ancora più intensa dati gli oltre ottant'anni passati dalla stesura dell'opera e dallo stile freudiano che a me sembra piuttosto arido e piatto.
Gita al faro è stata, invece, l'opera di Virginia Woolf che ho letto per il corso. Il romanzo è una sorta di fenomenologia della coscienza post-cartesiana. Persa la sicurezza, la fiducia, la sovranità , la padronanza, l'autonomia, l'io (post)moderno si ritrova in una condizione tale che "seguire il suo pensiero era come seguire una voce che parla troppo in fretta perché sia possibile trascrivere a matita quel che dice, e la voce era la sua stessa voce che diceva senza alcun suggerimento cose innegabili, permanenti, contraddittorie". Se ancora la voce dell'io è la sua stessa, non ancora quella dell'altro, essa però inizia a sfuggirsi, a "danza[re] su e giù, come uno sciame di zanzare, ognuna separata dall'altra ma tutte mirabilmente trattenute in una invisibile rete elastica", a tessersi sempre più velocemente. Non si disfa, non si è decostruito fino allo sgretolamento, un "nucleo di oscurità in forma di cuneo", dilatato, insondabile, profondo, sembra permanere anche se quasi come un estraneo in casa, un perturbante segreto familiare e incredibile insieme, ma non ha, non può avere, "la dignità degli alberi immobili". "Aereo e evanescente, un colore che sfuma nell'altro come i colori sulle ali di una farfalla", è l'io, "ma sotto la costruzione [è] saldamente tenuta insieme da sbarre di ferro", si può "increspare con il respiro" ma non si può "spostare con un attacco di cavalli".










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