Bello il romanzo Sunset Park di Paul Auster. Bello, ma come incompiuto, dal finale che lascia un po' l'amaro in bocca o, forse meglio, lascia un po' a bocca asciutta. Interessanti e ben tratteggiati tutti i personaggi che compaiono e le cui vite sono intrecciate e si intrecciano nella fatiscente casa abusivamente occupata e abitata di Sunset Park e nel resto della città di New York. Coinvolgenti le storie e le vicende di questi personaggi, tutte colte in momenti come di svolta, decisivi, di decisioni da prendere, di scelte da fare, di opportunità da cogliere, di opzioni da valutare. Buono ed efficace lo stile di alternare il punto di vista con cui procede il romanzo tra i diversi personaggi, alcuni maggiormente e più a lungo focalizzati, altri meno e più passeggeri, ma tutti comunque incisivi, vividi, credibili. E però a me è mancato un finale, la conclusione mi è risultata troppo brusca, improvvisa, non tanto aperta e ambigua quanto proprio troncata, recisa, appunto incompiuta. Come si risolverà la storia d'amore tra Miles e l'ancora (per poco) minorenne Pilar? E come si aggiusteranno le relazioni tra lui e i suoi divorziati genitori, il piccolo editore Morris e l'attrice Mary-Lee? Che ne sarà di Bing, con la sua band e il suo Ospedale delle Cose Rotte? Alice finirà la sua tesi di dottorato? Ellen darà una svolta alla sua attività artistica e troverà l'amore? Ecco, io tutto questo, e altro, non lo saprò mai, non c'è una seconda stagione da attendere, e questo mi spiace e un po' mi urta, forse.
Per il mensile incontro di un gruppo di lettura è stato il turno de L'Avversario, del francese Emmanuel Carrère, ricostruzione della trama di eventi, accidenti, bugie, inganni che hanno condotto il protagonista a uccidere moglie, figli, genitori nel momento in cui era ormai divenuto insostenibile portare avanti la falsa vita che si era costruito. Egli è l'avversario, il male, o solo un povero diavolo, un dannato? La delusione che aveva caratterizzato questa esperienza di lettura era stata in parte risarcita da un piacevole e inatteso evento: l'autore e narratore del romanzo scrive che, all'epoca degli omicidi, stava scrivendo una biografia di Philip K. Dick e il giorno dopo aver finito tale romanzo, rimettendo a posto dei libri negli scaffali, mi imbatto in un dimenticato acquisto di oltre sei anni fa, proprio quella Philip Dick. Una biografia di Carrère, "previdentemente" comprato in una libreria dell'usato. L'impressione di questo presunto risarcimento, però, è durata ben poco. Anche questo scritto soffre di tutti i difetti dell'altro romanzo: piattezza stilistica, trama aneddotica, sciattezza. Insomma, sono mere biografie, nel senso più deteriore che al termine si può dare, cioè scritti privi di valore letterario e semplicemente informativi, come il bugiardino di un medicinale. Addirittura questa biografia dello scrittore statunitense ha corso il rischio di rendermelo antipatico, facendolo risultare un mediocre scrittore autore pressoché sempre dello stesso libro su quel suo piccolo mondo fatto di totalitarismo, droghe psichedeliche, realtà ultima, Dio, un ossessionato religioso, paranoico, dipendente da farmaci e altro. Doppia delusione, quindi.
Continua sempre bene e piacevolmente l'immersione nella saga de Le cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin con il decimo volume, I guerrieri del ghiaccio.
Di Stato di legittima difesa di Simone Regazzoni scriverò in un prossimo post.
Per il mensile incontro di un gruppo di lettura è stato il turno de L'Avversario, del francese Emmanuel Carrère, ricostruzione della trama di eventi, accidenti, bugie, inganni che hanno condotto il protagonista a uccidere moglie, figli, genitori nel momento in cui era ormai divenuto insostenibile portare avanti la falsa vita che si era costruito. Egli è l'avversario, il male, o solo un povero diavolo, un dannato? La delusione che aveva caratterizzato questa esperienza di lettura era stata in parte risarcita da un piacevole e inatteso evento: l'autore e narratore del romanzo scrive che, all'epoca degli omicidi, stava scrivendo una biografia di Philip K. Dick e il giorno dopo aver finito tale romanzo, rimettendo a posto dei libri negli scaffali, mi imbatto in un dimenticato acquisto di oltre sei anni fa, proprio quella Philip Dick. Una biografia di Carrère, "previdentemente" comprato in una libreria dell'usato. L'impressione di questo presunto risarcimento, però, è durata ben poco. Anche questo scritto soffre di tutti i difetti dell'altro romanzo: piattezza stilistica, trama aneddotica, sciattezza. Insomma, sono mere biografie, nel senso più deteriore che al termine si può dare, cioè scritti privi di valore letterario e semplicemente informativi, come il bugiardino di un medicinale. Addirittura questa biografia dello scrittore statunitense ha corso il rischio di rendermelo antipatico, facendolo risultare un mediocre scrittore autore pressoché sempre dello stesso libro su quel suo piccolo mondo fatto di totalitarismo, droghe psichedeliche, realtà ultima, Dio, un ossessionato religioso, paranoico, dipendente da farmaci e altro. Doppia delusione, quindi.
Continua sempre bene e piacevolmente l'immersione nella saga de Le cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin con il decimo volume, I guerrieri del ghiaccio.
Di Stato di legittima difesa di Simone Regazzoni scriverò in un prossimo post.