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sabato 31 agosto 2013

letture di agosto (IV)

Infine, le letture concluse nell'ultima decade del mese di agosto.
Il romanzo di Dave Eggers L'opera struggente di un formidabile genio non è tanto un testo struggente quanto, piuttosto, ironico, divertente, riflessivo, amaro, cinico, metaletterario e postmoderno, e nei passaggi strappacuore, non molti, in realtà, forse rischia di essere quasi patetico o un po' troppo melenso, perdendo la fredda e quasi cinica ironia che caratterizza il resto del libro. Non è poi, certo, un'opera di formidabile genio, ma resta comunque una bella prova letteraria e una più che piacevole lettura. Delle vicende del ventenne Dave, che si ritrova improvvisamente a fare da genitore al fratellino di otto anni Toph, della sua famiglia e dei suoi amici ho apprezzato soprattutto i momenti di riflessione e confessione del protagonista, come la rivelazione al fratellino dell'imminente futuro pre-adolescenziale di mutazioni fisiche che lo attende (capezzoli che gli protruderanno in modo innaturale dal petto; capelli che gli si faranno intricati e selvaggi mentre si inspessiscono, scuriscono e arricciano; una feroce brufolosità che gli devasterà il viso); l'immagine del raccontare storie e dettagli della propria esistenza, anche intima, che non è altro che spogliarsi di una pelle come un serpente (ancora mutazioni), lasciandola a chiunque da guardare; il tema del rapportarsi con l'altro come una forma di cannibalismo e, insieme, offerta di cibo.

Di Joe R. Lansdale ho già letto altro, come La lunga strada della vendetta, Mucho Mojo e Il carro magico. Nulla di suo mi è mai sembrato entusiasmante ma neanche deludente. Stessa considerazione mi sento di poter fare per Cielo di sabbia: l'odissea degli adolescenti Jack - la cui "intenzione era diventare come gli eroi di cui avev[a] letto in certi libri, gente in grado di affrontare qualunque cosa e non mollare mai" -, Jane - bella, sveglia e bugiarda, e che "aveva un modo di dire le cose che ti spingeva a dichiararti d'accordo con lei, anche se in partenza non ne eri tanto convinto. Forse per via di tutta quella roba che leggeva" - e Tony - suo fratello minore -, tre ragazzi praticamente orfani e pieni di spirito d'avventura, si svolge nell'America profonda degli anni Trenta, tra depressione economica, tempeste di sabbia, discriminazioni razziali, corruzione, rapine e vagabondaggi.

Dopo Kant, Rousseau e Marx, il corso on line su Moderno e Postmoderno arriva a Gustave Flaubert e Charles Baudelaire. 
Del primo mi è toccata la lettura del suo capolavoro, Madame Bovary. Ora, è vero che si è trattato di una rilettura, ma trascorsi oltre quindici anni (lettura scolastica, liceale) non ero sicuro mi sarei ricordato tutto, anzi inizialmente credevo di non ricordarlo per nulla. Invece tutto procedeva come se fosse assolutamente e strettamente necessario, quindi prevedibile, aspettabile. Credo sia perché la triste, struggente, (stra)ordinaria vicenda della signora Bovary sia ormai talmente un classico (moderno), abbia talmente impregnato le sovrastrutture della nostra cultura popolare, da essere diventato schema mentale condiviso, paradigma comune, immaginario collettivo.
Di Charles Baudelaire, invece, è stato proposto Lo Spleen di Parigi. I poemetti in prosa dello scrittore francese sono una formidabile raccolta di schizzi, abbozzi, ritratti della vita moderna con le sue mode, ossessioni, sensazioni, e delle nuove e nascenti enormi città di metà Ottocento con i loro pietrosi labirinti di strade ed edifici; con le loro donne schiave delle convenzioni, incapaci di sognare altra sorte rispetto a quella toccata loro nel mondo in cui sono state gettate, istiganti la voglia di batterle e godere di loro, e quelle, invece, che sono stregonesse la cui bocca è il miracolo di un fiore superbo sbocciato in una pietra vulcanica, benedette dai doni della Luna, ispiranti il desiderio di lentamente morire sotto il loro sguardo; con la contrapposizione tra una santa carità e una mediocre e borghese pietà verso i poveri - dagli occhi enormi, spalancati come porte, occhi supplichevoli e lacrimosi, occhi indimenticabili che manderebbero all'aria i troni se lo spirito sconquassasse la materia - e i loro buoni cani, verso tutti gli indeboliti, rovinati, intristiti e orfani; con i loro odori di tabacco e di frittura che è come l'incenso della festa, i colori accesi, i pannelli luminosi e le specchiere e i metalli e i tessuti e l'oreficeria e le ceramiche e le magnifiche batterie di pentole; con le loro folle e le solitudini; con le loro bizzarrie e il brulicare di mostri innocenti. Uno dei temi ricorrenti è, ovviamente, quello della noia, tratteggiata in un'infinità di tonalità e sfumature diverse: il tempo moderno, tiranno del mondo che regna su schiavi cui ordina di vivere e sudare, martirio cui si può sfuggire solo restando sempre ebbri, ubriacandosi senza tregua di vino, di poesia o di virtù, a piacere; l'eterno conflitto tra uno spleen che atterra e affonda e un'ideale che tenta d'innalzare e volare (ma può esso stesso divenire una mostruosa chimera che grava e fa camminare curvi), tra noia e sogno, entrambi produttori di energia da disperdere e consumare in scioperataggini, capricci, azioni per niente; l'orribile tedio origine di tutti i mali e dei miserabili progressi dell'umanità (il progresso, la perfettibilità, le grandiose idee del secolo); il pesante mostro da ammazzare, l'occupazione più giusta e quotidiana di ognuno.

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