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domenica 30 novembre 2014

letture di novembre (II)

Per Dave Eggers una nuova lettura, dopo L'opera struggente di un formidabile genio e la riscrittura di Le creature selvaggeIl Cerchio è una società, un'azienda, che non solo cavalca ma spinge avanti in modi radicali ed estremi la rivoluzione digitale e informatica. Come luogo di lavoro, anzi come comunità integrale, "lì ogni cosa era perfetta. Le persone migliori avevano creato i sistemi migliori e i sistemi migliori avevano permesso di raccogliere i fondi, fondi illimitati, che rendevano possibile tutto questo. Ed era naturale che fosse così. Chi poteva creare l'utopia se non degli utopisti?". Il Cerchio, infatti, è guidato come da uno "zio prediletto" tra i cui generosi progetti c'è quello di documentare e testimoniare, attraverso miliardi di telecamere, tutto quello che succede nel mondo, affinché tutti possano conoscerlo: tutto deve essere visto e conosciuto da tutti, la privacy è un furto, e tutti gli esseri umani devono essere onniveggenti e onniscienti, avere "gli occhi di Dio", sotto il cui sguardo "tutte le cose sono nude e aperte". "99 punti su 100 è quasi perfetto, certo, ma al Cerchio questo punto in meno disturba", il cerchio deve essere chiuso, completato, in maniera tale che, eliminata quella "cappa di invisibilità" - la certezza di non essere visti in ogni attimo della propria vita - che induce gli uomini all'ingiustizia, saremo "costretti a essere la versione migliore di noi stessi. In un mondo dove le brutte strade non sono più un'opzione, non abbiamo altra scelta che essere buoni. Se non abbiamo altra scelta che la strada giusta, la strada migliore, questo sarà per tutti una specie di estremo sollievo che tutto comprende". E allora "chi può voler ostacolare l'incontestabile miglioramento del mondo", questo "secondo Illuminismo"? Chi può voler ancora vivere in un mondo dove ci sono persone senza casa, odori aggressivi, macchine che non funzionano sedili e pavimenti non puliti, caos e disordine dappertutto, inutile conflittualità, inutili errori e inefficienze? Eppure qualcuno crede che servano attimi di "tregua dalla innaturale perfezione", che il Cerchio stia "creando un mondo di luce sempre accesa che ci brucerà vivi, tutti quanti. Non ci sarà tempo per riflettere, dormire, raffreddarsi", che il Cerchio sia uno "squalo che divora il mondo". Quale il finale di questo progetto di una totalitaria e pan-ottica utopia? 

George R.R. Martin non è solo Cronache del ghiaccio e del fuoco, e così gradendo molto quella saga mi sono dato alla lettura di Armageddon Rag. Insomma. Il romanzo parte bene, come un thriller ambientato nel mondo della musica rock e della controcultura degli anni '60, ma quando ha una svolta mistico/esoterica perde parecchio in interesse, almeno per quanto mi riguarda. Aspetterò altro materiale dalla saga fantasy.

Finito infine Le due città di Charles Dickens. Un romanzo con un incipit fenomenale che immerge profondamente nel periodo migliore e peggiore di tutti i tempi, quella stagione di luce e tenebre che è stata la rivoluzione francese; una trama tesa, appassionante e intrecciata tramite avvincenti colpi di scena, capovolgimenti e riconoscimenti; dei personaggi umani e altri estremamente potenti, come nel bene così nel male; un finale glorioso.

Seconda lettura anche per le indagini di Harry Hole, il poliziotto norvegese creato da Jo Nesbø. Il pettirosso intreccia le indagini su gruppi neonazisti scandinavi, traffico di armi, attentati terroristici, con le vicende dei soldati norvegesi all'epoca dell'occupazione tedesca, inviati a combattere sul fronte russo: come sono legate storie che si svolgono con oltre cinquant'anni di distanza? I tradimenti, personali e politici, privati e storici, possono essere perdonati? Buona la capacità dell'autore di raccontare sia il suo thriller, sia la storia pubblica del suo paese.

Davvero ottimo il saggio di Peter Sloterdijk sulla Critica della ragion cinica.

lunedì 24 novembre 2014

il fine...

"A volte il fine giustifica i mezzi. Non importa quale sia il prezzo per la tua anima. Difficile non trovare soddisfazione nel lavoro. Nonostante la posta in gioco, nonostante la missione ti occupi la mente, nonostante tutto questo, è sempre bello fare un'entrata spettacolare. State certi che Fener sogghigna in segreto, ogni volta che parte quella marcetta. Difficile non godersi il brivido. Fortunato colui che ama il proprio lavoro. Proprio fortunato" (da X-Force #2 del maggio 2014, in Italia su Gli Incredibili X-Men #15 del novembre 2014).
Così il nuovo leader dell'almeno quinta incarnazione del gruppo mutante X-Force, Cable. A conferma di come temi centrali nei comics siano le questioni morali. Questo ciclo narrativo mette alla prova la disponibilità a commettere il male in funzione del bene dei membri di questo team mutante - composto tra gli altri, oltre che dal viaggiatore temporale Cable, da Psylocke,  con i due che sono probabili prossimi protagonisti di narrazioni/trasposizioni cinematografiche dell'universo mutante Marvel -, mette in scena la possibilità che il rifiuto radicale del mondo come è possa rovesciarsi repentinamente nella ricerca di una sua definitiva e finale trasformazione, che un’etica dell’assenza dei fini possa sfociare in un’etica del fine ultimo, in cui al rigido cinismo dei mezzi si intrecci il non meno duro moralismo dei fini (come sostiene Peter Sloterdijk in Critica della ragion cinica). Ancora, questa serie affronta le questioni dell'osceno godimento - quel "brivido" - nel compiere il proprio lavoro/missione e la scusa del dovere che si dà alle proprie azioni. Lettura da continuare.

domenica 23 novembre 2014

il palmo della mano

Dopo quasi vent'anni di irregolare pubblicazione periodica, arriva il finale del manga Neon Genesis Evangelion, di Yoshiyuki Sadamoto.
Il protagonista, il timido adolescente Shinji Ikari, è posto davanti alla possibilità di realizzare un'utopia, il perfezionamento dell'uomo: lo "scioglimento" di ogni individuo fino a rendere l'umanità tutta una cosa sola, nella confortevole e gradevole condizione immersiva di non sentire più nulla. Eppure egli preferisce e sceglie di rifiutare e tornare al mondo di prima, in cui le mani e le voci degli altri lo feriranno, di nuovo.
"Le mani degli altri finiranno forse per farmi male. Le mie mani faranno forse del male agli altri. Le mani congiunte forse un giorno si allontaneranno tra loro. Io però, nonostante questo, vorrei ancora una volta tenerti per mano".

 


lunedì 17 novembre 2014

critica della ragion cinica

Nella sua Critica della ragion cinica, Peter Sloterdijk si propone di chiarire la contrapposizione tra l'antico kinismo filosofico e il nuovo cinismo di un diffuso tipo umano assai spregiudicato. "Gli antichi conobbero il kynikos nella sua veste di eccentrico barbagianni, moralista, provocatore testardo, beffeggiatore distanziato e distanziante, mordace, velenoso individualista che dà a intendere di non aver bisogno di nessuno e di essere inviso a tutti perché nulla e nessuno passa indenne sotto il suo sguardo crasso e disvelante, che ogni cosa brutalizza". In età più recente, invece, da profilo negativo ed emarginato della città, il cinico si è fatto figura di massa e carattere sociale mediocre, asociale integrato dotato di un realismo malvagio e dell'obliquo ghigno dell'amoralità aperta, ironizzatore radicale dell'etica e delle convenzioni sociali ma capace di conservare una certa capacità produttiva: il cinico moderno sa quello che fa ma lo fa comunque, persuaso del fatto che così deve essere, riuscendo a sentirsi vittima, sacrificato, infelice. Così, il cinismo moderno è falsa coscienza illuminata, è un paradossale agire - e in santa coscienza - a dispetto di quello che si sa, è assenza completa di illusioni e attrazione irresistibile della "forza delle cose", è una serenza irrispettosità nella prosecuzione dei propri compiti.
L'illuminismo, "un idillio di pace epistemologica con bella vista sulla Scuola di Atene", è rimasto inappagato per la scarsa propensione al dialogo e alla libera discussione di potere, tradizione e pregiudizi. Così, dovendo parlare di chi non desidera parlare con lui, l'illuminismo continua con altri mezzi, con le armi della polemica, quel dialogo fallito e si fa critica dell'ideologia, assumendo tratti crudeli e satirici. Ma "la moderna critica dell'ideologia" - questa una delle tesi di Sloterdijk - "ha ormai abbandonato quella potente, ilare tradizione del sapere satirico che aveva le sue radici, filosoficamente parlando, nel kynismos degli antichi", e si è fatta seriosa e parruccona, agghindata in giacca e cravatta, borghese e rispettabile e "per conquistare in qualità di 'teoria' un posticino tra i libri ha cancellato la satira dalla propria vita andando infine a trincerarsi in una fredda guerre delle coscienze". Questo e  l'orrore tecnologico del XX secolo - da Verdun ai gulag, da Auschwitz a Hiroshima -, che rende passibile di sarcasmo ogni ottimismo e rende inesorabile la sfiducia, l disillusione, il dubbio, la frigidità psichica, avversando ogni principio di speranza con il principio che bisogna vivere qui e adesso - di giorno in giorno, di ferie in ferie -, segnerebbero la genesi del moderno cinismo.
Sloterdijk presenta poi una sua galleria di figure ciniche. La prima è quella di Diogene di Sinope, il kinico antico che resiste e si oppone all'imbroglio del "Discorso" e dell'astrazione idealistica, alla sciapa e totalmente cerebrale magistratura filosofica, dichiarando con sfrontatezza aggressiva, libera, svergognata e rustica quel che la vita è al di là di ogni "verbalizzazione" e universalismo, avendo il coraggio della domanda puerile e spudorata, rivendicando il diritto alla felicità e il bisogno profondo di integrità esistenziale in una replica che oltrepassa la confutazione teorica per farsi vita stessa, attraverso un uso kinico del corpo che si fa argomento e arma esso stesso. Ci sono brevi ricette grazie a cui il kinismo sfrontato ottiene infallibilmente la meglio sulla maggioritaria e dominante "legge" filosofica e moralistica: "ecco due formule telegrafiche: 1) ‘Embè?’ e 2) ‘E perché no?’. Il che null’altro rappresenterebbe se non la facoltà di dire sempre ‘no’ al momento giusto. La capacità di dire ‘no’, sviluppata in modo completo, è l’unica base valida del ‘sì’, e solo insieme, queste due facoltà, conferiscono spessore all’essere liberi" e consentono di essere felici, non paralizzati dalle "mille e una idee fisse su come noi o il mondo dovremmo essere e non siamo. Nella felicità sta il cardine di ogni principio di sfrontatezza". 
La seconda, tratta dal romanzo di Dostoevskij I fratelli Karamazov, è quella del Grande Inquisitore, espressione del nuovo cinismo moderno nella sua forma di conservatorismo politico, con la sua filantropia infiltrata di realismo e disprezzo. Nell'ottica cinica che si è portata al di là del bene e del male, non si trova affatto il radioso amoralismo favoleggiato da Nietzsche, ma la ragione strumentale e manipolatrice scissa e paradossale di un individuo in cui "s’intrecciano il rigido cinismo dei mezzi e il non meno duro moralismo dei fini", rendendolo quindi "per metà amoralista e per l’altra metà ipermoralista; cinico per un verso, sognatore per l’altro; scevro di qualsiasi scrupolo, ma fedele nei secoli all’idea di un Bene Ultimo. Nella prassi non indietreggerà dinanzi a ferocia o infamia o inganno di sorta; ma nella teoria è invasato da ideali supremi". Persegue fini "buoni" con mezzi "malvagi".
Terza e ultima figura, quella dell'uomo indagato da Heidegger, la cui filosofia dell'esistenza rappresenta, per Sloterdijk, una forma di neokinismo. L'io neutro e inautentico dell'uomo distratto dal si impersonale della chiacchiera, della curiosità e dell'equivoco, occupato dalla cura per il mondo in cui da sempre è gettato, è "il più potente e originario modo di essere" dell'uomo. Con ciò si "prende lapidariamente atto della indiscutibile libertà che la vita possiede riguardo ai suoi fini", dell'assenza di senso del vivere, e nel coraggio dell'angoscia si arriva alla risolutezza e consapevolezza dell'essere-per-la-morte. "Da questo, nessun Fine Superiore deve a tal punto scostarsi da trasformare la nostra morte in un mezzo per un fine", da questo si "fonda anzitutto l'assoluta preziosità del vivere medesimo", connessa a un gaudio vitale e festoso del qui e ora. Così "il cinismo dei mezzi può essere compensato solo con un ritorno al kinismo dei fini".
La critica della ragion cinica fa nascere una "gaia scienza" quale "resistenza satirica condotta da una vita concettualmente avveduta contro una concettualità arrogante e una scolastica elevata a forma di vita". Contro "un'intelligenza astuta, opaca, indurita e scissa da ogni coraggio aprioristicamente ritenuto ingannevole" che "sa occuparsi ormai soltanto di tirare a campare", Sloterdijk si appella al coraggio, la chiarezza, l'euforia, l'esultanza, la serenità, la risolutezza, la consapevolezza che caratterizzano "l’eccellenza della vita riuscita", istante improvviso che "estingue il disperante ‘già stato’ e diventa il primo di un’altra storia".

domenica 16 novembre 2014

lettori di nietzsche

Quale personaggio dei fumetti è un gran lettore del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche?
Sicuramente Victor von Doom, ovvero il Dottor Destino, che nello scontro con il vendicatore Iron Man - Fatal Frontier del 2014 (in Italia sul secondo volume di Frontiera Fatale) - lo cita per ben due volte. Una prima volta, esplicitando la fonte, il sovrano di Latveria accusa Testa di Ferro di essere uno di quelli di cui scrisse Nietzsche chiamandoli "storpi a rovescio, quegli uomini che non sono altro che un grande occhio, o una gran bocca, o un grande ventre"... Tony Stark è così, è solo una grande armatura, è solo scienza e tecnologia, è il migliore in quello che fa, ma è tutto quello che fa ed è, un individuo unidimensionale, specialistico, non integro.
Una seconda volta, lasciando invece implicito il riferimento, Destino ironizza sulla posizione morale che Iron Man riserva per se stesso con arroganza, sostenendo che il vendicatore dorato si atteggia a drago immane "Tu Devi", dicendo agli altri cosa è giusto e cosa è sbagliato.
L'incredibile filosofia dei comics.


venerdì 14 novembre 2014

letture di novembre (I)

Prima parte del mese dedicata a brevi letture di saggistica filosofica.
Il saggio di Umberto Curi su La forza dello sguardo indaga l'intreccio tra visione e potere, e la sua costitutiva e ineliminabile ambivalenza, che sembra caratterizzare lo sviluppo della storia culturale dell'Occidente, in cui la volontà di conoscenza e il desiderio di appropriazione sembrano saldarsi nella riproposizione di immagini della "rapacità dell'occhio che tutto vuole vedere-conoscere, che tutto vorrebbe rinserrare nel proprio orizzonte" e della figura dell'onniveggente-invisibile.
Il percorso di Curi si apre con Freud e la sua analisi psicoanalitica della vista quale fondamento del perturbante e si chiude con Foucault e l'organizzazione degli spazi, la sorveglianza nella società disciplinare, la dittatura orwelliana dello sguardo panotiico dei dispositivi del Grande Fratello, ma è tutto lo sviluppo centrale a costituire la parte più interessante del saggio, sviluppo il cui tragitto si svolge tutto all'interno del mito e della filosofia antichi: dallo sguardo potente della terribile Medusa al potere dell'invisibilità dell'anello di Gige, dalla tragedia di Edipo e il mito di Narciso al racconto di Platone della caverna in cui l'educazione filosofica emerge quale lotta e combattimento, afflizione e costrizione verso la luce (e con ritorno finale nelle ombre), allenamento dell'occhio e dello sguardo.

Giuliano Torrengo offre una piacevolissima e competente (dal funto di vista scientifico e fantascientifico, filosofico e letterario) guida a I viaggi nel tempo. Dopo aver presentato le diverse teorie sul tempo che si contrappongono nel dibattito odierno (visione dinamica o statica del tempo, nelle loro varie formulazioni moderate e più radicali), valutando quali di esse rappresentano uno sfondo metafisico più favorevole alla posizione dei viaggi nel tempo e quali, invece, sembrano inconciliabili con essi, l'autore chiarisce l'idea della quadridimensionalità dello spaziotempo, le implicazioni della relatività speciale sul concetto di simultaneità e quindi di presente e quelle della relatività generale sulla curvatura gravitazionale dello spazio quadridimensionale. Poi vengono illustrati macchine e tunnel spaziotemporali, costruiti o ottenuti sfruttando le caratteristiche di particolari oggetti cosmici. Infine si affrontano i paradossi del viaggio nel tempo (catene causali circolari, autorapimenti, oggetti provenienti dal nulla, tentativi di cambiamento del passato), mostrando come sia scorretta l'idea che viaggiare nel tempo è impossibile perché ne nascerebbero delle vere e proprie contraddizioni. Il tutto in maniera piana ma non superficiale, da buona guida, efficacie anche nell'uso di esempi e di riferimenti a prodotti dell'immaginario fantascientifico popolare.

Inoltre, di quel femonemo di Slavoj Žižekle cronache del mondo rimosso Distanza di sicurezza e la filosofia dell'Evento; la Piccola filosofia dello Zombie di Maxime Coulombe.

domenica 9 novembre 2014

evento

Salendo a bordo del saggio di Slavoj Žižek sull'Evento, si transita per diverse stazioni attraverso le quali il filosofo sloveno riflette sulla definizione dell'oggetto in esame, partendo da prime approssimazioni quali quella di effetto che sembra eccedere le proprie cause, di mutamento nel modo in cui la realtà ci appare, di trasformazione sconvolgente della realtà stessa.
L'evento è un mutamento o disgregazione della cornice (frame) stessa attraverso la quale la realtà ci appare, percepiamo il mondo e ci impegniamo in esso; esso è un re-incorniciamento (reframing), dato che solo una cornice fantastica, fantasmatica, ci rende capaci di esperire il reale delle nostre vite come una totalità significante: l'incorniciamento (enframing) è l'atteggiamento propriamente umano verso la realtà, il nostro relazionarci con essa. L'evento rappresenta quindi una nuova apertura epocale in senso heideggeriano, l'emergere di un nuovo mondo, di un nuovo orizzonte di significato.
Ancora, l'evento è la rottura del normale corso delle cose, è caduta quale peccato felice (felix culpa) che è condizione stessa del bene; è, in senso hegeliano, ferita autoinflitta che tenta di curarsi, che mina, nega e trasforma l'intera realtà inerte e stabile, che crea - quale assoluto contraccolpo - ciò da cui si ritira, ciò che si lascia indietro, come lama nella carne. L'evento è, allora, anche rottura della simmetria, in cui le cose emergono quando l'equilibrio è distrutto, quando qualcosa va storto.
In campo filosofico, secondo Žižek esistono tre eventi nella storia del pensiero occidentale, tre intrusioni traumatiche di qualcosa di nuovo che risulta inaccettabile per la visione predominante, tre momenti di follia e tre tentativi di contenere e controllare questo eccesso, di ri-normalizzarlo e re-inscriverlo nel normale corso delle cose: Platone e l'istantaneo e improvviso incontro con la verità dell'Idea, una verità che fa male e che sconvolge la vita quotidiana, evento fragile e fuggevole, da trattare con la delicatezza di una farfalla, che ci appare attraverso esperienze fugaci, in momenti miracolosi in cui un'altra dimensione trapela nella nostra realtà. Cartesio e l'emergere della pura soggettività da una rottura nella grande catena dell'essere, da un radicale auto-ritrarsi - quasi psicotico o mistico - nella "notte del mondo" in cui l'immediato contesto naturale della realtà si eclissa, esperienza di un abisso traumatico. Hegel e l'Assoluto come auto-sviluppo, come risultato della propria stessa attività, come crimine universale che pone se stesso come ordine e legge, come rivolta tenebrosa e audace che congiura per essere moralità e civiltà, in definitiva come evento che include nella propria verità anche la finzione o fantasia, che modifica il passato creando retroattivamente la propria stessa possibilità, le proprie cause e condizioni.
Per la psicanalisi di Lacan, invece, l'evento è l'irrompere del Reale, il ritrovarsi a tu per tu con la Cosa, un trauma in grado di destabilizzare l'ordine simbolico; e, ancora, l'insorgenza improvvisa di un nuovo ordine simbolico, di un nuovo "Significante-Padrone", cioè di un significante che struttura un intero orizzonte di significato, creando il proprio stesso passato.
Come per Alain Badiou, un evento è una contingenza che i trasforma in necessità, dando origine a un principio universale che richiede fedeltà e duro lavoro per un nuovo ordine, che si tratti di un innamoramento personale o di una rottura politica radicale.

venerdì 7 novembre 2014

piccola filosofia dello zombie

Nella sua Piccola filosofia dello zombie, Maxime Coulombe propone una riflessione attraverso l'orrore, una messa alla prova filosofica di una figura come quella dello zombie che sembra rappresentare inquietudini e paure umane, essere sintomo di ciò che tormenta la coscienza della nostra epoca e, forse, si preferisce sia taciuto, come una certa stanchezza, una volontà di farla finita.
Quella dello zombie è un'immagine che sopravvive nel tempo, capace di trasformarsi plasticamente e attraversare le epoche mostrando sempre ciò che anima una cultura in un dato momento della sua storia. Nato nella cultura africana e haitiana come figura che evoca la schiavitù forzata, un soggetto depersonalizzato e incapace di ribellarsi, dal diciannovesimo - e poi pienamente negli anni Venti e Trenta del ventesimo - secolo lo zombie entra nel folklore occidentale, come immagine di un individuo drogato o stregato da una persona malvagia ma la cui condizione di incoscienza è temporanea. Una svolta interpretativa si ha negli anni '60-'80, ad opera soprattutto del cinema di George A. Romero che fa dello zombie non più il frutto momentaneo di un sortilegio, ma una nuova specie che si nutre degli uomini ed è in grado di trasmettere in modo epidemico la propria condizione, condizione irreversibile dovuta a forze soprannaturali che riportano i morti alla vita, privi di coscienza, causando orrore senza altro scopo apparente che la distruzione stessa. 
Figura del doppio, a rendere particolarmente perturbante lo zombie è la sua vicinanza all'umano, il fatto che esso è un quasi-uomo. Lo zombie richiama l'immagine di un individuo traumatizzato più che di un mostro, facendosi metafora di un soggetto contemporaneo vittima dello shock della modernità, la cui coscienza, ferita dal ritmo del mondo, dalla riduzione delle affezioni, dalla meccanizzazione dei gesti, è resa fragile. Lo zombie, così, non sarebbe la figura dell'eccezione ma l'incarnazione di un frammento della reale condizione umana, come se nel cuore della modernità risiedesse qualcosa di simile al divenire-zombie.
Figura del represso, l'orrore e la mostruosità dello zombie segnano il ritorno della corporeità umana, ci ricordano la nostra natura mortale e contingente: mettendo in scena l'abiezione, lo squarcio, l'impurità, la degradazione, lo zombie mostra ciò che la cultura cerca di nascondere fuori dal campo del visibile, attraverso l'imposizione del controllo del corpo, l'ossessione dell'annullamento delle manifestazioni del corpo e della ritualizzazione e standardizzazione progressive delle maniere corporali. L'abietto, secondo Julia Kristeva, punta verso la natura dell'uomo e verso tutto quello che la coscienza umana ha dovuto respingere, allontanare, per formarsi, distanziamento che ha come corollario il rifiuto, la rimozione, della nostra animalità e fatalità. Lo zombie, quindi, è il reale che resiste alla simbolizzazione e mostra il limite e la fragilità dell'identità umana, del nostro sistema e ordine sociali e culturali, la loro natura convenzionale. Se il grottesco, secondo Michail Bachtin, è una reazione di libertà e permette lo sfogo, il divertimento, la rivincita, lo splatter dello zombie sembra essere però un orrore che non riesce a trasformarsi in progetto, utopia, contro-mondo: esso ci libera ma è incapace di sognare, sopra le rovine dell'ordine stabilito, un futuro alternativo.
Questa incapacità manifesta una certa pulsione di morte, un certo desiderio di assistere, in mancanza della possibilità di sognare qualcosa di migliore, alla distruzione del mondo. Così, infine, lo zombie si fa anche figura dell'apocalisse, rappresentando uno sfogo sublime alle paure di fronte alla minaccia costante della distruzione dell'umanità, mettendo in scena il fantasma, o perfino il sogno, di assistere alla scomparsa dell'umanità. Gli attacchi degli zombie destabilizzano irrimediabilmente l'equilibrio precario del nostro mondo, e questo annientamento ci libera da una condizione deprimente, è il sollievo ultimo di ogni nostra tensione. Il sogno dell'apocalisse funziona perché permette di liberarsi da una passività imposta, di ritrovare, anche solo in uno spazio minimo, una sensazione di dominio: la fine dell'umanità sarebbe il nostro riscatto, non ne saremmo più vittime poiché l'avremmo, almeno immaginariamente, sognata e sperata, in una rivalsa simbolica sull'ordine del mondo.


giovedì 6 novembre 2014

cronache del mondo rimosso

Gli articoli di Slavoj Žižek raccolti in Distanza di sicurezza sono una cronaca del mondo contemporaneo e dei tempi interessanti in cui viviamo oggi. Sono cronache di guerra, una guerra in cui sembrano essersi affermate la violenta logica paranoica del controllo totale su ogni minaccia futura e dell'attacco preventivo contro tali minacce (una logica alla Minority Report di Philip K. Dick), l'esportazione della libertà, la democrazia armata e la giustizia infinita (non però nel senso reale di Jacques Derrida per il quale nessuno è mai politicamente incolpevole e bisogna sempre riferirsi a se stessi, includere se stessi nel discorso della responsabilità). Sono cronache di un mondo in cui il fondamentale diritto umano è diventato quello di non essere molestati, in cui l'apertura verso l'Altro e l'alterità del tollerante atteggiamento liberale nasconde la paura ossessiva di essere infastiditi dal veramente Altro, un Altro intrusivo da cui si desidera essere tenuti a distanza di sicurezza.Sono cronache di un mondo in cui, fallite tutte le soluzioni pragmatiche standard, l'invenzione utopica di un nuovo spazio sembra essere l'unica scelta realistica, nell'urgenza di tempi che richiedono un evento fuori dai parametri del possibile.
In tali cronache, trovano spazio anche riflessioni apparentemente meno legate all'oggi, come l'accostamento operato da Jacques Lacan tra Kant e Sade, sulla base dell'interpretazione per cui il nocciolo della rivoluzione etica kantiana sarebbe l'idea che l'eccesso assoluto è quello della legge stessa, la cui ingiunzione è la trasgressione ultima di una vita stupida fatta di piaceri modesti, rispetto alla quale il pervertito sadiano insegnerebbe che persino la più eccessiva sregolatezza criminale non può avvicinarsi all'eccesso infinitamente violento, alla rottura traumatica, della legge morale. Sade costringerebbe così Kant a confrontarsi con l'inaudita radicalità della sua stessa posizione: il soggetto di Sade è puro, al di là del principio del piacere, di sogni, passioni, emozioni, nella sfida alla libertà umana a compiere un atto contro natura, come il soggetto di Kant deve mostrare di essere capace di un atto autonomo, non condizionato dalla catena causale naturale e psicologica.
O, ancora, una riflessione sui thriller di Patricia Highsmith, sul suo Mr. Ripley psicotico ma non folle, anzi razionale e piuttosto civile, angelico perché non integrato nell'ordine simbolico umano e quindi esistente in un universo che precede la legge e il peccato, ma, proprio per questo, quale prezzo da pagare, anche incapace di intensa passione: un mostro freddo etico e immorale.

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