Pulp Fiction (1994) di Quentin Tarantino è un film sul nichilismo americano. All’inizio del film la conversazione tra Vincent e Jules verte su Big Mac, gruppi pop, serie televisive, ecc.: questi riferimenti frivoli non sono un semplice diversivo, ma è il modo in cui i due personaggi danno un senso alla loro vita, una vita fatta di icone e di simboli culturali pop, di transitorietà. In un altro tempo e/o in un altro luogo le persone avrebbero interagito attraverso soggetti che consideravano più grandi di loro, che avrebbero trasmesso il senso e il significato della propria vita e che avrebbero determinato il valore delle cose. Questo è un aspetto assente nell’America del ventesimo secolo. Ecco perché nel film abbondano le icone pop: esse costituiscono i punti di riferimento attraverso i quali comprendiamo noi stessi e gli altri. L’iconografia pop arriva a occupare ogni spazio della scena quando Vincent e Mia entrano nel Jack Rabbit Slim’s. Oltre che l’iconografia pop, nel film il discorso del linguaggio interessa i nomi che si danno alle cose (Big Mac, Quarto di libbra con formaggio e Whopper; cameriera chiamata garçon; motocicletta e chopper). Il linguaggio non si spinge più in là di se stesso. Definire qualcosa “buono” o “cattivo” lo rende tale, dal momento che non esiste autorità o criterio superiore attraverso cui giudicare le azioni.
L’assenza di ogni tipo di fondamento che aiuti a formulare giudizi di valore genera nei personaggi una sorta di vuoto che viene riempito con il potere. Essi si collocano all’interno di una gerarchia di potere nella quale a comandare è Marsellus Wallace e le cose della vita arrivano ad assumere un valore solo se lo stabilisce Marsellus Wallace. Un perfetto esempio di come funzioni questo meccanismo è la misteriosa valigetta che Jules e Vincent sono incaricati di riportare al capo. Non fa differenza quello che contiene la valigetta. Se Jules e Vincent possedessero una struttura oggettiva di valori e di significati, sarebbero in grado di determinare se il contenuto della valigetta alla fin fine abbia o meno un valore, e sarebbero capaci di stabilire quali azioni siano o non siano giustificate al fine di recuperarla.
Nel film, tale carenza di una qualsiasi forma di autorità superiore è raffigurata dalla mancanza totale di rappresentanti della polizia. Zed indossa la divisa di un corpo di sicurezza privato, che gli conferisce le sembianze dell’autorità. Egli è però soltanto una guardia privata, non un vero poliziotto, e rappresenta un’allusione all’arbitrarietà dell’autorità. Marsellus Wallace funge da legislatore di valori, da somma autorità. Nel frangente in cui Marsellus è tenuto prigioniero, la sua autorità è usurpata da Zed, che ora ha il coltello dalla parte del manico e spinge l’usurpazione all’estremo con lo stupro di Marsellus.
Quei simboli culturali pop sono posti in forte contrasto con un passaggio particolare del Vecchio Testamento, quello di Ezechiele 25, 17: «Il cammino dell’uomo timorato…». Jules cita il brano appena prima di uccidere qualcuno. Il fatto è che il passo allude a un sistema di valori e di significati in funzione dei quali si dovrebbe vivere la vita e fare le proprie scelte. Jules offre tre possibili interpretazioni del passaggio. La prima è in linea con il tipo di vita condotto sino ad allora. Qualsiasi cosa faccia (dietro comando di Wallace) è giustificata, pertanto lui è l’uomo timorato protetto dalla sua pistola e tutto ciò che si frappone è per definizione cattivo o maligno. La seconda interpretazione è interessante e sembra in linea con l’atteggiamento pseudo-religioso di Jules in seguito a quella che lui traduce come un’esperienza mistico-divina. In questa visione, il mondo è malvagio ed egoista e, a quanto sembra, ha indotto Jules a compiere tutte le nefandezze di cui si è reso responsabile sino a quel punto. Ora è diventato il pastore, e proteggerà Ringo (nell’ambiente della mala un pesce piccolo) da quel male. Ma l’uomo comprende che quella non è la verità. La verità è che lui è il male contro cui per anni si è fatto predicatore. Jules sta cercando di trasformarsi nel pastore, per guidare Ringo attraverso la valle delle tenebre. Certo sono tenebre che Jules si è creato da sé, nel senso che la lotta per diventare il pastore è la lotta con se stessi per non ritornare al male.
La scelta dell’arma con cui Butch andrà a salvare Marsellus è l’elemento rappresentativo della sua trasformazione: egli soppesa prima un martello, poi una mazza da baseball, una sega elettrica e infine la spada da samurai. È indubbio che la spada si distingue. Anzitutto è un’arma propria, mentre le altre non lo sono. Ma spicca anche perché gli altri tre oggetti sono simboli della vecchia America. Essi esprimono il nichilismo che Butch si sta lasciando alle spalle, mentre la spada da samurai rappresenta una cultura particolare sorretta da una struttura morale rigidissima, il tipo di fondamento oggettivo assente dalla vita dei personaggi. La spada è per Butch ciò che il passo biblico è per Jules: uno spiraglio che si intravede al di là della cultura pop, al di là dell’abisso spalancato del nichilismo, verso un modo di vivere e di pensare dove esistono criteri morali oggettivi, dove esistono significati e valori, e dove il linguaggio trascende se stesso. La spada è significativa anche perché, contrariamente all’orologio d’oro (un cimelio mandato a un bambino da un padre a lungo assente del quale ricorda ben poco, un simbolo vuoto, senza referente perché ciò a cui dovrebbe rinviare è assente), ricongiunge Butch alla discendenza maschile della famiglia fatta di guerrieri, soldati delle varie guerre. La scelda della spada trasforma Butch in un individuo legato a una storia e a una tradizione, le cui azioni sono guidate da un rigido codice di condotta permeato dai valori supremi dell’onore e del coraggio.
(da Mark T. Conard, Simbolismo, senso e nichilismo in Pulp Fiction di Quentin Tarantino, in Platone suona sempre due volte)