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mercoledì 27 aprile 2011

amor fati e la lotta degli uomini liberi

«”Ascoltami bene, Harry. Si dà il caso che tu abbia molte qualità che Salazar Serpeverde apprezzava nei suoi alunni, che selezionava accuratamente. E tuttavia, il Cappello Parlante ti ha assegnato al Grifondoro. Tu sai perché. Pensaci”. “Lo ha fatto” disse Harry “perché gli ho chiesto io di non andare fra i Serpeverde”. “Appunto” disse Silente raggiante. “Il che ti rende assai diverso da Tom Riddle. Sono le scelte che facciamo, Harry, che dimostrano quel che siamo veramente, molto più delle nostre capacità» (Harry Poter e la camera dei segreti). Harry Potter è diverso da Voldemort, come da Salazar, non per le sue caratteristiche ma perché ha fatto scelte diverse a partire da cui, solo, quelle caratteristiche assumono forma e valore. È stato Jean-Paul Sartre a esprimere nel modo più radicale quest’idea per cui l’uomo è ciò che, in assoluta libertà, sceglie di essere: «Tu sei libero, scegli, cioè inventa. Nessuna morale generale ti può indicare ciò che è da fare» (L’esistenzialismo è un umanismo).
Il valore etico della libera scelta non consiste nell’esercizio di una libertà astratta e assoluta, ma nella pratica di una libertà sempre inscritta in un contesto, in una ben precisa situazione in cui si tratta di rispondere a ciò che accade. È proprio dove l’ombra di un destino già segnato sembra allungarsi sulla serie delle libere scelte, che Harry comprende il senso profondo della sua libertà di fronte a ciò che accade: «Finalmente capiva quello che Silente aveva cercato di dirgli. Era, si disse, la differenza fra l’essere trascinato nell’arena ad affrontare una battaglia mortale e scendere nell’arena a testa alta. Forse qualcuno avrebbe detto che non era una gran scelta, ma Silente sapeva – e lo so anch’io, pensò Harry con uno slancio di feroce orgoglio, e lo sapevano i miei genitori – che c’era tutta la differenza del mondo» (Harry Potter e il principe mezzosangue). Che differenza c’è tra essere costretti ad affrontare la battaglia mortale e scegliere di affrontarla? È la differenza tra essere o non essere degni di ciò che accade, tra il sì di rassegnazione di fronte a ciò che accade, all’evento, e il sì di affermazione. È Deleuze ad aver descritto, nel modo migliore, questa forma di libertà in cui un certo Amor fati (“amore per il fato, per il destino”) alla Nietzsche come sì all’evento fa tutt’uno con la lotta degli uomini liberi: «Non essere indegni di ciò che accade. Cosa vuol dire allora volere l’evento? Vuol dire forse accettare la guerra quando capita, la ferita e la morte quando capitano? È molto probabile che la rassegnazione sia ancora una figura del risentimento. Se volere l’evento è innanzitutto liberarne l’eterna verità, come il fuoco che lo alimenta, tale volere raggiunge il punto in cui la guerra è condotta contro la guerra, la ferita, tracciata vivente, come la cicatrice di tutte le ferite, la morte rovesciata voluta contro tutte le morti. In questo senso l’Amor fati fa tutt’uno con la lotta degli uomini liberi» (Logica del senso). La libertà dell’atto etico è dunque un sì all’evento come esposizione incondizionata a ciò che accade, come una passività senza rassegnazione. Una passività che ha la forza di controeffettuare ciò che arriva. Ed è qui che il ragazzo che reca sulla fronte la cicatrice a forma di fulmine sembra incrociare i passi dell’Übermensch, dell’oltreuomo di Nietzsche.

(da Simone Regazzoni, Harry Potter e la filosofia)

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