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sabato 31 agosto 2013

letture di agosto (IV)

Infine, le letture concluse nell'ultima decade del mese di agosto.
Il romanzo di Dave Eggers L'opera struggente di un formidabile genio non è tanto un testo struggente quanto, piuttosto, ironico, divertente, riflessivo, amaro, cinico, metaletterario e postmoderno, e nei passaggi strappacuore, non molti, in realtà, forse rischia di essere quasi patetico o un po' troppo melenso, perdendo la fredda e quasi cinica ironia che caratterizza il resto del libro. Non è poi, certo, un'opera di formidabile genio, ma resta comunque una bella prova letteraria e una più che piacevole lettura. Delle vicende del ventenne Dave, che si ritrova improvvisamente a fare da genitore al fratellino di otto anni Toph, della sua famiglia e dei suoi amici ho apprezzato soprattutto i momenti di riflessione e confessione del protagonista, come la rivelazione al fratellino dell'imminente futuro pre-adolescenziale di mutazioni fisiche che lo attende (capezzoli che gli protruderanno in modo innaturale dal petto; capelli che gli si faranno intricati e selvaggi mentre si inspessiscono, scuriscono e arricciano; una feroce brufolosità che gli devasterà il viso); l'immagine del raccontare storie e dettagli della propria esistenza, anche intima, che non è altro che spogliarsi di una pelle come un serpente (ancora mutazioni), lasciandola a chiunque da guardare; il tema del rapportarsi con l'altro come una forma di cannibalismo e, insieme, offerta di cibo.

Di Joe R. Lansdale ho già letto altro, come La lunga strada della vendetta, Mucho Mojo e Il carro magico. Nulla di suo mi è mai sembrato entusiasmante ma neanche deludente. Stessa considerazione mi sento di poter fare per Cielo di sabbia: l'odissea degli adolescenti Jack - la cui "intenzione era diventare come gli eroi di cui avev[a] letto in certi libri, gente in grado di affrontare qualunque cosa e non mollare mai" -, Jane - bella, sveglia e bugiarda, e che "aveva un modo di dire le cose che ti spingeva a dichiararti d'accordo con lei, anche se in partenza non ne eri tanto convinto. Forse per via di tutta quella roba che leggeva" - e Tony - suo fratello minore -, tre ragazzi praticamente orfani e pieni di spirito d'avventura, si svolge nell'America profonda degli anni Trenta, tra depressione economica, tempeste di sabbia, discriminazioni razziali, corruzione, rapine e vagabondaggi.

Dopo Kant, Rousseau e Marx, il corso on line su Moderno e Postmoderno arriva a Gustave Flaubert e Charles Baudelaire. 
Del primo mi è toccata la lettura del suo capolavoro, Madame Bovary. Ora, è vero che si è trattato di una rilettura, ma trascorsi oltre quindici anni (lettura scolastica, liceale) non ero sicuro mi sarei ricordato tutto, anzi inizialmente credevo di non ricordarlo per nulla. Invece tutto procedeva come se fosse assolutamente e strettamente necessario, quindi prevedibile, aspettabile. Credo sia perché la triste, struggente, (stra)ordinaria vicenda della signora Bovary sia ormai talmente un classico (moderno), abbia talmente impregnato le sovrastrutture della nostra cultura popolare, da essere diventato schema mentale condiviso, paradigma comune, immaginario collettivo.
Di Charles Baudelaire, invece, è stato proposto Lo Spleen di Parigi. I poemetti in prosa dello scrittore francese sono una formidabile raccolta di schizzi, abbozzi, ritratti della vita moderna con le sue mode, ossessioni, sensazioni, e delle nuove e nascenti enormi città di metà Ottocento con i loro pietrosi labirinti di strade ed edifici; con le loro donne schiave delle convenzioni, incapaci di sognare altra sorte rispetto a quella toccata loro nel mondo in cui sono state gettate, istiganti la voglia di batterle e godere di loro, e quelle, invece, che sono stregonesse la cui bocca è il miracolo di un fiore superbo sbocciato in una pietra vulcanica, benedette dai doni della Luna, ispiranti il desiderio di lentamente morire sotto il loro sguardo; con la contrapposizione tra una santa carità e una mediocre e borghese pietà verso i poveri - dagli occhi enormi, spalancati come porte, occhi supplichevoli e lacrimosi, occhi indimenticabili che manderebbero all'aria i troni se lo spirito sconquassasse la materia - e i loro buoni cani, verso tutti gli indeboliti, rovinati, intristiti e orfani; con i loro odori di tabacco e di frittura che è come l'incenso della festa, i colori accesi, i pannelli luminosi e le specchiere e i metalli e i tessuti e l'oreficeria e le ceramiche e le magnifiche batterie di pentole; con le loro folle e le solitudini; con le loro bizzarrie e il brulicare di mostri innocenti. Uno dei temi ricorrenti è, ovviamente, quello della noia, tratteggiata in un'infinità di tonalità e sfumature diverse: il tempo moderno, tiranno del mondo che regna su schiavi cui ordina di vivere e sudare, martirio cui si può sfuggire solo restando sempre ebbri, ubriacandosi senza tregua di vino, di poesia o di virtù, a piacere; l'eterno conflitto tra uno spleen che atterra e affonda e un'ideale che tenta d'innalzare e volare (ma può esso stesso divenire una mostruosa chimera che grava e fa camminare curvi), tra noia e sogno, entrambi produttori di energia da disperdere e consumare in scioperataggini, capricci, azioni per niente; l'orribile tedio origine di tutti i mali e dei miserabili progressi dell'umanità (il progresso, la perfettibilità, le grandiose idee del secolo); il pesante mostro da ammazzare, l'occupazione più giusta e quotidiana di ognuno.

venerdì 30 agosto 2013

facile, sbagliato, giusto, necessario

È lecito che un ristretto gruppo di supereroi "illuminati" scelga di assumersi la responsabilità di prendere decisioni globali? È lecito distruggere un altro mondo per salvare il proprio?

Capitan America - So di essere fermo a vedere le cose in bianco e nero... è ciò che sono. Ma da come si stanno mettendo le cose... da dove sta andando la discussione... Esplorare tutte le strade... Tenere aperta ogni opzione... Lo faranno. Si convinceranno a rinunciare a ciò in cui dovremmo credere per convenienza. Solo perché siamo disperati, e solo perché è facile. È sbagliato. Non me ne starò fermo mentre succede. Non posso.

Capitan America- Credo che troveremo il modo di fermarla. E lo faremo senza sacrificare ciò che dovremmo essere.
Dr. StrangeÈ un altro modo di dire "speriamo", e oggi, dopo quello che abbiamo visto, la speranza non può confortarmi.
Capitan America - Be', credo che sia per questo che siamo qui. Per parlare. Per capire le cose. So di chiedere molto, ma so anche che alcuni di voi sono d'accordo con me. Alcuni di noi credono ancora nel fare le cose nel modo giusto. Non è vero, T'Challa?
Pantera Nera - No. I miei desideri personali... non significano niente. La mia gente è tutto. Qui non sono un uomo ma una nazione. E farò ciò che è necessario.
Capitan America - E tu, Freccia Nera?
Freccia Nera - [No].
Namor - Cosa ti aspettavi Rogers? Volevi preservare la tua anima a dispetto di tutto ciò che abbiamo di caro?
Capitan America - E tu, Hank?
Bestia - State veramente chiedendo a un mutante cosa è pronto a fare per evitare l'estinzione?
Mr. Fantastic - Steve, se posso... Il tuo comportamento sminuisce la tua posizione... Ti comporti come se le decisioni da prendere non fossero difficili anche per noi. Be', è offensivo.
Capitan America - Perderai te stesso, Reed. Un giorno ti sveglierai e non avrai idea di chi sia a fissarti allo specchio.
Mr. Fantastic - Sembri sorpreso che sia pronto a sacrificare qualunque cosa per la mia famiglia. Perché?
Capitan America - Chiedo scusa... Ma non lo permetterò. Vi conosco. Costruirete una macchina o una qualche arma senza pensarci, solo perché pensate di averne bisogno. E poi la domanda passerà da "dobbiamo costruirla?" a "in quali circostanze si può usare questa macchina dell'apocalisse?". E poi, lentamente, vi convincerete. Che lo state facendo per i giusti motivi. Che non c'è altra scelta. Che è il minore di due mali. Non è così, fratello?
Iron Man - Dannazione, Steve. Perché deve sempre finire così? Mi spiace... Troverò il modo di aggiustare tutto.
Capitan America - Cosa?
Iron Man - Fallo, Stephen.
Dr. Strange - Mi spiace, Capitano, non abbiamo scelta. Non sei mai stato qui. Non ti ricorderai niente di tutto questo.

(da New Avengers #3, dell'aprile 2013, in Italia Iron Man #4, dell'agosto 2013)





giovedì 29 agosto 2013

godkiller

Finalmente. L'uccisore di dei.

Avete preso il tipo sbagliato. Credo che stiate cercando Nietzsche. Capisco la confusione, i baffi. L'avete mancato di un secolo e passa.

(da Iron Man #6, dell'aprile 2013, in Italia Iron Man #4, dell'agosto 2013)



mercoledì 28 agosto 2013

coraggio, mangiami

"Tu sei come... come un cannibale o qualcosa del genere. Non vedi che stai divorando carne umana? Che stai... stai fabbricando paralumi con la pelle della gen..."
"Oh Cristo."
"Non voglio essere io il tuo carburante, il tuo cibo."
"Io per te lo farei. Io mi farei divorare da te."
"Io non voglio che tu ti faccia divorare da me. E non voglio divorarti. Non voglio usarti come carburante. Non voglio niente da te. Non è che tutti sentano il desiderio di divorarsi costantemente l'un l'altro, non è che tutti vogliano..."
"Tutti ci divoriamo l'un l'altro, costantemente, ogni giorno."
"No."
"E invece sì. È quello che facciamo in quanto esseri umani."
"Per te ovunque è sangue e vendetta, ma c'è molto di più, o piuttosto molto di meno, in tutto ciò. Non tutti sono talmente arrabbiati e così disperatamente affamati..."
"Puoi mangiarmi."
"Che schifo. No."
"Ti renderò più forte."
"Ne ho abbastanza, di te."
"E invece no. Tornerai. Avrai sempre bisogno di me. Avrai sempre bisogno di qualcuno su cui sanguinare. Perché tu sei un essere incompleto, John, e..."

Oh John, non sarò io a guarire né te né voialtri. Ci ho provato milioni di volte a salvarti, ma era talmente sbagliato per me desiderare di salvarti perché in realtà volevo mangiarti per rendermi più forte, volevo solo divorarvi tutti, io ero un cancro... Oh, ma lo faccio per voi. Non vedete che lo faccio per voi? Ho fatto tutto questo per voi. Faccio finta che non sia così ma l'ho fatto per voi. Vi divoro per salvarvi. Vi bevo per farvi nuovi. Mi ingozzo di tutti voi e resto in piedi, gocciolante, le mani chiuse a pugno, le spalle che si alzano e si abbassano... E sembrerò un idiota, striscerò, grondante di sangue e di merda, e... Non c'è un posto in cui io mi fermo e cominciate voi. Sono esausto. Sono in piedi di fronte a voi, 47 milioni, 54, 32 quanti siete, non so, capite che cosa intendo dire... e dov'è il mio reticolo? Non sono sicuro che voi siate il mio reticolo. A volte so che ci siete e a volte non ci siete e a volte quando sono sotto la doccia e mi sto grattando la testa con entrambe le mani penso a tutti voi, ai vostri milioni di gambe e di braccia sotto milioni di edifici che trascinate e muovete, spezzate, creando nuovi edifici, e in quel momento io sono con voi, quando siete sotto a quel cazzo di edificio, voi scolopendre e tutto il resto voi figli di puttana... Non sapete che sono legato a tutti voi? Non sapete che sto cercando di pompare sangue dentro di voi, che tutto questo è per voi, e che vi odio tutti quanti, tutti voi figli di puttana... Che cazzo vi ci vuole a voi figli di puttana che cosa cazzo ci vuole che cosa volete quanto volete, perché io ci sto e me ne starò di fronte a voi e alzerò le braccia in segno di resa e vi offrirò il petto e la gola e aspetterò, è da così tanto di quel tempo che sono vecchio, ormai, per voi, per voi, voglio una cosa rapida che mi trapassi da parte a parte... Coraggio, avanti, fatelo, fatelo; figli di puttana, fatelo, fatelo una buona volta, finalmente finalmente, finalmente.

Questi due passaggi tratti da L'opera struggente di un formidabile genio di Dave Eggers, mi sembrano filosoficamente accostabili a ciò che Jacques Derrida tenta di definire e decostruire con l'uso del termine fallogocentrismo o, meglio, carno-fallogocentrismo: «con questa parola-baule»  scrive Simone Regazzoni in un delle sue undici tesi su Derrida raccolte ne La decostruzione del politico  il filosofo francese «tenta di nominare la struttura in cui, secondo un’essenziale e originaria relazione tra il logos, il mangiare e il fallo, si costituisce l’idea di soggetto sovrano». Nella conferenza pronunciata nel 1971 in occasione del centesimo anniversario della nascita di Valéry, Derrida commenta alcuni passi dei Cahiers del poeta francese – «Nulla di più stupefacente di questa parola “interiore”, che si intende senza alcun rumore e si articola senza movimento. Come in circuito chiuso. Tutto viene a spiegarsi e a dibattersi in questo cerchio simile al serpente che si morde la coda [queue(«Qual quelle». Le fonti di Valéry, in Margini della filosofia) – segnalando come l’immagine di una soggettività, di un’interiorità che si parla e si ascolta da sé, nella parola interiore, non è affatto quella di un’immediata identità, quanto piuttosto il segno di uno stacco – una pausa, una stasi, un arresto –, un ritardo su se stessi. E giocando sulla parola queue – «termine che in francese significa “coda” ma anche, in una accezione volgare, “pene”» (Regazzoni) –, scrive: «Il cerchio ruota per annullare lo stacco e dunque, al tempo stesso, a sua insaputa lo significa. Il serpente si morde la coda, questo non comporta soprattutto che esso alla fine si ricongiunga senza danni in quell’auto-fellatio riuscita di cui, in verità, è tutto il tempo che stiamo parlando».
Alla velocità – nulla o infinita che sia – del circolo lo stacco del soggetto è comunque segnato, significato, la ricongiunzione con sé non è senza danni, non è una sovrana, autonoma, indipendente auto-fellatio riuscita. La sovranità del soggetto libero – nel suo concetto più e meglio accreditato –, autodeterminato, emancipato, affrancato, dall’illimitato potere, onnipotente, è decostruita.
«Decostruire il carno-fallogocentrismo non significa porre fine all’esperienza del mangiare l’altro – in altri termini all’esperienza stessa. Si tratta piuttosto di pensare un’altra economia del mangiare in cui il mangiare l’altro (in tutti i sensi) non sia solo un modo per nutrire sé, per nutrire un se stesso che desidera accrescere la propria potenza e ipseità, ma un modo per dare da mangiare all’altro, per lasciar mangiare l’altro, in sé, secondo una regola di giustizia e ospitalità infinita per cui non si mangia mai da soli, ma sempre in condivisione con l’altro» (Regazzoni).

lunedì 26 agosto 2013

capezzoli e altre struggenti mutazioni

Nel romanzo di Dave Eggers L'opera struggente di un formidabile genio, il ventenne Dave si ritrova improvvisamente a fare da genitore al fratellino di otto anni Toph, cui, in uno dei passaggi iniziali del libro, predice il suo imminente futuro pre-adolescenziale di mutazioni fisiche.

"Ehi."
"Cosa, cosa c'è?"
"Ma che cos'hai ai capezzoli?"
"In che senso?"
"Non so, sporgono."
Lo guardo dritto negli occhi.
"Toph, voglio dirti qualcosa. Qualcosa sui miei capezzoli. Voglio dirti dei miei capezzoli e più in generale dei capezzoli dei maschi della nostra famiglia. Perché un giorno, figliolo (facciamo spesso questo gioco, e lui mi dà corda, il gioco in cui io lo chiamo figliolo e lui mi chiama papà, e ci parliamo un po' come tra padre e figlio, scherzandoci su ma al tempo stesso sentendoci intimamente a disagio a usare quei termini), un giorno i miei capezzoli saranno i tuoi capezzoli. Un giorno anche tu avrai capezzoli che protrudono in modo innaturale dal tuo petto, capezzoli che si irrigidiranno alla più lieve sollecitazione, impedendoti di indossare altro che pesanti magliette di cotone."
"Ma va'."
"Sì, Toph" dico osservando l'oceano con fare pensoso, come a cercarvi il futuro. "Erediterai questi capezzoli, come erediterai una struttura ossuta e scheletrica che non si riempirà fino a dopo i vent'anni, oltre al fatto che la pubertà ti coglierà in scandaloso ritardo e ben presto quella lunga chioma bionda e liscia che ti fa assomigliare vagamente a un River Phoenix giovane, quella chioma dicevo, si infittirà, si indurirà, diventerà più scura e si arriccerà in modo talmente intricato e selvaggio che al tuo risveglio ti sembrerà di avere fatto tre permanenti e di aver poi guidato per sei ore in una decapottabile. Lentamente ma inesorabilmente diventerai brutto, e la tua pelle sarà solcata da un'acne talmente feroce che, a parte la generica brufolosità che ti devasterà le guance e il mento, sottopelle ti verranno anche delle palline - il tuo dermatologo le chiamerà 'cisti' - che ogni paio di settimane si formeranno negli interstizi esterni delle tue narici, e saranno talmente grosse e rossastre che gli estranei trasaliranno a dieci metri di distanza e i bambini vedendoti ti indicheranno e scoppieranno a piangere."
"No."
"Oh, sì."
"Non esiste. Scommetto che sarò diverso, io."
"Prega fin d'ora."

A scopo decorativo e protettivo, Dave dipinge quindi due enormi supereroi, per l'esattezza due mutanti, due X-Men (Wolverine e Cable), sui muri della camera del fratellino. "Toph dorme per l'intera durata del lavoro, mentre la vernice sgocciola sul copriletto e sulla sua gamba sinistra scoperta". 
Il tema del cambiamento, della metamorfosi, della muta, della mutazione, torna anche nelle riflessioni del fratello maggiore sul raccontare la propria esistenza, anche nei dettagli, anche nelle cose più intime: "Queste cose, i dettagli, le storie e quant'altro, sono come la pelle di cui i serpenti si spogliano, lasciandola a chiunque da guardare". Dave, che scrive questa struggente opera della sua vita, è il serpente "e dunque, il serpente dovrebbe portare la pelle con sé, tenersela sempre sotto braccio? Dovrebbe farlo? No, certo che no! Non ha braccia, un serpente! Come cazzo fa a portarsi in giro la pelle? Per favore".
E vwerso la fine del romanzo, come avviene per il tredicenne protagonista de L'estate alla fine del secolo di Fabio Geda, poi, uno dei segni e delle tracce della mutazione di Toph è il cambiamento del vocabolario con cui ci si rivolge agli altri, l'adozione di un linguaggio nuovo, diverso, espressione di nuovi sentimenti e di diverse emozioni, di mutate tensioni.

Toph come sempre non guarda giù, il che è comprensibile, visto che non apprezza la mia guida senza mani, usando per un po' solo le ginocchia, guarda un po' qui, guarda che figata ah ah ah!
"Testa di cazzo, non fare così."
"Cosa?"
"Usa le mani."
"Non puoi chiamarmi in quel modo."
"Va bene. Testa di cavolo."
E per quanto preoccupante possa essere udire la sua prima parolaccia nei miei confronti - perlomeno è la prima volta che gliene sento usare una -è anche abbastanza emozionante. Meravigliosamente emozionante. Sentirgli esprimere della rabbia è un vero sollievo. Mi sono sempre preoccupato della sua mancanza di rabbia, del fatto che io e lui andassimo troppo d'accordo, del fatto che forse non gli avevo dato sufficienti occasioni di conflitto. Avrebbe bisogno di conflitti, avevo cominciato a dirmi. Dopo tanti anni di armonia e coccole, era giunto il momento di dare al ragazzo qualcosa di cui potesse incazzarsi. Altrimenti come ce l'avrebbe fatta nella vita? Da dove avrebbe attinto motivazione, se non dal desiderio di farmi a pezzetti? Fino a quel momento non c'era stata che mutua devozione e complicità e quei suoi occhioni gentili e quella sua saggezza pura da bambino... ma adesso! Sono una testa di cazzo! Che sollievo. Un via d'uscita, finalmente la verità, infine, limpida e inevitabile! E forse avrei dovuto notarne i segni premonitori. Quando avevamo fatto la lotta, poco prima sul pavimento di casa, e qualche giorno fa al campo da tennis quando gli avevo tirato a forza le mutande su per il culo, non aveva reagito combattendo con insolita convinzione? Non aveva raggiunto in effetti una buona presa, e non l'aveva mantenuta per un po' con inedita tenacia, molto più a lungo di quanto solitamente gli sarebbe stato possibile? Il suo corpo non si era teso in modo nuovo, la stretta delle sue mani non si era rafforzata, i suoi occhi non hanno ora un non so che di abbandono, non tradiscono una certa rabbia che arriva da chissà quali luoghi lontani? Sì, sì! Ormai siamo onnipotenti.
Finalmente!
"Non puoi dirmi nemmeno testa di cavolo."
"Va bene."
"Testa di cavolo è persino peggio di testa di cazzo."
"Va bene. Stronzo."
"Stronzo va benissimo."





mercoledì 21 agosto 2013

letture di agosto (III)

Altre letture della seconda decade di agosto.
La lettura dell'opera di J.M. Coetzee, iniziata il mese scorso, continua con il romanzo da cui sarei voluto partire, finalmente trovato e acquistato: Foe. Citato da Jacques Derrida nel suo seminario su (tra l'altro) il Robinson Crusoe (La Bestia e il Sovrano, vol. 2) come ri-lettura e ri-scrittura del romanzo di Daniel Defoe, il breve testo di Coetzee è, più che un romanzo, una riflessione sulla parola, la scrittura, il romanzo, la letteratura. "Vivere in silenzio significa vivere come le balene, grandi castelli di carne che galleggiano a leghe di distanza l'uno dall'altro, oppure come i ragni, ognuno dei quali se ne sta solo al centro della propria tela, che per ciascuno di essi rappresenta il mondo intero"; il mondo, insomma, non è come un'isola deserta su cui si è fatto naufragio, deserta e silenziosa. Parlare per comunicare, per raccontare la propria storia, per dire la verità, ma la letteratura, che è fiction, finzione, come si rapporta al raccontare storie e dire la verità? "Per dire la verità in tutta la sua consistenza è necessaria la quiete, una sedia comoda lontana da ogni distrazione e una finestra cui indugiare a guardare; e poi il talento di vedere onde quando si hanno davanti agli occhi campi, di sentire il sole dei tropici quando fa freddo; e di avere sulla punta delle dita le parole con cui catturare la visione prima che dilegui". La riflessione e la mediazione della scrittura donano davvero consistenza alla verità, o la narrazione è piuttosto sofisticazione e mistificazione? E se anche lo fosse, non sarebbe comunque un'arte necessaria e salvifica?

Per rimanere in tema robinsoniano, ho letto anche Venerdì o la vita selvaggia, la rivisitazione del classico offerta dallo scrittore francese Michel Tournier che racconta la storia del naufragio e della vita sull'isola per un pubblico di lettori bambini/ragazzi e trasformandola più che altro in una storia di amicizia tra persone apparentemente e inizialmente diverse, il civilissimo Robinson e il selvaggio Venerdì: dal rapporto servo-padrone che dapprincipio lega i due alla scoperta/conquista/nascita di una relazione tra 'fratelli' liberi e uguali. Il racconto è quasi anche una parabola forse un po' rousseauiana dello 'scontro' civiltà-natura: il processo di civilizzazione dell'isola che intraprende Robinson appena naufragato sull'isola deserta è costantemente 'minacciato' da una natura ribelle (pipistrelli vampiri che dissanguano i capretti che allega, polpi che lo spruzzano/sbeffeggiano con getti d'acqua mentre raccoglie molluschi) e ciò lo costringe a dover lavorare senza sosta; inoltre, per non cadere in uno stato di pigrizia bestiale e di fangoso ozio che gli sembra abbrutente, è costretto a inventarsi inutili cerimonie, riti, cronoprogrammi pianificando tutto il tempo, e a legiferare una Costituzione dell'isola di cui si proclama governatore (sovrano), il tutto per mantenersi civilizzato. Anche a cambiare tutto ciò contribuirà l'amicizia con Venerdì e la rieducazione alla sua vita selvaggia. Ma dopo tutto ciò, sarà possibile per Robinson lasciare l'isola e tornare alla civiltà?

Dopo la delusione del fantasy Terra di mutazioni, ho provato con il lato fantascientifico di Roger Zelazny leggendo Signore della luce. Un netto miglioramento, sia per trama, costruzione narrativa e stile. Alcuni sopravvissuti alla morte della Terra giungono su un altro remoto pianeta e sfruttano (monopolizzandole) le proprie conoscenze e tecnologie per dotarsi di poteri straordinari e dominare il pianeta come divinità, assumendo i nomi del pantheon indiano. Ma tra le loro stesse fila nasce un disaccordo, un'eresia (l'accelerazionismo), secondo la quale l'equipaggio dei "primi" venuti dalla Terra avrebbe il dovere di dare una mano agli altri abitanti del pianeta, assicurando loro i benefici della scienza posseduta invece di sfruttarla per costruirsi un inespugnabile paradiso e trattare il mondo come un incrocio tra una riserva di caccia e un casino. Ma i più reputano gli abitanti del pianeta dei bambini che giocando con i doni dei "primi" finirebbero per bruciarsi e ritengono perciò opportuno comportarsi come padri responsabili guidandoli lentamente e gradualmente, evitando un'accelerazione che li distruggerebbe. Ma perché, allora, distruggere ogni giovane tecnologia scoperta nel mondo, ogni segno di progresso mostrato dalla popolazione (tranne, stranamente, la scoperta della distillazione e della produzione dell'alcol)? Dèi e dee sono solo figure parentali cui pesa portare eternamente la propria sfibrante condizione o desiderano cercare di conservare in vita un'era di oscurità di cui godono i vantaggi? Sarà Sam/Siddharta, incantatore di demoni e Signore della Luce, a sfidare questa canzonetta suonata con un mandolino fascista, questa tirannide giustificata con un mucchio di fesserie poetiche, provando a porre termine a un mondo come il mattino pone termine alla notte.

domenica 18 agosto 2013

letture di agosto (II: scrittori italiani contemporanei)

Come promesso sempre il mese scorso, in questa seconda decade del mese di agosto è arrivata una seconda lettura per le mie due nuove scoperte della letteratura italiana contemporanea, Genna e Geda. 
Per Fabio Geda ho optato per il suo esordio letterario Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani. Come nel caso de L'estate alla fine del secolo (la mia precedente e prima lettura), ancora uno splendido racconto di formazione, protagonista un tredicenne lettore di fumetti (Tex, i cui volumi vanno velocemente a finire nello zaino per una improvvisa partenza, infilati nell'ordine dopo maglioni e mutande e prima di spazzolino e soldi) che cresce, impara, arricchisce il proprio vocabolario, si educa, in maniera immersiva, 'sporca', nel mondo che esiste anche oltre le mura degli edifici scolastici, un mondo fatto di letture, visioni, incontri, giochi. Viaggiare è come andare a scuola, forse è molto meglio che andare a scuola, e a un certo punto, non si può sapere quando, non si è più se stessi, il se stessi di prima, l'io è un altro, si è trasformati, mutati, evoluti "come un Pokémon, anzi, meglio di un Pokémon del cazzo, molto meglio". "C'è chi ha una vita come il Mississippi, liquida, lenta, fertile, e chi, come Tex, rischia ogni giorno di morire di sete nel deserto del sale, di sfracellarsi giù da una scarpata o di congelare sotto una tormenta": la mutante vita (pre)adolescente è più simile a un'avventura a fumetti.

Di Giuseppe Genna, invece, ho letto la sua ultima opera, ovvero Fine impero, un testo espressivo più che figurativo o rappresentativo di un io che vive e contempla un impero alla fine della sua decadenza (come scriveva Verlaine), che guarda scorrere e passare quella che non sa più (o ancora) se sia barbarie o civiltà; una 'fine impero' insieme privata, personale, soggettiva, idiosincratica e pubblica, collettiva, sociale, culturale. Forse un po' troppo 'apocalittico' e fintamente(?) - quasi in maniera compiacente, indolente? - disperante.

Infine, rimanendo in campo di scrittori italiani contemporanei, ho letto il romanzo d'esordio (e per ora unico) di Marco CubedduC.U.B.A.M.S.C., titolo acronimo di Con Una Bomba A Mano Sul Cuore, uno dei vari tatuaggi del personaggio protagonista del libro, insieme al nastro di Möbius di carrarmati e ruspe, simbolo della violenza dell'universo cui si oppone la scritta "we last", e alle colt da pistolero del far west. Né cinico, né immorale, né dissacrante come pretenderebbe forse di essere, il libro di Cubeddu è un calderone di richiami e riferimenti alla cultura popolare degli anni Ottanta-Novanta che non riesce ad essere un citazionismo creativo o a dar vita a una ben riuscita amalgama di linguaggi, vocabolari e stili, ma rimane un non originale collage in cui si riconoscono e sentono gli stacchi e i margini dei ritagli accumulati, e che sembra più che altro un trucco e una furbizia letterari mal riusciti.
Il protagonista, poi, personaggio di certo meno credibile di quegli ingenui e 
naïf del primo De Carlo (checché ne scriva, la mancanza della volontaria sospensione dell'incredulità nel lettore affligge chi si cimenta con questa storia), è un cialtrone più che un genio (scrittore, sceneggiatore di cinema e tv), un imbecille più che un pluriomicida (non ha nulla del giovane criminale, né alla Genet, né alla Romanzo Criminale, né alla Tarantino), un irresponsabile più che un latitante, un ossessionato più che un innamorato. Non è riempiendo un romanzo di eccessi alla 'come se non ci fosse un domani' (ma quante volte è usata questa formula nelle pagine del libro?) che si diventa il nuovo enfant terrible della letteratura italiana, né (spero) con del buon marketing, né applicando in maniera consapevole ma smaccata e non 'nascosta' nella finzione narrativa le regole di una scuola o corso di scrittura creativa (l'arte è celare l'arte). Non è sostenendo la libertà dell'arte, che non ha da essere né morale, né vera, né utile ma esclusivamente bella, e alludendo alla cialtroneria di altri autori le cui storie possono avere anche un risvolto sociale ma che restano validi prodotti letterari ed estetici, che si può evitare di vedere il proprio libro giudicato esteticamente non un granché, deludente, un'occasione perduta e mancata. Fastidiosa anche la scelta del narratore in terza persona, una voce fuori campo didascalica e documentaristica.

domenica 11 agosto 2013

letture di agosto (I)

Le letture della prima decade di agosto.
Come già scritto, avendo iniziato a leggere il manga GTO, non potevo non dedicarmi parallelamente anche alla lettura del romanzo di Sōseki Natsume Il signorino, che è uno dei libri preferiti dal protagonista del fumetto. Il bocchan (signorino, in senso di affettuoso rispetto, ma insieme anche di ragazzino immaturo) e il Great Teacher Onizuka possiedono in effetti tratti caratteriali in parte simili: impulsivi e poco riflessivi, fumantini se non propriamente collerici, sinceri quasi forse fino all'ingenuità, coraggiosi, più portati alla lealtà che alla convenienza, all'onestà che alla carriera o alla formale reputazione, amanti del cibo e di sollazzi materiali, del fare a botte e del prender parte a divertenti risse; insegnanti dai metodi educativi forse poco ortodossi, spicci e concreti, ma indirizzati alla giustizia più che alle regole, regolamenti e leggi ("Se vogliamo che una persona si scusi sinceramente, l'unico sistema è suonargliele di santa ragione, fino a fargli rimpiangere davvero di essersi comportato male", anche se questa persona fosse uno studente, che poi... "Altro che bambini... quei ragazzi erano più grossi di me! Quindi avevo tutti i diritti di punirli e ripagarli della stessa moneta"); avversi a società, istituzioni e individui ipocriti, affettati, raffinati e sofisticati ("A pensarci bene, la maggior parte della gente incoraggia gli altri a comportarsi male. Tutti sembrano convinti che sia necessario per aver successo. Quelle rare volte in cui posano gli occhi su un uomo onesto e pulito, lo disprezzano, gli danno del ragazzino immaturo, del bambino. Se le cose stanno così, alle elementari e alle medie gli insegnanti di etica farebbero meglio a non esortare gli alunni a dire sempre la verità e ad agire onestamente. Sia per la società che per l'individuo, sarebbe meglio che a scuola si insegnasse l'arte di mentire, di diffidare di tutti e di ingannare i propri simili"). Insomma, un'ottima lettura in un perfetto momento.

Non del tutto convincente l'esperienza di lettura di John Irving con il suo romanzo Il mondo secondo Garp: a parte che il protagonista mi è stato antipatico per quasi tutto il tempo della storia, avendo io in sospetto uno scrittore che non ama particolarmente leggere e che per di più è addirittura lui a guardare con sospetto chi legge troppo (inconcepibile per me); comunque, la narrazione è sicuramente ben architettata e scritta, ma forse anche troppo e in modo troppo costruito, consapevole e compiaciuto, finendo per essere forse un fumettone o una soap opera (termini entrambi usati in senso piuttosto negativo nel romanzo stesso) ricchi di episodi un po' stupidi, capricciosi e non necessari, un'opera insieme comica, brutta e bizzarra (altri concetti critici presi dal romanzo stesso), anche se assolutamente coerente e valida (ma non 'vera') dal punto di vista letterario.

Deludente la lettura del fantasy anni '80 Terra di mutazioni di Roger Zelazny: storiella scadente, scontata, buttala là tra avventura, magia e humor. Riproverò con qualcosa di fantascientifico dello stesso autore, consigliato da Jonathan Lethem perché i suoi personaggi dai poteri straordinari e dall'etica sacrificale e supererogatoria dovrebbero avere assonanze con i supereroi dei comics.

Per il mooc (massive open online course) su modernità e postmodernità, infine, i due Discorsi di Jean-Jacques Rousseau, quello sulle scienze e sulle arti (ghirlande di fiori stese sulle catene di ferro di cui gli uomini sono carichi, produttrici di bisogni e lussi che degradano i costumi umani più che stimolarne il progresso) e quello sull'origine della disuguaglianza tra gli uomini (dalla libertà, compassione e perfettibilità originali dell'uomo, alla dipendenza, vanità, disuguaglianza di una società di schiavi e padroni). Incredibile le ricorrenze di riferimenti al valore di Sparta.

sabato 10 agosto 2013

questa è libertà

Nei Discorsi del filosofo francese Jean-Jacques Rousseau è riscontrabile una formidabile quantità e frequenza di riferimenti al valore e all'esemplarità dell'antica Sparta. L'educazione degli Spartani - che anche secondo Montaigne allevano i fanciulli "come se a questa generosa giovinezza, sdegnosa di ogni altro giogo, si dovessero fornire, invece dei nostri maestri di scienza, solo maestri di valore, prudenza e giustizia" (Saggi) - viene esaltata come la migliore possibile, istituita secondo il principio per cui è preferibile che i ragazzi "imparino quello che debbono fare quando saranno uomini, e non ciò che devono dimenticare" (Discorso sulle scienze e sulle arti). 
La legge della città greca sui figli dei propri cittadini "rende forti e robusti quelli che son bene costituiti, e fa perir tutti gli altri", e se ciò sembra disumano o crudele, ci si può chiedere se sia preferibile quella diversa delle nostre società, "in cui lo Stato, rendendo i figli di peso ai padri, li uccide indistintamente prima della nascita" (Discorso sull'origine della disuguaglianza fra gli uomini).
Sempre in questo secondo Discorso, l'ennesimo riferimento al mito di Sparta introduce questo passo che esalta una selvaggia libertà contro una raffinata e calma civiltà.

"Come un corsiero indomito arruffa il crine, batte la terra col piede e si dibatte impetuosamente al sol avvicinarsi del morso, mentre un cavallo domato soffre paziente lo scudiscio e lo sprone, così l'uomo barbaro non piega la testa al giogo, che l'uomo incivilito porta senza mormorare, e preferisce la più tempestosa libertà a una soggezione tranquilla. Non dunque dall'avvilimento dei popoli asserviti si devon giudicare le disposizioni naturali dell'uomo per o contro la schiavitù, ma dai prodigi che fan tutti i popoli liberi per garantirsi dall'oppressione. Io so che i primi non fanno che vantar di continuo la pace e la quiete di cui godono in catene, e che miserrimam servitutem pacem appellant [chiamano pace una infelicissima schiavitù, Tacito, Historiae]; ma quando veggo gli altri sacrificar piaceri, quiete, ricchezza, potenza e la stessa vita alla conservazione di quel solo bene, così disprezzato da quelli che l'han perduto; quando veggo animali, nati liberi e aborrenti la prigionia, rompersi la testa contro le sbarre della loro prigione; quando veggo moltitudini di selvaggi tutti nudi disprezzar le voluttà europee e sfidar fame, fuoco, ferro e morte, per non conservare che la loro indipendenza, io sento che non spetta agli schiavi di ragionar di libertà".



A illustrare il tutto, tavole tratte dalla graphic novel di Frank Miller 300.

venerdì 9 agosto 2013

great teacher bocchan

All'immersione nella lettura della serie di volumetti del manga GTO (Great Teacher Onizuka), ho accostato l'intermezzo/diramazione del romanzo di Sōseki Natsume Il signorino, visto che per l'insegnante protagonista della serie a fumetti rappresenta uno dei suoi libri preferiti. E le analogie tra i due caratteri del grande insegnante Onizuka e del bocchan (signorino/ragazzino) non sembrano essere davvero pochi.

"Se vogliamo che una persona si scusi sinceramente, l'unico sistema è suonargliele di santa ragione, fino a fargli rimpiangere davvero di essersi comportato male", anche se questa persona fosse uno studente, che poi... "Altro che bambini... quei ragazzi erano più grossi di me! Quindi avevo tutti i diritti di punirli e ripagarli della stessa moneta".


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