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sabato 31 maggio 2014

letture di maggio (II)

I tre studi che a Francis Bacon Jonathan Littell dedica con il suo Trittico rappresentano un interessante intrattenimento per chi già conosce e apprezza l'opera del pittore irlandese. Arricchiscono di informazioni il suo rapporto con la pittura moderna ma non presentano riflessioni particolarmente originali o letture interpretative nuove e profonde dei dipinti di Bacon.

Le due brevi conferenze di Thomas De Quincey su L'assassinio come una delle belle arti sono una radicale rivendicazione della totale autonomia dell'ambito estetico da qualunque implicazione teoretica, morale o pratica: il bello va rigorosamente tenuto distinto dal vero, dal buono o dall'utile, insomma, è e deve essere e rimanere una categoria filosoficamente ingiustificabile, eticamente ingiudicabile, economicamente inservibile. Gradevole e sottilmente umoristica lettura.


martedì 27 maggio 2014

la squadra e i giocatori

Il calcio è un gioco di squadra, non è un gioco individuale. Spesso gli allenatori di calcio dicono (legittimamente) che non basta, per formare una squadra vincente, comprare i migliori giocatori. La somma dei migliori giocatori non dà quasi mai lo spirito della squadra più forte. Qual è il legame tra la squadra e i suoi componenti? Per capire questa correlazione confrontiamoci con la definizione dello Stato che Hegel dà. Hegel dice che lo Stato è Das Erste, il principio, è il primo principio rispetto alla società civile e alla famiglia. Questa affermazione è apparsa paradossale. Tutti si rendono conto che la famiglia e la società civile vengono prima dello Stato. Lo Stato nasce all’interno di un processo che presume come componenti essenziali i gruppi più elementari. Come deve essere inteso questo “venir prima” dello Stato? Certo non in senso cronologico, al contrario va inteso in maniera più sottilmente finalistica. Lo Stato rispetto alle sue componenti è il primo principio perché la famiglia e la società civile (le parti) realizzano il proprio fine, la propria destinazione naturale solo se si commisurano allo Stato (la totalità). I giocatori vengono prima della squadra di calcio, ma se i giocatori (le parti) nel loro gioco non realizzano se stessi all’interno della squadra (la totalità), questa non potrebbe mai essere vincente ed esprimere la sua primarietà in un gioco irresistibile e vincente.
Kant elabora un concetto di creatività veramente straordinario. Il filosofo fonda e legittima la creatività sul presupposto delle regole. Non esiste una creatività che sia totalmente trasgressiva, che non obbedisca a nessuna regola. Il rapporto tra creatività e regole esalta in egual misura queste due dimensioni. Anche questo modello filosofico funziona per capire l’organizzazione di una squadra di calcio. Pensiamo a come sia difficile inserire un fuoriclasse, una personalità calcistica che tende a non rispettare le regole e gli automatismi che una squadra gradualmente si è conquistata nel tempo. Questo modello di una creatività che si esalta sulla base delle regole riesce a rispondere alla duplice esigenza di mantenere alto lo spirito complessivo della squadra e di rispettare contemporaneamente il ruolo di una personalità straordinaria. 
Da un lato lo Stato hegeliano, dall’altro la creatività kantiana, ci aiutano a capire qual è il rapporto tra una squadra di calcio e le sue componenti.

(Elio Matassi, La filosofia del calcio)



giovedì 22 maggio 2014

il superuomo di massa (4di4)

La storia del romanzo popolare viene oggi scandita in tre grandi periodi:
-    primo periodo, o periodo romantico-eroico: inizia negli anni trenta, è parallelo allo sviluppo del feuilleton, alla nascita del nuovo pubblico di lettori, piccolo-borghese e anche artigiano-operaio.
-    secondo periodo, o periodo borghese: si situa negli ultimi decenni del secolo XIX. Mentre il romanzo del periodo precedente, oltre che popolare, era populistico e in una certa misura “democratico”, questo appartiene all’età dell’imperialismo, è reazionario, piccolo borghese. Il personaggio principale non è più l’eroe vendicatore degli oppressi, ma l’uomo comune, l’innocente che trionfa dei suoi nemici dopo lunghe traversie.
-    terzo periodo, o neo-eroico: inizia ai primi del novecento e vede in scena gli eroi antisociali, esseri eccezionali che non vendicano più gli oppressi ma perseguono un loro piano egoistico di potere: sono Arsenio Lupin o Fantômas.

I tre moschettieri agiscono come superuomini, sovrapponendo la loro capacità di discriminare bene e male alla miope considerazione legalistica delle autorità ufficiali. Monte cristo è un superuomo che decide della punizione di tutti i malvagi senza aver un dubbio sulla legittimità del suo gesto. Il Rodolphe de I Misteri di Parigi è un superuomo che, dall’alto del suo carisma reale, giudica e – decisi da lui – diventano cosa santa anche l’inumana tortura, l’accecamento, la distruzione finale di tutti i prevaricatori, così come il premio ai buoni, che egli anzi riunisce in una fattoria modello dove paternalisticamente dispensa loro felicità e sicurezza (purché non si ribellino alle sue decisioni). Nella fase imperialistica saranno superuomini malefici Rocambole e Fantômas. Caratteristica di tutti costoro è decidere per conto proprio cosa è bene per le plebi oppresse e come vadano vendicate. Mai il superuomo è sfiorato dal dubbio che le plebi possano e debbano decidere per conto proprio e agisce con una violenza repressiva tanto più mistificata in quanto si traveste da Salvezza. Così fallisce il suo illusorio progetto di resistenza e liberazione e diventa un’altra forma del dominio.
(Umberto Eco, Il superuomo di massa)

domenica 18 maggio 2014

il superuomo di massa (3di4)

Engels e Marx scriveranno praticamente La sacra famiglia usando I Misteri come oggetto polemico e come filo conduttore, come documento ideologico. Rodolphe scende tra il popolo, cerca di capire il popolo. Il suo socialismo diventa sempre più partecipato, ora piange sulle sventure su cui fa piangere. Certo il limite è tutto qui: piange e fa piangere; proporrà rimedi, ma ne vedremo il limite sentimentalistico, paternalistico e utopistico. Egli si augura che il popolo non sia più nella miseria, che cessi di essere plebe affamata, spinta al delitto suo malgrado, per diventare una plebe sazia, presentabile, che si comporti come si deve, mentre il borghese e gli attuali fabbricanti di leggi resteranno i padroni della Francia. Riformismo edulcorato, ci si augura che muti qualcosa perché tutto resti come prima. La natura riformistico-piccolo-borghese dell’opera è individuata con molta semplicità nella frase “Ah, se i ricchi lo sapessero!”. La morale del libro è che i ricchi possono saperlo e intervenire a sanare con atti di munificenza le piaghe della società. Ma Marx ed Engels vanno oltre: non si accontentano di individuare in Sue la radice riformistica, ma additano l’animo reazionario, subdolo, legittimista. Non possiamo escludere, però, che I Misteri costituissero il primo grado di rivolta che veniva formulato in modo accessibile e immediato, secondo la migliore tradizione del socialismo utopistico. Sue non ha speculato sul popolo. Vi ha creduto realmente. Vi ha creduto da socialista umanitario e utopista, riflettendo i limiti e le contraddizioni di una ideologia confusa e eminentemente sentimentale. Con Sue muore il feuilleton classico. Il barone Haussmann ha già sventrato Parigi l’anno prima. Ha tolto lo scenario per futuri misteri e soprattutto ha impedito che nelle nuove vie larghe e alberate si possano fare barricate di sorta.
(Umberto Eco, Il superuomo di massa)

giovedì 15 maggio 2014

il superuomo di massa (2di4)

La grande stagione del feuilleton è quella delle rivoluzioni borghesi di mezzo ottocento, con il loro riformismo populista e premarxista. La dinamica sollecitazione-soluzione (o meglio: provocazione-pace) unita con la sua vocazione populistica, fa sì che il romanzo popolare sia un repertorio di denuncia circa le contraddizioni atroci della società (si pensi a I Misteri di Parigi o a I Miserabili) ma che sia al tempo stesso un repertorio di soluzioni consolatorie, una macchina per sognare gratificazioni fittizie che incarna una ideologia riformistica. La società borghese è il regno del fattuale e il romanzo ne è il mutevole e funzionale trattato teologico. Il romanzo conservatore del tardo ottocento e quello reazionario del primo novecento (di cui Arsenio Lupin, nazionalista “professore di energia” è il modello spregiudicato e salottiero) useranno l’armamentario del feuilleton avulso dal suo contesto funzionale: vendette e riconoscimenti agiranno a vuoto, senza più alcun progetto di risarcimento sociale. Se i surrealisti impazziranno per le avventure di Fantômas sarà perché quivi riconosceranno la sagra della gratuità dissennata. La parabola del feuilleton lo vede approssimarsi sempre più a una forma di narrativa di cui è esempio lampante lo stesso perfetto congegno del romanzo poliziesco, in cui l’ordine sociale è sottofondo flebile e pretestuoso appena avvertibile. Il detective di Conan Doyle non è affatto un giustiziere sociale come il Rodolphe di Sue, e nemmeno un giustiziere individuale come Montecristo: coltiva con passione egocentrica la propria abilità.
(Umberto Eco, Il superuomo di massa

martedì 13 maggio 2014

letture di maggio (I)

La Cina tra due secoli, XIX e XX, tra la forzata penetrazione dello straniero, che con la costruzione delle reti ferroviarie la apre al commercio e alla modernità alterando però il feng shui naturale del suo territorio, e la resistenza della tradizione popolare e taoista. Questa l'ambientazione del romanzo di Mo Yan Il supplizio del legno di sandalo, la cui trama è narrata a più voci da cinque splendidi personaggi le cui storie personali si intrecciano tra loro e alla Storia nazionale e mondiale. Zhao Jia è il capo - la Nonna - dei boia della capitale cinese, maestro nella sua arte, "abituato a uccidere senza batter ciglio", ma ormai alle soglie della pensione, che il Ministero delle Punizione intende concedergli per i suoi meriti di "maestro delle decapitazioni, esperto delle atroci torture del passato e inventore di nuovi supplizi". Solo un'ultima esecuzione gli è richiesta prima del ritiro. Sun Bing è la sua ultima vittima designata: anch'egli maestro nella sua arte, quella dell'artista/mendicante, inventore di un nuovo genere teatrale e dotato di una voce il cui canto è in grado tanto di resuscitare i morti quanto di far morire i vivi. Ma l'artista si ritrova a essere anche rivoluzionario per caso, capo per motivi personali di quell'atto di ribellione, la rivolta dei Boxer, che scoppia violento nel caos politico che precede il disfacimento dell'impero cinese. Ad assistere il vecchio boia c'è il figlio da poco ritrovato, da cui il lavoro nella capitale lo aveva tenuto lontano per tutta la vita, Xiaojia, macellaio di maiali e cani e scemo del villaggio. Ma quest'uomo semplice è anche il marito di Meiniang, giovane e bellissima figlia proprio di Sun Bing. E la Venere della carne di cane, la splendida donna guerriera, è a sua volta l'amante di Qian Ding, magistrato locale che è chiamato a far eseguire la condanna e il supplizio del padre della donna, e che si ritrova quindi dilaniato tra l'obbedienza alla legge, l'essere mero esecutore e strumento, dispositivo di un potere più grande di lui, consapevole ma incapace di opporsi a questo male banale, e i sentimenti che prova per la donna e, insieme, l'immagine di se stesso come uomo giusto oltre che ligio al dovere. Un romanzo splendidamente architettato.

domenica 11 maggio 2014

il superuomo di massa (1di4)

Questo libro raccoglie una serie di studi scritti in diverse occasioni ed è dominato da una sola idea fissa. Inoltre questa idea non è la mia, ma di Gramsci. L’idea fissa, che giustifica anche il titolo, è la seguente: “mi pare che si possa affermare che molta sedicente ‘superumanità’ nicciana ha solo come origine e modello dottrinale non Zarathustra, ma il Conte di Montecristo di A. Dumas” (A. Gramsci, Letteratura e vita nazionale, III, “Letteratura popolare”). Gramsci sta parlando del niccianesimo degli stenterelli imperante ai suoi tempi e dice chiaramente e polemicamente: il vostro superuomo non viene da Zarathustra bensì da Edmond Dantès. Se si pensa a Mussolini, che divulgatore del superomismo nicciano era al tempo stesso autore di narrativa d’appendice, si vede che l’ipotesi gramsciana colpiva nel segno. Sviluppare l’ipotesi gramsciana significava andare alla ricerca degli avatars del superuomo di massa, e così fanno questi saggi, da Sue sino a Salgari o a Natoli, per finire ai tempi nostri con un superuomo raccontato in termini di spy thriller – ed è James Bond. Non per questo la storia del superuomo di massa è da ritenersi conclusa. Rimangono innumerevoli casi in cui esso riappare. Si veda per esempio sul mio Apocalittici e integrati lo studio sul Superman dei fumetti. E poi sarebbe interessante vedere i nuovi superuomini cinematografici e televisivi, ispettori con le Magnum. E l’apparizione della Überfrau, dalla Wonder Woman dei fumetti già anteguerra alla recentissima Bionic Woman. Eccetera eccetera eccetera, benemerita schiera di cui già aveva detto una volta per tutte Gramsci: “il romanzo d’appendice sostituisce (e favorisce al tempo stesso) il fantasticare dell’uomo del popolo, è un vero sognare a occhi aperti… lunghe fantasticherie sull'idea di vendetta, di punizione dei colpevoli dei mali sopportati…”
(Umberto Eco, Il superuomo di massa)

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