Come promesso sempre il mese scorso, in questa seconda decade del mese di agosto è arrivata una seconda lettura per le mie due nuove scoperte della letteratura italiana contemporanea, Genna e Geda.
Per Fabio Geda ho optato per il suo esordio letterario Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani. Come nel caso de L'estate alla fine del secolo (la mia precedente e prima lettura), ancora uno splendido racconto di formazione, protagonista un tredicenne lettore di fumetti (Tex, i cui volumi vanno velocemente a finire nello zaino per una improvvisa partenza, infilati nell'ordine dopo maglioni e mutande e prima di spazzolino e soldi) che cresce, impara, arricchisce il proprio vocabolario, si educa, in maniera immersiva, 'sporca', nel mondo che esiste anche oltre le mura degli edifici scolastici, un mondo fatto di letture, visioni, incontri, giochi. Viaggiare è come andare a scuola, forse è molto meglio che andare a scuola, e a un certo punto, non si può sapere quando, non si è più se stessi, il se stessi di prima, l'io è un altro, si è trasformati, mutati, evoluti "come un Pokémon, anzi, meglio di un Pokémon del cazzo, molto meglio". "C'è chi ha una vita come il Mississippi, liquida, lenta, fertile, e chi, come Tex, rischia ogni giorno di morire di sete nel deserto del sale, di sfracellarsi giù da una scarpata o di congelare sotto una tormenta": la mutante vita (pre)adolescente è più simile a un'avventura a fumetti.
Di Giuseppe Genna, invece, ho letto la sua ultima opera, ovvero Fine impero, un testo espressivo più che figurativo o rappresentativo di un io che vive e contempla un impero alla fine della sua decadenza (come scriveva Verlaine), che guarda scorrere e passare quella che non sa più (o ancora) se sia barbarie o civiltà; una 'fine impero' insieme privata, personale, soggettiva, idiosincratica e pubblica, collettiva, sociale, culturale. Forse un po' troppo 'apocalittico' e fintamente(?) - quasi in maniera compiacente, indolente? - disperante.
Infine, rimanendo in campo di scrittori italiani contemporanei, ho letto il romanzo d'esordio (e per ora unico) di Marco Cubeddu, C.U.B.A.M.S.C., titolo acronimo di Con Una Bomba A Mano Sul Cuore, uno dei vari tatuaggi del personaggio protagonista del libro, insieme al nastro di Möbius di carrarmati e ruspe, simbolo della violenza dell'universo cui si oppone la scritta "we last", e alle colt da pistolero del far west. Né cinico, né immorale, né dissacrante come pretenderebbe forse di essere, il libro di Cubeddu è un calderone di richiami e riferimenti alla cultura popolare degli anni Ottanta-Novanta che non riesce ad essere un citazionismo creativo o a dar vita a una ben riuscita amalgama di linguaggi, vocabolari e stili, ma rimane un non originale collage in cui si riconoscono e sentono gli stacchi e i margini dei ritagli accumulati, e che sembra più che altro un trucco e una furbizia letterari mal riusciti.
Il protagonista, poi, personaggio di certo meno credibile di quegli ingenui e naïf del primo De Carlo (checché ne scriva, la mancanza della volontaria sospensione dell'incredulità nel lettore affligge chi si cimenta con questa storia), è un cialtrone più che un genio (scrittore, sceneggiatore di cinema e tv), un imbecille più che un pluriomicida (non ha nulla del giovane criminale, né alla Genet, né alla Romanzo Criminale, né alla Tarantino), un irresponsabile più che un latitante, un ossessionato più che un innamorato. Non è riempiendo un romanzo di eccessi alla 'come se non ci fosse un domani' (ma quante volte è usata questa formula nelle pagine del libro?) che si diventa il nuovo enfant terrible della letteratura italiana, né (spero) con del buon marketing, né applicando in maniera consapevole ma smaccata e non 'nascosta' nella finzione narrativa le regole di una scuola o corso di scrittura creativa (l'arte è celare l'arte). Non è sostenendo la libertà dell'arte, che non ha da essere né morale, né vera, né utile ma esclusivamente bella, e alludendo alla cialtroneria di altri autori le cui storie possono avere anche un risvolto sociale ma che restano validi prodotti letterari ed estetici, che si può evitare di vedere il proprio libro giudicato esteticamente non un granché, deludente, un'occasione perduta e mancata. Fastidiosa anche la scelta del narratore in terza persona, una voce fuori campo didascalica e documentaristica.
0 interventi:
Posta un commento