Mentre nel tempo più classico del suo esistenzialismo esistenza e libertà costituiscono una coppia indissolubile di termini, in questo romanzo la nozione di esistenza appare disgiunta da quella di libertà. In primo piano al posto del pouvoir de néantisation, protagonista assoluto de L’essere e il nulla, c’è il carattere inerziale dell’esistenza. Mentre scrive La nausea Sartre non ha ancora messo a fuoco quel dualismo ontologico che separa dicotomicamente l’esistenza umana - il per sé - dall’esistenza inerte delle cose - l’in sé. La vita umana non appare nel romanzo del ‘38 come trascendenza, libertà, progetto. In primo piano è un fondo di ingiustificabilità del reale e della stessa presenza umana del mondo. Sicché, la fatticità non appare come una polarità, insieme a quella della trascendenza, ma si estende sino a pervadere integralmente il mondo precedendo e risucchiando all’indietro il movimento in avanti della trascendenza. L’esistenza appare come insuperabile. Il suo piano di immanenza si impone su quello della trascendenza del desiderio. La storia di questo romanzo è, dunque, la storia di una progressiva e paradossale rivelazione; la rivelazione del reale dell’esistenza. Perché l’esistenza è rimossa dalla nostra frequentazione abitudinaria del mondo. L’esistenza circonda, imprigiona, incatena, ma non la incontriamo mai; subisce un permanente processo di occultamento che nel romanzo assume la cifra della malafede di fondo che contraddistingue gli esseri umani.
Il reale informe dell’esistenza viene ricoperto dal quadro stabile della realtà, da un tempo omogeneo che torna sempre uguale a se stesso. Costanza, regolarità, continuità, stabilità. L’opposizione in gioco è quella tra il carattere difensivo della realtà e quello scabroso e indigeribile del reale, per fuggire di fronte allo scandalo della gratuità assoluta dell’esistenza. L’esperienza della Nausea svela invece l’impostura della malafede. Un reale di troppo, insensato, ingiustificato lacera la rappresentazione canonica del mondo. L’irruzione dell’esistenza fa cadere la maschera dell’Essere necessario rivelandone tutta la contingenza. È l’esperienza improvvisa e ingovernabile della Nausea a far cadere la maschera della malafede. Questa caduta è l’esito di una scossa che colpisce innanzitutto il corpo: urto, vertigine, smarrimento.
La Nausea sartriana rivela l’esistenza come bruta fatticità, protuberanza ingiustificata, superflua, contingente, di troppo. L’esistenza nel suo essere qui contingente sfugge ad ogni significazione coincidendo con la sua assoluta presenza, con il suo più puro e bruto être-là. In evidenza è qui la distinzione categoriale tra il quid sit e il quod sit - tra la quidditas e la quodditas - tra il che cosa è e il c’è dell’esistenza. Il c’è senza senso non può non evocare l’il y a dell’esistenza che in quegli stessi anni Lévinas pensa come campo neutro, brulichio informe, pura esistenza senza mondo. È il tema della prevalenza di una nozione di esistenza senza trascendenza, libertà, progetto, dell’esistenza come condizione priva di redenzione, senza vie di fuga, intrappolata, incatenata in un essere che è anteriore al mondo inteso come luogo della significazione.
Nella Nausea non si tratta però dell’angoscia che Sartre - seguendo Kierkegaard e Heidegger - definisce ne L’essere e il nulla come l’autopercezione riflessiva della nostra libertà, vincolata alla responsabilità di fronte al carattere sempre dilemmatico della scelta. Diversamente dall’angoscia che è in stretto rapporto con il campo aperto delle possibilità, con la libertà come fondamento infondato dell’esistenza, la Nausea è invece in rapporto con il reale impossibile dell’esistenza, con la sua fatticità. Sartre distingue chiaramente l’una dall’altra:
la percezione esistenziale della nostra fatticità è la Nausea, e l’apprensione esistenziale della nostra libertà, l’Angoscia.Se l’angoscia kierkegaardiana e heideggeriana implicano la separazione, la perdita, il confronto con il nulla del proprio fondamento, la Nausea sartriana implica invece il sentirsi affondare nell’esistenza senza possibilità alcuna di separazione. Se l’angoscia è un’esperienza che ha al suo centro il rapporto dell’esistenza con la responsabilità della scelta che implica la possibilità permanente di fare un taglio netto col proprio passato, la Nausea appare piuttosto come un’esperienza di sprofondamento, di immersione, un segnale di intrappolamento nell’immanenza assoluta, irrelata, senza rapporto, dell’esistenza, segnala il ritorno dell’infanzia insuperabile dell’esistenza, mostra l’esistenza come il nucleo buio del soggetto che non si lascia mai metabolizzare integralmente dal simbolico, un passato traumatico che non si lascia dimenticare. La Nausea non è angoscia di fronte al nulla a fondamento della nostra libertà, né sorge dalla meraviglia di fronte all’essere, ma dall’urto sconcertante con la pura contingenza dell’esistenza. La Nausea non confronta, come accade per l’angoscia, il soggetto con la propria libertà - non rivela la trascendenza dell’esistenza - quanto con l’assenza di libertà. Rivela la fatticità bruta di un’esistenza che si scopre come pura passività, inerzia, incatenamento. Non a caso Sartre avrebbe voluto intitolare il suo romanzo Melancholia a sottolineare come la condizione del soggetto nauseato evochi da vicino quella del soggetto malinconico: mentre nella paranoia il senso è dappertutto - nella paranoia tutto è diventato segno -, nella melanconia l’esistenza appare scissa dall’Essere, priva di ogni senso.
[Massimo Recalcati, Ritorno a Jean-Paul Sartre. Esistenza, infanzia e desiderio]