"Tu sei come... come un cannibale o qualcosa del genere. Non vedi che stai divorando carne umana? Che stai... stai fabbricando paralumi con la pelle della gen..."
"Oh Cristo."
"Non voglio essere io il tuo carburante, il tuo cibo."
"Io per te lo farei. Io mi farei divorare da te."
"Io non voglio che tu ti faccia divorare da me. E non voglio divorarti. Non voglio usarti come carburante. Non voglio niente da te. Non è che tutti sentano il desiderio di divorarsi costantemente l'un l'altro, non è che tutti vogliano..."
"Tutti ci divoriamo l'un l'altro, costantemente, ogni giorno."
"No."
"E invece sì. È quello che facciamo in quanto esseri umani."
"Per te ovunque è sangue e vendetta, ma c'è molto di più, o piuttosto molto di meno, in tutto ciò. Non tutti sono talmente arrabbiati e così disperatamente affamati..."
"Puoi mangiarmi."
"Che schifo. No."
"Ti renderò più forte."
"Ne ho abbastanza, di te."
"E invece no. Tornerai. Avrai sempre bisogno di me. Avrai sempre bisogno di qualcuno su cui sanguinare. Perché tu sei un essere incompleto, John, e..."
Oh John, non sarò io a guarire né te né voialtri. Ci ho provato milioni di volte a salvarti, ma era talmente sbagliato per me desiderare di salvarti perché in realtà volevo mangiarti per rendermi più forte, volevo solo divorarvi tutti, io ero un cancro... Oh, ma lo faccio per voi. Non vedete che lo faccio per voi? Ho fatto tutto questo per voi. Faccio finta che non sia così ma l'ho fatto per voi. Vi divoro per salvarvi. Vi bevo per farvi nuovi. Mi ingozzo di tutti voi e resto in piedi, gocciolante, le mani chiuse a pugno, le spalle che si alzano e si abbassano... E sembrerò un idiota, striscerò, grondante di sangue e di merda, e... Non c'è un posto in cui io mi fermo e cominciate voi. Sono esausto. Sono in piedi di fronte a voi, 47 milioni, 54, 32 quanti siete, non so, capite che cosa intendo dire... e dov'è il mio reticolo? Non sono sicuro che voi siate il mio reticolo. A volte so che ci siete e a volte non ci siete e a volte quando sono sotto la doccia e mi sto grattando la testa con entrambe le mani penso a tutti voi, ai vostri milioni di gambe e di braccia sotto milioni di edifici che trascinate e muovete, spezzate, creando nuovi edifici, e in quel momento io sono con voi, quando siete sotto a quel cazzo di edificio, voi scolopendre e tutto il resto voi figli di puttana... Non sapete che sono legato a tutti voi? Non sapete che sto cercando di pompare sangue dentro di voi, che tutto questo è per voi, e che vi odio tutti quanti, tutti voi figli di puttana... Che cazzo vi ci vuole a voi figli di puttana che cosa cazzo ci vuole che cosa volete quanto volete, perché io ci sto e me ne starò di fronte a voi e alzerò le braccia in segno di resa e vi offrirò il petto e la gola e aspetterò, è da così tanto di quel tempo che sono vecchio, ormai, per voi, per voi, voglio una cosa rapida che mi trapassi da parte a parte... Coraggio, avanti, fatelo, fatelo; figli di puttana, fatelo, fatelo una buona volta, finalmente finalmente, finalmente.
Questi due passaggi tratti da L'opera struggente di un formidabile genio di Dave Eggers, mi sembrano filosoficamente accostabili a ciò che Jacques Derrida tenta di definire e decostruire con l'uso del termine fallogocentrismo
o, meglio, carno-fallogocentrismo: «con questa parola-baule» – scrive Simone Regazzoni in un delle sue undici tesi su Derrida raccolte ne La decostruzione del politico – il filosofo francese «tenta di
nominare la struttura in cui, secondo un’essenziale e originaria relazione tra
il logos, il mangiare e il fallo, si
costituisce l’idea di soggetto sovrano».
Nella conferenza pronunciata nel 1971 in occasione del centesimo anniversario
della nascita di Valéry,
Derrida commenta alcuni passi dei Cahiers
del poeta francese – «Nulla di più stupefacente di questa parola “interiore”,
che si intende senza alcun rumore e si articola senza movimento. Come in
circuito chiuso. Tutto viene a spiegarsi e a dibattersi in questo cerchio
simile al serpente che si morde la coda [queue]» («Qual quelle». Le fonti di Valéry, in Margini della filosofia) – segnalando
come l’immagine di una soggettività, di un’interiorità che si parla e si
ascolta da sé, nella parola interiore, non è affatto quella di un’immediata
identità, quanto piuttosto il segno di uno stacco – una pausa, una stasi, un
arresto –, un ritardo su se stessi. E giocando sulla parola queue – «termine che in francese
significa “coda” ma anche, in una accezione volgare, “pene”» (Regazzoni) –,
scrive: «Il cerchio
ruota per annullare lo stacco e dunque, al tempo stesso, a sua insaputa lo
significa. Il serpente si morde la coda, questo non comporta soprattutto che
esso alla fine si ricongiunga senza danni in quell’auto-fellatio riuscita di cui, in verità, è tutto il tempo che stiamo
parlando».
Alla
velocità – nulla o infinita che sia – del circolo lo stacco del soggetto è
comunque segnato, significato, la ricongiunzione con sé non è senza danni, non
è una sovrana, autonoma, indipendente auto-fellatio
riuscita. La sovranità del soggetto libero – nel suo concetto più e meglio
accreditato –, autodeterminato, emancipato, affrancato, dall’illimitato potere,
onnipotente, è decostruita.
«Decostruire
il carno-fallogocentrismo non significa porre fine all’esperienza del mangiare
l’altro – in altri termini all’esperienza stessa. Si tratta piuttosto di
pensare un’altra economia del mangiare in cui il mangiare l’altro (in tutti
i sensi) non sia solo un modo per nutrire sé, per nutrire un se stesso che
desidera accrescere la propria potenza e ipseità, ma un modo per dare da
mangiare all’altro, per lasciar mangiare l’altro, in sé, secondo una regola di
giustizia e ospitalità infinita per cui non si mangia mai da soli, ma sempre in
condivisione con l’altro» (Regazzoni).
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