In uno dei capitoli del suo Il Manga, corposo studio sulla storia e gli universi del fumetto giapponese, Jean-Marie Bouissou affronta la questione della morale nel manga.
Secondo l'autore, caratteristica dei protagonisti del manga è quella di seguire la propria via (dô) fino alla fine, qualunque cosa ciò possa costar loro, in un encomiabile accanimento verso la perfezione: «seguire la propria strada vuol dire obbedire a un'altra forma di morale universale che prescrive a ogni individuo di sapere chi è, di scegliere il proprio destino e, di conseguenza, di andare fino in fondo a ciò che questo implica».
Di conseguenza non è una netta distinzione tra il bene e il male il parametro morale adeguato a valutare l'etica nei manga, i cui eroi raramente sono tutti bianchi o tutti neri, presentando, invece, ognuno una certa parte d'ombra. L'unica figura, forse, che rappresenta senza ambiguità il male è, secondo Bouissou, il capo malvagio di una banda, in cui il male morale non risiede nella violazione di un comandamento trascendente, quanto piuttosto nell'incapacità individuale di riuscire a controllare il proprio ego. Il vero problema etico nel manga è, allora, quello della realizzazione di sé.
Due sono, secondo l'analisi dell'autore, gli itinerari principali messi in scena dal fumetto giapponese a tal riguardo: "seguire la propria strada" e "realizzare il proprio sogno". «Via e sogno rappresentano due risposte quasi opposte a una domanda essenziale che riguarda l'ordine del mondo: quella della realizzazione di sé e quella sul rapporto tra l'individuo e la comunità». L'eroe "da strada" non pretende affatto di mettersi al servizio del bene, la sua realizzazione non riguarda che lui, si tratta di un percorso solitario in cui l'eroe «deve assumere pienamente ciò che vuole essere, accettando di arrivare a eccessi che lo metteranno in disparte dalla comunità».
Se però si sopravvaluta la pur necessaria componente di "sforzo e sacrificio" e si snatura il principio che motiva l'eroe "da strada", ecco che la via si trasforma in sogno: «la realizzazione di sé si riduce all'acquisizione di un oggetto simbolico, di un'arte utile o di una posizione sociale gratificante». L'eroe "del sogno", spesso affrancato da figure genitoriali, vede compensata questa carenza parentale dalla sistematica presenza di una scuola o di un maestro: l'autorità del professore, la costituzione di una squadra, la competizione più o meno brutale compresa quella con gli amici, l'integrazione e la riproduzione della società, sono elementi archetipici delle storie e degli universi di cui sono protagonisti questi eroi.
Esiste tuttavia, conclude Bouissou, un terzo tipo di eroe, rappresentato da «uno spirito semplice e sincero, che si getta d'istinto nel combattimento per la giustizia, con un gran coraggio e una forza bruta che né calcoli né preoccupazioni di convenienza reprimono». Se l'eroe "da strada" non perseguiva altro che la propria perfezione, l'eroe "junjô" (questo il termine che indica un tale spirito) intende, invece, "guarire il mondo", restituire virtù a istituzioni pervertite e comunità disorientate. Diversamente dal riparatore di torti occidentale alla Robin Hood, questo eroe è di animo rozzo e si distingue «per la sua iconoclasta mancanza di conoscenza delle buone maniere, la sua cattiva educazione, i suoi appetiti spesso grossolani e la sua impulsività incontrollabile». Il "junjô" è il principio attivo dei bad boys, dei ragazzacci, delle canaglie, a cui una intatta «capacità di indignazione, il rifiuto dei compromessi e il disprezzo delle convenienze permettono di rimettere ordine nelle istituzioni sociali essenziali». A ben vedere, però, lo sguardo puro e semplice che essi rivolgono alla società si rivela fortemente conservatore.
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