La rappresentazione della Fortuna muta dal Medioevo al Seicento: pur rimanendo il concetto dell'aleatorietà dei suoi doni, espresso tanto dal medievale girare della ruota – «Ti sei affidato al governo della fortuna: devi sottostare agli umori della tua padrona. Tu ti sforzi invece di fermare il movimento impetuoso della ruota che gira? Ma, o stoltissimo tra i mortali, se principia a star ferma, la sorte cessa di essere» (Boezio, Deconsolatione philosophiae) – quanto dal rinascimentale correre della dea su una sfera e il suo essere bendata, a simbolizzare la totale casualità del suo incedere e l’imprevedibilità del punto in cui sarebbe giunta, nel Cinquecento matura anche l’immagine dell’uomo che afferra la Fortuna per i capelli ed è protagonista del proprio destino, homo faber ipsius fortunae (uomo artefice del proprio destino).
Un ampio ciuffo impedisce alla Fortuna "rinascimentale" di vedere il mondo, mentre la sua nuca rasata, sottrazione di un potenziale appiglio, impedisce agli uomini che si pongano al suo inseguimento di acciuffarla per la chioma (questa rappresentazione deriva del Kairos greco e dall’Occasio latina, divinità del momento opportuno). Ma esistono delle strategie per poterne fermare il transito rapido e ineluttabile: l’esercizio costante dell’appostamento, che favorisce un inseguimento guardingo (il motto festina lente, affrettati lentamente, o meglio, con avvedutezza, si riferisce anche a questo atteggiamento).
Un dipinto della scuola di Andrea Mantegna - Occasio et Costantia -, realizzato nel 1500 nel Palazzo Ducale di Mantova, rappresenta la filosofia d’attacco, che prescrive velocità contemperata dall’assennatezza e da capacità strategiche. Ecco il transito della donna sulla sfera, è l’Occasio a lungo attesa. La Fortuna ha la chioma che scende sulla fronte fino a coprirle il volto e il corpo reso atletico dalle interminabili corse. La stoffa del peplo, mossa dall’aria del veloce scivolamento, mostra la rapidità con cui procede, senza il minimo impedimento. Dietro di lei – con i piedi piantati per terra, attraverso un’immagine figurata che indica tuttora, nel lessico a noi contemporaneo, il comportamento degli avveduti – sta la Costanza, una figura statica e composta quanto quella di un cacciatore in appostamento, sistemata su un parallelepipedo, simbolo di stabilità come tutte le figure che rinviano al cubo, e pertanto contraria alla precarietà di ogni elemento sferico. Essa trattiene un giovinetto pronto per la corsa, con le mani spalancate per ghermire la fuggitiva.
(da Maurizio Bernardelli Curuz, La nuca rasata della cieca dea)
(da Maurizio Bernardelli Curuz, La nuca rasata della cieca dea)
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