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giovedì 20 marzo 2025

l'evoluzione delle stem

Nuovo set Lego è L'evoluzione delle STEM, cioè delle discipline scientifico-tecnologiche (science, technology, engineering, mathematics).
Il set realizza un libro in mattoncini pieno di scoperte, un’enciclopedia aperta piena di mini costruzioni che simboleggiano alcune delle più famose scoperte scientifiche e tecnologiche e celebrano l’evoluzione della scienza, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica.
Su una base a forma di libro aperto, appunto, trovano spazio il melo che ha ispirato la teoria della gravità, lo spettro visibile della luce che mostra i colori tra l'infrarosso e l'ultravioletto, il codice di trasmissione fatto di punti e linee inventato da Samuel Morse nel 1836, l'atomo di carbonio sul quale è basata tutta la vita sulla terra, il filamento di DNA, il modello di uno dei primi computer domestici, la sezione aurea derivante dalla serie di Fibonacci e visibile quasi ovunque in natura dalla struttura delle cellule all'orbita dei pianeti, la sonda Voyager 1 ovvero l'oggetto fatto dall'uomo più lontano dalla Terra e il primo veicolo spaziale a raggiungere lo spazio interstellare, il disco d'oro a bordo di tale sonda con i suoi saluti in 55 lingue e la sua selezione di musica e suoni naturali. lo space shuttle che rappresenta lo spirito pionieristico dell'umanità e segna gli incredibili risultati del volo spaziale con equipaggio, il calabrone vitale a mantenere un ecosistema globale sano e la biodiversità.
Inoltre, sono comprese le minifigures di Sir Isaac Newton (1643-1727) -  matematico, fisico, astronomo, filosofo naturale inglese, considerato uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi e noto soprattutto per la fondazione della meccanica classica, la teoria della gravitazione universale e l'invenzione del calcolo differenziale, contribuì significativamente a più branche del sapere, occupando una posizione di preminente rilievo nella storia della scienza e della cultura -, George Washington Carver (1864-1943) - agronomo statunitense ed educatore nel campo dell'agronomia, insegnò sul campo a ex-schiavi le tecniche di agricoltura per l'autosufficienza -, Marie Curie (1867-1934) - fisica, chimica e matematica polacca naturalizzata francese, prima donna insignita del premio Nobel, una dei cinque vincitori del Nobel ad averne ricevuti due e sola a aver vinto il premio in due distinti campi scientifici.









martedì 18 marzo 2025

autismo e genere

Piuttosto deludente l'incontro con il nuovo personaggio e la nuova serie di Alice Basso. Sarà anche perché le vicende della ghostwriter Vani Sarchia le ho ascoltate lette dall'autrice stessa, elemento che aggiunge verve e ironia all'esperienza di lettura/ascolto, ma mi sembra comunque che ne Le ventisette sveglie di Atena Ferraris la protagonista sia meno riuscita, il cast di comprimari troppo macchiettistico, la vicenda non ben architettata e per nulla in atmosfera di giallo (semmai di romance).
Peccato, anche perché invece è interessante la postfazione, che spiega la genesi del nuovo lavoro della Basso.

Nell'agosto del 2021 sono ad Asiago a presentare Il grido della rosa e mi raggiunge la mia amica Sara, fotografa bravissima. Chiacchieriamo del più e del meno prima e dopo l'attimo delle foto, e a un certo punto lei butta lì: "Ah, e poi quest'anno ho scoperto di essere autistica, e questa cosa mi ha cambiato la vita".
All'epoca, per me autismo significava poco più di quello che significa effettivamente per la stragrande maggioranza della popolazione, e infatti devo aver fatto una faccia che voleva palesemente significare: "Non
sembri affatto autistica".
Sara mi spiega che le è capitato di parlare con un'amica neuropsicologa di tutto un ventaglio di peculiarità che si portava dietro dall'infanzia, che andavano dalla necessità di chiudersi in isolamento totale per un certo tempo dopo esperienze di grande socialità, fino all'insofferenza se per sbaglio si metteva i calzini con le cuciture all'interno. La sua amica le ha detto: "Perché non provi a fare questo test, è il test a cui sottoponiamo le persone che pensiamo possano essere neurodivergenti.
E adesso eccola qua, una donna adulta, stimata, di successo, a dirmi: "Ho scoperto alla mia età di essere autistica".
Com'è possibile che una persona arrivi a trenta, quarant'anni per scoprire di essere neurodivergente?
E la risposta io l'ho trovata interessantissima: non "una persona"; una
donna.
Le diagnosi si fanno in primis a partire dall'osservazione di soggetti di sesso maschile, e se una patologia o una condizione si esprime diversamente nelle donne si arriva a accorgersene molto tardi. Anche solo nel piccolo della mia personale cerchia di conoscenze, i bambini autistici diagnosticati e seguiti come tali sono in nettissima prevalenza maschi. Dove sono le ragazze? Come mai sono così poche? Forse l'autismo si presenta praticamente solo nel genere maschile?
Scoperta degli ultimi anni: niente affatto. È pieno di donne autistiche. Solo che il loro essere autistiche si manifesta in un altro modo, e ce ne siamo accorti solo da pochissimo.
La parola "autismo" viene da
autòs, il "sé", quindi potremmo dire che è una "sindrome della chiusura in se stessi". Quante bambine passano per introverse, timidissime, imbranate, goffe; o ipersensibili, iperempatiche, esagerate e fuori luogo nelle loro manifestazioni emotive; o talvolta anche strampalate secchioncine genialoidi ma fuori sintonia col resto del mondo. Quante ragazzine chiuse, male integrate, fragili, magari soggette a scatti d'ira o crisi di pianto. Di quante avete pensato che potessero essere autistiche? Beninteso: non sto dicendo che lo siano per forza. Però "è isterica" o "è un'imbranata" o "deve imparare a vivere" sono cose che si sentono dire molto più spesso di "forse è autistica".
Un bambino - maschio - chiuso, o ansioso, smarrito, goffo, incapace di relazionarsi fa sorgere velocemente delle preoccupazioni negli adulti: perché il maschietto ideale è intraprendente, coraggioso, sveglio, disinvolto e integrato, uno che domina l'ambiente; i genitori saranno più inclini a consultare uno psicologo che lo aiuti. Una bambina chiusa, ansiosa, timida, goffa è uno spettacolo molto più normale. Insomma, è un po' il modo in cui sono fatte le femmine, no? E di una bambina timida e riservata, anche parecchio, che si rintana fra le sue cose senza dar fastidio, spesso si dice solo che è una
brava bambina.
Le manifestazioni che noi associamo a una determinata neurodivergenza sono quasi sempre tipiche dei soggetti maschi, e alle bambine non vengono diagnosticate perché le femmine non fanno la cortesia di mostrarle nella stessa maniera. L'ADHD, il disturbo da iperattività e deficit dell'attenzione, alle scuole elementari viene facilmente riconosciuto nel bambino (maschio) che non riesce a stare fermo, a concentrarsi, che "non si sa comportare". Ma magari accanto a lui è seduta una bambina che non attira l'attenzione facendo casino, che si agita giusto un po' nel banco, magari chiacchiera, perlopiù sogna a occhi aperti e divaga con la mente senza riuscire a seguire la lezione. Ciò da cui solitamente si riconosce lADHD è proprio quella H che perlopiù nelle bambine manca, ossia l'
hyperactivity (che poi manchi perché manca e basta o non si noti perché viene repressa di più, è ancora oggetto di studi). Si redarguisce la bambina perché la si vede scarabocchiare anziché ascoltare o prendere appunti; così lei smette, ma non ha il coraggio di spiegare che scarabocchiare non la distrae mica, anzi, la aiuta a stare attenta, e il risultato è che, cercando di fare la brava, si ritrova ancora meno produttiva.
Poi la bambina cresce. La ragazza continua a avere difficoltà a studiare. Le stesse difficoltà la seguono da grande, sul lavoro; così magari a un certo punto la ragazza si rivolge a uno psicologo. E statisticamente, in questa fase, a questa donna adulta che arriva a confidare una vita di difficoltà, con tutte le ansie e le sensazioni di fallimento correlate, viene diagnosticata cosa? La depressione.
Qui entra in scena una di quelle parole che spiegano un sacco di cose: il
masking. Cioè il mascheramento, quella serie di strategie con cui tu - specialmente tu ragazza -, nell'ansia di essere accettata e capita, impari a "fare la persona normale", sopprimendo gli atteggiamenti che ti verrebbero naturali e sostituendoli con quelli che vedi mettere in atto dalle persone intorno a te. Niente stimming (giocherellare coi capelli, dondolare su te stessa per calmarti), lasciare la stanza quando luci e rumori ti stanno portando sull'orlo dell'esaurimento nervoso, niente domande seccanti, niente che possa arrecare disturbo o disagio al prossimo. Osservi e imiti, affamata di copioni da recitare, per non correre il rischio di essere te stessa. Così da fuori finisci per sembrare normale.
Da tutto questo nasce Atena.

sabato 15 marzo 2025

gioca bene

Il libro a sorpresa di febbraio, di cui riesco a scrivere soltanto adesso, è stato Lego. Una storia di famiglia, ricostruzione biografica e non solo di Jens Andersen.

Si parte dalla falegnameria di Billund degli anni Venti e dalla filosofia con cui Ole Kirk Christiansen la fonda e la gestisce: il rispetto per il lavoro eseguito a regola d'arte, l'eccellenza del risultato, il rifiuto della mediocrità per fare meno fatica. Falegnameria che, già negli anni Venti, inizia a produrre anche alcuni giocattoli, recuperando i pezzi di legno avanzati per lavorarli e trasformarli in cavalli, mucche, case, oppure in alcuni miracoli tecnologici, come automobili, treni e aerei. Nel 1932 la falegnameria è ormai una fabbrica di giocattoli, e nel 1934 Ole Kirk sceglie di darle un nome che rimanga impresso nella memoria: le proposte sono LEGIO - legata all'espressione legioni di giocattoli - e LEGO - contrazione dell'espressione Leg godt, gioca bene. La piccola fabbrica fa progressi graduali ma ininterrotti con i suoi animali di legno su ruote - un'anatra semi-meccanica che fa qua qua con il becco -, le sue automobiline verniciate in colori vivaci e brillanti, il suo trenino espresso rosso: per decenni il mercato del giocattolo europeo è stato dominato dalla Germania, ma l'artigiano Ole Kirk, rifiutando di utilizzare materie prime economiche - sceglie invece solo legno di faggio stagionato e asciugato all'aria, cotto a vapore ed essiccato in forno -, considera LEGO competitiva in termini qualitativi.
La concezione dei bambini e del gioco in questi anni va cambiando: negli anni tra le due guerre psicologi, pedagogisti, scrittori e filosofi studiano la natura del bambino e il significato universale del gioco per l'uomo, negli anni Quaranta e nei primi anni Cinquanta in Scandinavia si pubblicano alcuni capolavori della narrativa per l'infanzia così che nella letteratura mondiale autori adulti osano dar vita a storie con un io narrante bambino dando voce ai più piccoli nella maniera più autentica. Anche LEGO espande la sua produzione sull'onda del boom della letteratura per ragazzi e del conseguente interesse per i bambini, il gioco e i giocattoli, partendo dal presupposto che per giocare bene servano giocattoli di qualità: il Kirk's Kuglebane [Campo da gioco di Kirk] - elementi oblunghi in legno che possono essere assemblati per costruire una pista per giocare con le biglie -, la scatola rossa degli educativi mattoncini in legno sui cui lati finemente levigati e laccati sono impressi numeri e lettere nei colori primari, la Pistola della Pace - pistola giocattolo semiautomatica in legno.
La carenza di legno, nel frattempo, spinge Ole Kirk a cercare materiali alternativi: l'età della plastica è alle porte, sui quotidiani danesi si scrive che i giocattoli del futuro saranno in coloratissima plastica, materiale perfetto per questo uso in quanto piacevole al tatto, igienico, innocuo e praticamente indistruttibile, e poiché i modelli si ottengono per fusione perfezionarli è facilissimo. Nel 1947 Ole Kirk vede una scatola di mattoncini in plastica, di vari colori, cavi e muniti di bottoncini sul lato superiore: con una manciata di questi pezzi, prodotti dalla British Industries Fair di Londra, ogni bambino può imitare il lavoro dei veri artigiani. Dal 1948 appaiono i primi giocattoli LEGO in plastica e infine, nel 1949, i primi coloratissimi mattoncini, gli Automatic Binding Bricks.
L'intuizione dell'azienda è quella di puntare su un assortimento a lunga durata che la renda meno dipendente da best seller temporanei - prodotti effimeri che pullulano nel settore del giocattolo -, e su un giocattolo del tutto unico e vendibile ovunque, spingendosi fuori dei confini nazionali: LEGO deve concentrarsi su una sola idea, focalizzarsi su un prodotto unico e longevo che possa evolvere in un sistema di gioco più ampio e che sia facile da utilizzare, fabbricare e vendere. I LEGO Mursten [Mattoni] sono rilasciati nel 1952-53, pensati non solo come mattoncini da combinare per creare questa o quella costruzione, ma come un sistema aperto all'opzione di collezionare mattoncini e ampliare le possibilità di gioco attraverso set regalo e scatole di espansione. Gli slogan sono Vuoi LEGO con me? e Costruisci una città LEGO. Il lancio non segna solo l'inizio di un nuovo sistema di gioco, ma promuove anche un messaggio sui bambini e sul gioco incredibilmente vitale e lungimirante, concetto gridato attraverso il disegno sulla copertina dell'opuscolo pubblicitario, in cui un allegro omino LEGO, in abiti da lavoro e con l'elmetto da muratore che si porta un megafono alla bocca per far conoscere al mondo intero l'idea umanistica del Sistema LEGO: Volevamo creare un giocattolo che avesse un valore per la vita di un bambino, che facesse appello alla sua fantasia, stimolando la voglia e la gioia di creare, forze motrici di ogni essere umano.
La rapida diffusione negli anni Cinquanta del Sistema LEGO è legata alla strategia pubblicitaria - fatta di spot nei cinema, brochure, esposizioni di costruzioni nelle vetrine dei grandi magazzini, riviste illustrate -, ai tanti pregi di un prodotto che offre infinite possibilità di gioco - soprattutto quando nel 1958 l'inserimento di tre tubi di collegamento cilindrici nella cavità del mattoncino consente incastri saldi, stabilità e forza di assemblaggio aprendo la porta a costruzioni inedite e nuove possibilità di combinazione -, al fatto che i mattoncini sembrano soddisfare un nuovo bisogno sociale, un desiderio di ricostruzione diffuso in tutta l'Europa del dopoguerra, che riguarda non solo case, quartieri e città ma anche modelli e relazioni famigliari.

Gli anni Sessanta sono quelli dell'espansione, e dopo Germania, Svizzera, Olanda, Belgio, Austria, Portogallo, Italia, LEGO fa la sua apparizione in Gran Bretagna, America del Nord, Australia, Singapore, Hong Kong, Giappone, Marocco. Sono anche gli anni in cui LEGO, producendo elementi più piatti che consentano di immaginare e realizzare modelli più dettagliati, si propone anche ai professionisti dell'edilizia (architetti, ingegneri, designer, costruttori) e a hobbisti adulti: è il Pilastro LEGO, livelli che dal Sistema nel Gioco per bambini salgono attraverso un prodotto rielaborato e arricchito in una scala diversa come hobby per gli adulti, poi uno rivolto agli specialisti del settore edilizio, fino a una sovrastruttura filosofica attraverso la quale - come spiega Godtfred Kirk Christiansen, figlio di Ole Kirk a lui subentrato - il gioco LEGO del futuro porterà a un cambiamento globale non solo nei modi di progettare e costruire, ma anche nei modi di pensare e di comportarsi in una sorta di spinta evolutiva. Pur non avendo successo le scatole per adulti lanciate nel 1962-63, l'utilizzo di mattoncini più piccoli per costruire oggetti più realistici finisce per arricchire il Sistema LEGO con nuove possibilità.

La fine degli anni Settanta porta alla guida dell'azienda Kjeld Kirk Kristiansen, con l'idea di segmentazione del mercato attraverso un giocattolo basato su un ampio ventaglio di prodotti rivolti a diverse fasce d'età e ai loro diversi bisogni di gioco. Sono gli anni delle Minifigures - vestite da eroi di tutti i giorni: poliziotti, pompieri, dottori, infermiere -, delle linee DUPLO, Città, Castello, Spazio, Technic, di tanti nuovi prodotti e set.

Gli anni Ottanta vedono proseguire l'esplosione del numero di set e il forte impatto delle Minifigures che consentono di combinare il gioco di costruzioni con quello simbolico. E sono anche gli anni della sfida digitale: il nerd informatico Kjeld ha già immaginato che LEGO troverà il suo accesso peculiare alla nuova tecnologia nell'intersezione tra gioco e didattica, i designer dell'azienda lavorano con pedagogisti ed esperti in diverse materie e tipi di insegnamento. Arrivano LEGO Education, LEGO Technic, LEGO DUPLO Mosaic, viene creato un portale dal quale gli insegnanti possono scaricare piani d'insegnamento, e nel 1984 arriva l'incontro con Seymour Papert - che da anni usa i mattoncini LEGO in diversi esperimenti al MIT Media Lab di Boston - e il suo linguaggio di programmazione Logo: accomunati dall'idea che quando costruiscono qualcosa con le proprie mani i bambini costruiscono al contempo il loro sapere, che questa forma di apprendimento è importante perché penetra più a fondo nel cervello, Kjeld e Papert sviluppano dei mattoncini LEGO con dei sensori incorporati con cui costruire robot, gru e veicoli comandati da un computer tramite il programma Logo, sviluppano un software per i modelli della linea Technic (LEGO TC, Technic Control). La LEGO Vision  che Kjeld porta nell'azienda è sintetizzata dalle idee di creatività, fantasia, entusiasmo, spontaneità, curiosità - valori il cui collante è il divertimento -, dalla concezione di una forza propulsiva del gioco quale esplorazione della realtà, dal legame tra giocare e imparare: Gioco, posso fare tutto. Nulla è vietato, creo il mio mondo, organizzo il caos, mantengo l'equilibrio fino a che penso che si possa mantenere, gioco a fare che il mondo esiste, è questo il mio gioco.
Anche il romanzo di Douglas Coupland Microservi (1995), che racconta di un gruppo di amici nerd informatici che da bambini giocavano tutti con i mattoncini di plastica, sembra muoversi nella stessa terra di confine tra gioco e informatica di Seymour Papert: Credo che sia sensato affermare che il LEGO è uno strumento di modellazione tridimensionale molto potente e che rappresenta un linguaggio in se stesso. Un'esposizione prolungata a qualunque linguaggio, visuale o verbale, altera di sicuro il modo in cui un bambino percepisce il suo universo.

Dopo anni di successo, però, subentra l'inerzia: invece di pensare in modo nuovo e diverso, si continua a fare sempre la stessa cosa e i capi dell'azienda si trasformano in creature lente e rigide - rinoceronti, come nell'opera teatrale di Eugène Ionesco - che non osano avventurarsi fuori dal branco e non fanno altro che trascinarsi avanti chiassosamente. Negli anni Novanta il mercato si sposta dal giocattolo tradizionale all'intrattenimento digitale, i modelli di gioco moderni cancellano i confini tra bambini, teenager e giovani, con i primi che rappresentano il gruppo di consumatori che invecchia più velocemente: kids are getting older younger, i bambini invecchiano più giovani. LEGO, come tutti i produttori di giocattoli, deve condurre un'ardua lotta per non restare indietro nella concorrenza impari con l'industria dei videogiochi e dei film, che occupano la maggior parte del tempo libero dei bambini. Per la prima volta nei sessantasei anni della sua storia, nel 1998 la LEGO conosce delle forti perdite. Inizia un periodo di zig-zag, al deficit del 1998 seguono i buoni profitti del 1999, profitti più modesti nel 2000-01, grosse perdite nel 2002-04: la causa di questo sviluppo instabile va ricercata in un successo dettato dalle mode - Star Wars e Harry Potter - che non ha però generato interesse e vendite per i prodotti più basilari. La fascia di consumatori che registra però una crescita è quella degli AFOL (Adult Fans of LEGO): i costruttori hobbisti adulti rappresentano una comunità in continua espansione. LEGO sceglie di dare voce a tali fan/consumatori, di puntare sull'attività che tali utenti svolgono e che arricchiscono l'esperienza che si può avere manipolando i set base.

Il bilancio dal 2005 torna positivo e ancora nel 2021 conosce un bilancio da record. Uno dei simboli della nuova eredità LEGO è la costruzione della LEGO House (2017), che trasforma la filosofia dell'azienda e del suo prodotto in un edificio. Nel piano interrato, una Memory Lane; nei piani superiori, quattro zone legate dall'apprendimento attraverso il gioco: rosa (creatività, il gioco libero), blu (sviluppo cognitivo, risoluzione di problemi e sfide), verde (abilità sociali, un universo popolato di personaggi e storie) e gialla (sviluppo emozionale, espressione dei sentimenti); all'ultimo piano, una galleria dei capolavori, dove è esposta una selezione di opere d'arte LEGO realizzate dagli AFOL di tutto il mondo; al centro, dal pavimento fino al soffitto, s'innalza un albero di quindici metri, fatto di milioni di mattoncini, chiamato Albero della creatività.

venerdì 28 febbraio 2025

(altri) libri letti questo mese - febbraio 2025

Posto anche questo mese una breve sintesi degli altri libri letti, oltre a quelli di cui già ho scritto qualcosa. Sempre in ordine, dal peggiore al migliore.

L'impostore di Zadie Smith. Hustpierpoint, Sussex, 1873. Eliza Touchet è da trent'anni la governante di suo cugino acquisito, William Ainsworth, un romanziere un tempo di grande successo ma ormai caduto in disgrazia e in crisi di ispirazione. Donna spiritualmente e intellettualmente libera, Eliza ha sempre partecipato ai circoli letterari di Ainsworth, crescendo all'ombra del successo di William e dei suoi amici letterati, tra cui il Signor Charles Dickens, che non esita a considerare un prevaricatore moralista. Attraverso Sarah, la giovane e sciocca seconda moglie di William, Eliza si appassiona al più celebre processo dell'epoca, passato alla storia come "il caso Tichborne", che per un decennio dividerà l'opinione pubblica vittoriana e che vede un semplice macellaio reclamare l'immensa fortuna della ricca famiglia Tichborne, sostenendo di esserne il legittimo erede, scomparso in un naufragio molti anni prima. In particolare Eliza viene colpita dalla dignità e vulnerabilità di Andrew Bogle, testimone chiave del processo e vuole sapere tutto di lui. Cresciuto come schiavo nelle piantagioni di zucchero della Giamaica e servitore dei Tichborne per decenni, Bogle è l'uomo la cui storia può confermare o smentire le incredibili affermazioni del pretendente alla fortuna di una delle più antiche famiglie aristocratiche inglesi. Chi dice la verità e chi è un impostore?
Davvero terribile, pessimo, difficile da portare a termine perché non c'è motivazione a farlo.

Primo di una trilogia fantasy e young adult, Fourth Wing di Rebecca Yarros immerge il lettore nell'accademia militare di Basgiath, la famosissima scuola per diventare cavalieri di draghi più spietata ed elitaria che ci sia. Una volta entrati non si hanno altro che due possibilità: laurearsi o morire. Violet Sorrengail, che già si immaginava a passare i prossimi anni circondata dai suoi amati libri e immersa nel silenzio della biblioteca, è invece costretta dalla generalessa sua madre a unirsi alle centinaia di candidati disposti a qualunque sacrificio pur di diventare parte dell'élite di Navarra: i cavalieri di draghi. Ma Violet ha solo vent'anni e un corpo ancora poco allenato alla battaglia, la morte per lei potrebbe arrivare in un lampo. I draghi, infatti, non si legano agli umani fragili, ma li inceneriscono; e la maggior parte degli studenti non si farebbe scrupoli nell'eliminare Violet pur di migliorare le proprie possibilità di successo; senza contare che tutti gli altri la farebbero fuori volentieri pur di punire la temibile e potente madre, compreso Xaden Riorson, il cavaliere più forte e spietato del Quadrante. E così Violet ogni sera va a dormire con la sfida di riuscire a vedere l'alba del giorno dopo.
Gradevole e piuttosto prevedibile, lettura comfort.

Scritto nel 1915, influenzato dalle cronache pubblicate su alcuni giornali che descrivevano le cattive condizioni carcerarie della California, Il vagabondo delle stelle di Jack London è, inoltre, una storia di reincarnazioni. Il romanzo narra in prima persona le vicende di un professore universitario, Darrell Standing, detenuto nel carcere di San Quentin per un omicidio, che scrive negli ultimi tre giorni della sua vita le sue memorie. Più che memorie sono racconti dei viaggi che fa, con il suo corpo astrale, durante il periodo di permanenza in carcere, soprattutto quando è rinchiuso in cella di isolamento.
Un libro forte e toccante, più valido però per l'idea e la tesi/denuncia che per il valore estetico.

Ricreando attraverso la scrittura i meccanismi della memoria, dove il tempo si dilata e si contrae sovrapponendo immagini, pensieri, sentimenti e luoghi, Jón Kalman Stefánsson intreccia in Crepitio di stelle i destini di quattro generazioni di donne e uomini, vite effimere come le nuvole nei cieli d’Islanda, la cui incessante ricerca di un senso - nella vita, nel bisogno di radici, nell’inesorabilità della morte e del desiderio, è assoluta ed eterna.
L'aspetto migliore della narrazione è la capacità di assumere i diversi punti di vista, soprattutto quella di produrre un effetto straniante e bizzarro quando il punto di vista è quello di un bambino che guarda al mondo senza l'esperienza, o le consuetudini, degli adulti.

Terzo volume, sempre ascoltato letto dall'autrice stessa - che è decisamente un plus -, della serie della ghostwriter Vani Sarca, di Alice BassoA Vani basta notare un tic, una lieve flessione della voce, uno strano modo di camminare per sapere cosa c'è nella testa delle persone: un'empatia innata che Vani mal sopporta, visto il suo odio per qualunque essere vivente le stia intorno; una capacità speciale che però è fondamentale nel suo mestiere, che è quello della ghostwriter che presta le sue parole ad autori che in realtà non hanno scritto i loro libri. In Non ditelo allo scrittore, Vani deve scovare un suo simile, un altro ghostwriter che si cela dietro uno dei più importanti romanzi della letteratura italiana. Parallelamente, il commissario Berganza, con cui collabora, è sicuro che lei sia l'unica a poter scoprire come un boss della malavita agli arresti domiciliari riesca comunque a guidare i suoi traffici. 
Lettura/ascolto che è ormai una garanzia.

Leigh Bardugo, autrice dell'universo di Grisha (Tenebre e ossa e tutti gli altri), ambienta Il famiglio in una Madrid diventata da poco capitale del Regno e pervasa dalla furia controriformistica dell'Inquisizione. La giovane Luzia Cotado, conversa orfana di entrambi i genitori, cerca di sopravvivere come meglio può, nascondendo a tutti le sue origini e, soprattutto, la sua capacità di compiere milagritos, piccole magie. Un giorno, però, la signora della casa presso la quale presta servizio si accorge del suo dono e di lì in poi la obbliga a farne sfoggio davanti ai suoi ospiti, nel patetico e disperato tentativo di migliorare la posizione sociale della propria famiglia ormai decaduta. Ma quello che inizia come un semplice divertimento per nobili fiacchi e annoiati, prende ben presto una piega pericolosa perché Luzia attira l'attenzione di Antonio Pérez, ex segretario ora in disgrazia del re Filippo II. Per riconquistare il favore del sovrano, ancora provato dalla sconfitta della sua invincibile armada, Pérez decide di indire un torneo per trovare un campione che diventi l'arma decisiva nella guerra estenuante contro Elisabetta, la regina eretica d'Inghilterra. Determinata a cogliere l'unica possibilità che la vita sembra volerle offrire per migliorare la propria condizione, Luzia si immerge in un mondo popolato da veggenti e alchimisti, bambine sante e imbroglioni, dove i confini tra magia, scienza e inganno sono tanto labili quanto incerti. Con il crescere della sua notorietà, però, aumenta di pari passo il rischio che i suoi segreti vengano scoperti. Per non finire nella morsa dell'Inquisizione, la giovane conversa dovrà quindi agire d'astuzia, accettando persino l'aiuto di un uomo misterioso temuto da tutti, Guillén Santángel, a sua volta custode di verità e segreti che potrebbero rivelarsi letali per entrambi.
Nella narrazione al racconto storico si intrecciano con bravura realismo magico e storia d'amore, una lettura decisamente piacevole e coinvolgente.

Nella Londra del 1922 ci porta Gli ospiti paganti, romanzo di Sarah Waters. In una città che porta ancora i segni della recente guerra, sono molte le cose che hanno bisogno di essere ricostruite, restaurate, molte le ferite da sanare, molti i cuori da riscaldare. Una madre e una figlia, i cui uomini di famiglia son stati portati via dalla guerra, sono costrette ad affittare alcune stanze della loro casa per sbarcare il lunario. Gli ospiti paganti sono una coppia di giovani sposi, che con la loro allegria e sensualità portano nelle polverose stanze dell’appartamento una ventata di aria fresca, ma anche turbamento. I rumori, i passi, gli incontri in bagno, sul pianerottolo, la condivisione della vita quotidiana: un’intimità con estranei a cui le due donne non sono abituate. Lo scenario cambia velocemente, e molti fatti accadono nel vecchio appartamento che sembrava destinato a una vita fatta di piccole abitudini e di noia: un amore inaspettato e travolgente; una misteriosa aggressione; e da ultimo un omicidio.
Un "grandissimo, maestoso romanzo" (così Stephen King) che intreccia la dimensione psicologica, intima, interiore, personale della passione amorosa e dei desideri inconfessati - e le loro travolgenti conseguenze -, con l’affresco di un’epoca storica vivido e autentico nella sua dimensione politica, sociale e di mentalità. Uno scontro anche generazionale rispetto ai valori, tra emancipazione e compromesso vittoriano, di cui la madre lamenta con la figlia: al giorno d'oggi il termine 'vittoriano' viene usato per archiviare tutte le virtù che la gente non vuole darsi la pena di coltivare.

martedì 25 febbraio 2025

ribellione, non rivoluzione

Nel raccontare con In ogni caso nessun rimorso la vita rocambolesca e le ferme opinioni di Jules Bonnot, Pino Cacucci immerge il lettore nell'esistenza di uno dei milioni di senza lavoro che l'Europa degli inizi del secolo, così presa dalle conquiste coloniali e dalla frenesia della Belle Epoque, teneva a bada con crescente difficoltà, affidandosi all'incessante opera delle squadre antisommossa e alle bande di pistoleri al soldo dei grandi industriali.
Jules Bonnot ha un cuore maledetto, che aveva pompato per anni un sangue schiumoso di sensazioni dolorose, riempiendo le arterie di rancore per le umiliazioni, le stesse che tanti sopportavano senza impazzire, mentre in lui avevano provocato una sete di vendetta inestinguibile. Ha un fuoco nelle viscere, che gli bruciava dentro fin da bambino, alimentato dalla fame, dalle bastonate, dall'inutilità di qualsiasi sforzo compiuto per sfuggire al marchio della miseria, quel fuoco acceso da una sensibilità nefasta. Ha occhi che sono nemici della sua sopravvivenza, perché non possono non soffermarsi su ogni cosa servisse a trarne sofferenza, rifiutandosi di scorrere sulla vita come davanti a uno spettacolo estraneo. Tutto questo lo porta a essere uno di quegli uomini diversi dagli altri, da tutti quelli che rimangono a capo chino fino all'ultimo dei loro giorni, in una rassegnazione muta.

"L'umanità si sacrifica per certe idee fisse, quali la verità, la giustizia, il dovere... che considera come ideali. Bisogna distruggere le idee fisse. La mia causa non è universale, bensì unica, come unico è ciascun individuo... Vero è ciò che è unico, falso ciò che non mi appartiene, e falsi sono la società e lo stato, a cui tu dai la tua forza e da cui sei sfruttato."
Jules sottolineò il paragrafo con il lapis e richiuse il libro: L'unico e la sua proprietà, di Max Stirner, il filosofo teorico dell'anarchismo individualista. La copertina sdrucita era cosparsa di macchie e ombre: l'unto e il sudore delle sue dita, che erano tornate ancora una volta a immergersi nel grasso dei motori. La fiamma della candela tremolava, si innalzava e si abbassava bruscamente, segno che la cera mista a sego stava esalando gli ultimi respiri. Forse aveva ancora dieci minuti di luce, prima che l'agonia dello stoppino volgesse al termine. Riaprì il libro e cercò il capitolo che aveva letto almeno dieci volte, segnandolo con un punto esclamativo accanto al testo.
"Rivoluzione e ribellione non vanno considerate sinonimi. La prima consiste nel rovesciamento dello status quo, dell'ordine costituito, ed è quindi un atto politico e sociale. La seconda, pur avendo come inevitabile conseguenza una trasformazione dello stato di cose esistente, non nasce da questo, bensì dall'individuale scontento degli uomini. Non è una rivolta armata, ma un insorgere di individui, un ribellarsi, senza alcun pensiero alle conseguenze che ne potranno derivare. La rivoluzione mira a un'organizzazione nuova; la ribellione ci porta invece a non lasciarci più organizzare, ma a organizzarci da soli, e non ripone fulgide speranze nelle istituzioni... La rivoluzione ci comanda di creare istituzioni nuove; la ribellione, di sollevarci e innalzarci."
"Ribellione", mormorò Jules adagiandosi sulla branda. Ribellione, non rivoluzione. Qualsiasi tentativo di sostituire un governo reazionario con uno rivoluzionario, rifletté, avrebbe comunque lasciato al loro posto, se non gli stessi sfruttatori, sicuramente i metodi di sfruttamento in quanto funzione, rifletteva Jules. Lo stato poteva cambiare i fini, ma non i mezzi. Stirner lo aveva capito. E Nietzsche definiva Stirner "l'intelletto più fertile della sua epoca", pensò Jules grattandosi con violenza fra i capelli; fu distratto dall'idea che in quella lurida soffitta ci fossero le cimici... Ma no, era solo sporcizia, non si faceva un bagno da troppi giorni, e la polvere ferrosa della fabbrica era peggio delle cimici. Jules sospirò e subito fu preso da un attacco di tosse- Quella maledetta polvere. Che importava se veniva respirata in nome di Bismarck o della socialdemocrazia, quando l'unico scopo era costruire cannoni per poi sottomettere popoli in Africa o in Asia, o mostrare i muscoli ai vicini europei. No, non c'era speranza nella rivoluzione. La ribellione era un'altra cosa.
Gli tornò alla memoria Gaetano Bresci. Tre pallottole nel petto del re, un re così galantuomo da aver dato una medaglia al generale Bava Beccaris, per le sue cannonate sui dimostranti. La sua era stata fin dall'inizio una missione suicida. In quanto ai re, hanno sempre i loro figli a cui passare lo scettro e il comando dei cannoni da puntare sulla folla. Niente era davvero cambiato. Ma, in definitiva, c'era un modo concreto per cambiare qualcosa? Servivano, forse, micidiali bombe? Ma le stragi di borghesi e poliziotti avevano offerto al potere l'occasione di sobillare l'opinione pubblica a tal punto da consentire il varo di leggi degne della peggiore tirannide, che davano a polizia e magistratura illimitati poteri nella persecuzione dei "sovversivi".
L'azione, non restava che l'azione. Ma senza immolarsi, senza rivendicarla, senza offrire la gola ai mastini. Colpire gli sfruttatori amanti di ghigliottine e champagne in ciò che più stava loro a cuore: il denaro. Non per arricchirsi, ma per restituire un po' del terrore che distribuivano, illusi di restarne al riparo. Non con le bombe, ma con le armi in pugno, per riprendersi una parte di tutto quello che sottraevano a milioni di disperati come lui. O forse, soltanto per il gusto della vendetta.

domenica 23 febbraio 2025

libri acquistati il 21 febbraio

Dopo una lunga settimana a scuola, venerdì meritata passeggiata in centro con acquisti librari.
Anzi, prima ancora da edicola, con la prima uscita de Leggende della moda, dedicata a Chanel, e il nuovo numero della serie Sherlock de Il giallo Mondadori, che presenta Sherlock Holmes e l'enigma del cadavere scomparso di Luca Martinelli: una giovane suffragetta è la cliente  che si presenta al 221B di Baker Street in cerca d'aiuto, chiedendo l'intervento di Holmes e Watson per due compagne che non sono state arrestate durante una manifestazione per aver lanciato pietre contro le vetrine o per essersi incatenate a un lampione, ma che devono rispondere dell'accusa di omicidio: la vittima è un libraio notoriamente avverso al movimento di emancipazione femminile, trovato nel retro del negozio con una profonda ferita all'addome causata dalla lama di un coltello.

«Il romanzo piú bello che ho letto quest'anno. Una saga tentacolare, una formidabile prova di narrativa realista». Preso anche per queste parole di Bret Easton Ellis Il giorno dell'ape di Paul Murray. La famiglia Barnes è nei guai: la concessionaria di Dickie sta per fallire, ma lui, invece di affrontare la situazione, trascorre le giornate costruendo un bunker a prova di apocalisse; la moglie Imelda, nel frattempo, si è messa a vendere i gioielli su eBay; la figlia adolescente Cass, ex prima della classe, sembra voler sabotare la sua carriera scolastica; e PJ, il figlio dodicenne, sta allestendo un piano per scappare di casa. Che cosa è andato storto per i Barnes, al punto da mandare tutto in rovina? Al tempo stesso affresco famigliare e ritratto della contemporaneità, un indimenticabile tour de force pieno di umorismo e calore umano.

Visto tempo fa, non preso allora, poi non più trovato e ora riapparso e preso, il volume della rivista cartacea COSE Spiegate bene, del giornale online "Post", dedicato alla storia di strumenti, prodotti, manufatti, arnesi e cose di vario design che hanno cambiato i nostri mondi. Ne La sicurezza degli oggetti, si mostra come le nostre vite siano fatte di relazioni intime, quotidiane, spesso indispensabili, con questi oggetti, con cui a volte costruiamo rapporti che coinvolgono emozioni e persino sentimenti; il loro aspetto e  design - risultato di attenzioni alle funzioni o lunghissimi tempi di studio, sperimentazione o uso -, la loro storia - che è un pezzo della storia del genere umano -, il loro rapporto con popoli e individui - selezione accurata, accumulo compulsivo. Fra le tante storie e spiegazioni contenute in questo numero ci sono la presenza rilevante della plastica nelle cose che ci circondano, i pregi e i difetti del cartone della pizza, il bianchetto e la donna che lo inventò, il cambiamento del rapporto con la musica introdotto dal Walkman, la storia del bidet e del perché si trova solo in alcuni paesi, e anche il bancale, il vibratore, il cubo di Rubik e una breve storia delle maniglie. 

L'ultimo romanzo di Amélie Nothomb è un ritorno in Giappone. Con L'impossibile ritorno si torna nel paese amato dall'autrice, il luogo della sua infanzia e della disastrosa vergogna come impiegata (vedi Stupore e tremori). Questa volta è in compagnia dell’amica fotografa Pep Beni e durante i dieci giorni di viaggio sperimenta il kenshō (una sorta di estasi contemplativa), abbandona lo champagne per i whisky giapponesi, si immerge con una nuova prospettiva nei luoghi della gioventù. E se alcune parole giapponesi sono ormai sbiadite nella memoria, le sensazioni che i suoni, gli odori e la luce le provocano si riaffacciano come se non avesse mai lasciato il Giappone. Questa avventura á la Thelma & Louise diventa così un’occasione non solo per elaborare il lutto del padre ma anche per capire la sé stessa di oggi.

Rimanendo in Giappone, il romanzo consigliato da Cristina La mia vita con i gatti, di Morishita Noriko. Noriko vive una vita forse fin troppo tranquilla, è una scrittrice sulla cinquantina da qualche tempo ferma in una palude di tristezza camuffata da abitudine: il libro che sta scrivendo è bloccato da mesi, e nulla sembra andare per il verso giusto. Alla ricerca di una svolta, fa visita a un santuario shintoista e sussurra: «Dammi la felicità». Il giorno dopo, quasi fosse un segno soprannaturale, vicino al ceppo della magnolia davanti a casa sua, piantata tanti anni prima dal padre, qualcosa si muove nell'aiuola: è una gatta randagia che sta dando alla luce una cucciolata. Nessuno nel vicinato è disposto a prendersi cura dei gattini appena nati, inizia così la convivenza della donna con questi animali di piccole dimensioni ma capaci di portare un grande cambiamento nella sua vita, a lei i gatti nemmeno piacevano. Non solo diario delle giornate che Noriko trascorre in compagnia dei suoi ospiti felini, ma anche degli incontri speciali e delle scoperte sorprendenti su se stessa, la vita e, soprattutto, la felicità e la sua ricerca che farà grazie a loro.

venerdì 21 febbraio 2025

fantasia, ristoro, evasione, consolazione (on fairy-stories 2di2)

Se l'immaginazione è la facoltà della mente umana è capace di plasmare immagini di oggetti non concretamente presenti, la fantasia combina ciò con le nozioni di irrealtà - vale a dire, di estraniazione dal Mondo Primario - e di libertà dal dominio del fatto osservato. J.R.R.Tolkien respinge ogni tono deprecatorio con cui si possa parlare del fantastico come di una forma inferiore, lo si può fare solo confondendolo stupidamente, o maliziosamente, con il sogno - nel quale non vi è arte - e con disordini mentali quali illusione e allucinazione - in cui pure manca il controllo. Costruire un Mondo Secondario dentro il quale un sole verde risulti credibile richiede, piuttosto, fatica e riflessione. Così la fantasia realizza il desiderio creativo propriamente umano, di quell'uomo che Tolkien definisce il subcreatore che le fessure del mondo ha riempito di elfi e di folletti, ma pure costruito dèi e templi, e sparso dei draghi il seme. Fantasia che è una naturale attività umana, la quale certamente non distrugge e neppure reca offesa alla ragione, né smussa l'appetito per la verità scientifica, di cui non ottunde la percezione.

Altro desiderio primario che stanno al nocciolo del feerico è quello del ristoro, cioè dell'evasione dal tedio. Dovremmo - secondo Tolkien - guardare ancora il verde ed essere nuovamente stupiti, dovremmo incontrare il centauro e il drago, e poi fors'anche all'improvviso scorgere pecore, cani, cavalli - e beninteso lupi. Questo ristoro, le fiabe ci aiutano a averlo, e in questo senso soltanto il gusto per esse può renderci o mantenerci fanciulli. Il ristoro (che implica il ritorno alla salute e il suo rinnovamento) è un riguadagnare, un ritrovare una visione chiara. Tolkien non arriva a dire vedere le cose come sono, non vuole trovarsi alle prese con i filosofi, anche se si azzarda a dire vedere le cose come siamo (o eravamo) destinati a vederle, vale a dire quali entità separate da noi stessi. Si tratta cioè di pulire le nostre finestre, in modo che le cose viste con chiarezza possano essere liberate dalla tediosa opacità del banale o del familiare - dalla possessività. Questo tritume è il prezzo dell'appropriazione delle cose: per Tolkien abbiamo messo le mani su di loro e poi le abbiamo chiuse a chiave nel nostro forziere, le abbiamo acquisite e, acquisendole, abbiamo cessato di guardarle
Questo è Mooreeffoc, cioè la defamiliarizzazione che G.K. Chesterton descrive nel suo studio critico su Charles Dickens come la bizzarria di cose che sono divenute ovvie, quando le si scorga, all'improvviso, da un altro punto di vista. Mooreeffoc è una parola immaginaria, ma la si può trovare bell'e scritta in ogni villaggio inglese, essendo infatti l'insegna di un Coffee-room, un caffè, vista dall'interno attraverso una porta vetrata in una buia giornata londinese. Questo virtuoso recupero della freschezza della visione fa sì che ci si renda conto, all'improvviso, che l'Inghilterra è un paese alieno, che si scorga la sorprendente stranezza e singolarità dei suoi abitanti, delle loro costumanze e abitudini
La fantasia è così capace di aprire il forziere umano e di farne volar via tutte le cose racchiusevi, come uccelli da una gabbia, facendoci accorgere allora che tutto ciò che avevamo o sapevamo era pericoloso e dotato di poteri, nient'affatto saldamente impastoiato, sì anzi libero e selvaggio, e tanto poco nostro.

Infine, Tolkien prende in esame l'evasione e la consolazione. I critici che definiscono le fiabe letteratura di evasione confondono, non sempre in buona fede, l'evasione del prigioniero con la fuga del disertore. L'evasione che non è diserzione ha per compagni disgusto, rabbia, repulsione e rivolta, è la resistenza del patriota sempre preferibile all'acquiescenza del collaborazionista. Tali critici contrappongono la fiaba alla vita reale, ma l'idea che le automobili siano più vive dei centauri o dei draghi appare a Tolkien ben curiosa. Perché, si chiede l'autore, non dovremmo fuggire o condannare la tetra assurdità assira dei cappelli a cilindro e l'orrorre morlockiano delle fabbriche? E ci sono anche altre e più profonde evasioni che sempre hanno fatto la propria comparsa nella fiaba, altre cose più cupe e terribili che non il frastuono, il puzzo, la spietatezza e l'assurdità del motore a combustione interna: fame, sete, povertà, dolore, sofferenza, ingiustizia, morte. Tutte cose dalle quali le fiabe offrono una sorta di evasione.
Così come ci sono ambizioni e desideri ai quali le fiabe offrono una sorta di soddisfazione e consolazione: visitare, liberi come pesci, le profondità marine, volare, conversare con altri esseri viventi. Ma la consolazione delle fiabe ha anche un altro risvolto accanto alla soddisfazione immaginaria di antichi desideri: ben più importante è la consolazione del lieto fine. Il racconto eucatastrofico è la vera forma di fiaba e ne costituisce la suprema funzione; l'improvviso capovolgimento gioioso smentisce l'universale sconfitta finale, permette una fugace visione della gioia, gioia al di là delle mura del mondo.

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