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mercoledì 9 marzo 2016

il pensiero cinese

Dopo quella in Africa, le Filosofie nel mondo mi portano a confrontarmi con il pensiero cinese, tra filosofia e religione - distinzione estranea nella Cina tradizionale -, tra dottrine di portata propriamente metafisica e dottrine di natura piĂą limitatamente cosmologica. 
La cultura arcaica, deposito di concetti tradizionali accumulatisi tra il III millennio e l'VIII secolo a.C., vede nel Classico dei Mutamenti (Yijing) il testo piĂą autorevole al quale attingeranno tutti i pensatori successivi per l'esposizione della dottrina dello Yin-Yang e del Dao. Manuale di divinazione databile intorno al IX secolo a.C., in esso appare evidente il principio di irreciprocitĂ  di natura che sta alla base del rapporto tra UnitĂ  e MolteplicitĂ : la pratica divinatoria necessita di un mazzo di 50 steli, ma uno di questi deve essere separato dagli altri e rimanere inutilizzato e, proprio restando "fuori gioco", esso permette le possibili permutazioni degli altri 49; così un principio di natura unitaria e non-agente rende possibili i molteplici e indefiniti mutamenti del mondo dell'azione. La linea intera Yang e la linea spezzata Yin, base dei trigrammi e dei 64 (tante le possibili combinazioni su base 6 di linee intere e spezzate) esagrammi divinatori, non devono perciò essere considerate due entitĂ  autonome che si trasformano una nell'altra, ma due aspetti dell'UnitĂ , di una stessa linea invisibile che si rende di volta in volta visibile o nel suo aspetto intero o nel suo aspetto spezzato.
A partire dall'VIII secolo a.C. si ha uno sviluppo di scuole filosofiche che mostra una ricchezza e varietĂ  di dottrine. L'insegnamento del confucianesimo (VI-V secolo a.C.) ha una portata eminentemente sociale, interpretando senza eccezione le norme di comportamento individuale come frutto dell'interiorizzazione di norme piĂą universali la cui capacitĂ  di fondare l'ordine sociale e di armonizzare il mondo umano deriva direttamente dal Cielo. Tale insegnamento prevede una triade di attitudini - il comportamento rituale (li) nei confronti di ogni aspetto della vita sociale e di se stessi, il senso dell'umanitĂ  reciproca (ren, carattere costituito dal radicale di "uomo" nella sua parte sinistra e dal carattere "due" nella sua parte destra) che rimanda a una concezione in cui l'umanitĂ  del singolo uomo ha il suo fondamento nel rapporto con la molteplicitĂ  degli altri uomini, il senso del giusto (yi) - attraverso lo studio e l'esercizio delle quali è possibile acquisire la nobiltĂ  dell'essere pienamente un uomo, un uomo esemplare.
La scuola taoista si sviluppa a partire dal IV secolo a.C. intorno a una dottrina metafisica incentrata su quattro concetti principali: il Dao (Via), il De (Potenza/Unità), la non azione, il Saggio o Uomo Vero. Il Dao è infinito che nulla ha fuori di sé, incondizionato e inconoscibile, estremo di sottigliezza (origine indistinta di tutto ciò che esiste) e di espansione (evidente e costante espandersi di tutte le forme di manifestazione); il passaggio alla molteplicità del mondo manifestato avviene per il tramite della prima determinazione del Dao stesso, l'Unità o la Potenza (De) che si origina dal supremo inizio del non-essere e che, suddividendosi pur restando indivisa, origina i destini, gli archetipi informali delle singole forme che, vibrando, generano ogni cosa che custodisce in sé un principio spirituale, una natura originaria, proprie regole e misure. Coltivando la propria natura originaria si fa ritorno all'Unità e all'origine, si è di per sé e non si ha in nulla di esterno il proprio principio (spontaneità della non azione): così è per il Saggio, il Vero Uomo che realizza l'identità con il Dao stesso. Dal punto di vista taoista le virtù confuciane non sono altro che una reazione tardiva e inefficace a uno stato di decadenza rispetto al quale si è impotenti: il senso dell'umanità e del giusto appaiono solo quando il Dao è decaduto, il comportamento rituale compare quando nei rapporti umani non regna l'armonia, i buoni ministri si hanno dove regna il disordine.
Altre scuole filosofiche sono la "Scuola dei Nomi" o dei "sofisti", per le affinitĂ  con il carattere estremo nell'abilitĂ  argomentativa attraverso il discorso e l'uso di paradossi (che intendono però esemplificare punti di vista che, non tenendo conto dell'unitĂ  del reale, restano imprigionati nel relativismo); la scuola dei legisti, che crede in una naturale propensione dell'uomo verso il male da tenere sotto controllo attraverso rigide misure coercitive; la "Scuola dello Yin-Yang e dei Cinque Agenti", che concepisce l'universo come un'unitĂ  organica retta dal Cielo e crede in un'evoluzione storico-politica segnata dalla successione dei Cinque Agenti (Terra-giallo, Legno-verde, Metallo-bianco, Fuoco-rosso, Acqua-nero) sancita dall'alternarsi dello Yin e dello Yang.
Le prime testimonianze della presenza del buddhismo in Cina risalgono al I secolo d.C., e il lungo processo di assimilazione e sinizzazione delle dottrine indiane arriva al VII-X secolo. L'estraneitĂ  alla mentalitĂ  cinese del contesto monastico del buddhismo viene superata grazie alla dottrina del bodhisattva come l'essere che, una volta realizzata la propria liberazione, ridiscende nel mondo a operare per la liberazione di tutti gli altri esseri. La dottrina del "niente altro che coscienza" riduce l'intera manifestazione della realtĂ  alla coscienza che l'essere ne ha, sostenendo l'illusorietĂ  sia del mondo fenomenico sia della coscienza individuale che lo fa apparire dotato di realtĂ  e prospettando un processo graduale che conduca all'abbandono definitivo dell'illusione e alla realizzazione-identificazione con la realtĂ  incondizionata. 
Buddhismo, taoismo e pensiero cosmologico contribuiscono alla formazione, fra XI e XIII secolo, delle dottrine neoconfuciane. Direttamente riferibile al buddhismo e al suo concetto di "contemplazione interiore" è l'idea di un rovesciamento della contemplazione, dall'esterno all'interno, per cogliere quel principio unico all'interno di sĂ© senza il quale non è possibile cogliere il medesimo principio unico che regge la molteplicitĂ  delle cose fuori di sĂ©. Viene inoltre acquisito un interesse preponderante per la cosmologia (giĂ  dal III secolo d.C., comunque, il Classico dei Mutamenti era stato inserito nel canone confuciano) con una precisa ascendenza taoista: la Trave Maestra o Grande UnitĂ  (Taiji) è l'origine indifferenziata del mondo differenziato, dalla quale appaiono i Due Modelli (Yin e Yang) e da questi le Quattro Figure (quattro digrammi), da queste le quattro Figure Celesti e Quattro Terrestri (otto trigrammi), da queste la moltitudine delle cose (64 esagrammi). Un'idea che sarĂ  poi però abbandonata, troppo simile al Dao taoista e al Vuoto buddhista, è quella per cui lo stesso essere, l'universalitĂ  dell'uno, non è a sua volta che un aspetto della maggiore universalitĂ  dello zero, del non essere (Wuji): ciò che è al di lĂ  delle forme possiede, fra la totalitĂ  delle sue possibilitĂ , anche quella di determinarsi come essere, come principio di unitĂ  che produce la molteplicitĂ , ma è al di lĂ  della Trave Maestra e tuttavia è anche la Trave Maestra. Il neoconfucianesimo si attiene all'idea di un Soffio o Forza Vitale (qi) costituente unico e indistruttibile di tutta la realtĂ . Il confucianesimo viene assunto a dottrina di Stato, tanto che fornisce la base degli esami per accedere alla carriera di funzionario dal 1313 al 1905.

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