Dopo oltre due mesi di lenta lettura ho finalmente finito Le Benevole di Jonathan Littell, ed è forse stata anche questa modalità frammentata e centellinata a farmi vivere questa esperienza di lettura come uno stillicidio, il che non mi ha probabilmente fatto apprezzare al meglio il romanzo. Certo non mi è sembrato né brutto né deludente, ma pesante sì, e non per la crudezza delle descrizioni degli orrori di guerra o delle perversioni sessuali (reali, oniriche e allucinatorie) del protagonista, non per la fredda e lucida spietatezza con cui è presentato il rigore logico nazista - anzi, interessanti proprio le continue riflessioni sullo modalità necessaria, contingente o possibile delle scelte politiche della Germania del Terzo Reich -, forse, invece, per la scarsezza di una vera e propria trama, di una storia dentro la Storia, per l'assenza della descrizione della "seconda vita" dell'ufficiale delle SS divenuto direttore di una fabbrica di merletti nel nord della Francia, che invece mi sarebbe piaciuto leggere.
Ancora un bel romanzo di Fabio Geda, l'ultimo pubblicato Se la vita che salvi è la tua. Non fossi tu, chi saresti? Le contingenze della vita portano il protagonista, precario della scuola, a porsi questa domanda sulla propria identità, sull'autenticità delle scelte fatto, sugli scacchi e le possibilità della propria esistenza. E durante la visita a una mostra sul secolo d'oro della pittura olandese, davanti a un dipinto di Rembrandt, ha un'improvvisa epifania: lui non è il figliol prodigo della parabola evangelica, ma è il fratello maggiore rimasto a casa.
"Da anni, vago incapace di realizzare il mio destino con la pienezza che desidero e che mi è dovuta, si è ripetuto davanti al dipinto di Rembrandt, spiando l'abbraccio di quel padre misericordioso e sentendosi autorizzato a identificarsi con il figlio minore. Ma non è così. Perché non è vero che vaga da anni, lui. Anzi, lui è rimasto a casa. Ha fatto tutto quello che doveva fare. Tutto quello che i suoi genitori avrebbero voluto facesse. Ho fatto tutto quello che dovevo fare e in cambio non ho ricevuto nulla, pensa - non il lavoro che volevo, non un figlio, e tantomeno un capretto per far festa. Io non sono il figlio prodigo. No, lui non è il figliol prodigo. Lui è quello incazzato perché c'è chi ha fatto meno e ricevuto di più. Quello invidioso. Quello che forse avrebbe fatto bene a perdersi una volta nella vita, almeno una, a scartare di lato e a giocarsela con l'imprevisto, al posto di macerare nell'ideale della santità".
Quindi basta con l'attesa di un domani migliore, la fiducia nell'espansione dell'universo, la strada della moderazione e del compromesso: occorre, invece, trovare la forza di salvare la propria vita.
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