Con Stato di legittima difesa, Simone Regazzoni prova a pensare la politica di Obama e la guerra al terrorismo al di là di ogni sterile panico libertario e di ogni critica alla guerra mossa da astratte posizioni pacifiste, riconoscendo al Presidente statunitense la capacità di "agire politicamente misurandosi con il reale del momento storico presente", di "rispondere a ciò che accade" anche a costo di dover "rompere con un certo orizzonte di sapere, di norme e di valori" decostruendo l'abituale discorso progressista e reinventando la democrazia. Questa reinvenzione passa attraverso l'elaborazione di un nuovo paradigma politico, giuridico e militare che l'autore chiama, appunto, stato di legittima difesa e che la cui articolazione comprende la dichiarazione di uno stato di emergenza, il rafforzamento del potere esecutivo, l'uso della forza letale (nella forma privilegiata dell'omicidio mirato, eventualmente anche preventivo) contro un nemico assoluto (Carl Schmitt) che deve essere annientato in una guerra apparentemente permanente.
A meno di non giudicare il terrorismo una strategia di lotta legittima, argomenta Regazzoni, non è possibile attribuire al terrorista la qualifica di combattente per la libertà (freedom fighter); gli spetta, piuttosto, quella di nemico combattente (enemy combatant) o combattente illegittimo (unlawful combatant) o ancora nemico combattente non privilegiato (unprivileged enemy belligerant), designando in ogni caso il suo statuto come al di là del civile e del militare. È necessario, invece, abbandonare una certa cultura delle scusanti e delle giustificazioni tipica degli anni Sessanti e Settanta e riconoscere il terrorista quale "minaccia assoluta" e "male assoluto", quale "nemico trascendentale della democrazia", perché "incorpora in sé lo spettro del weapons of mass destruction", dell'arma terrificante che viene dall'avvenire, lo spettro del peggio a venire (Jacques Derrida), perché "minaccia la democrazia in quanto spazio di apertura all'Altro". Per annientare un tale nemico assoluto occorre "una guerra legittima di difesa ossessionata dallo spettro della distruzione totale a venire" (ossessione e forse una certa paranoia che non sono mali ma spinte immunitarie della democrazia); guerra che possiede la qualità ideale di essere perpetua, di non poter essere vinta e perciò di non dover essere mai terminata (Peter Sloterdijk), così da decostruire l'opposizione tra guerra e pace.
La forza letale-vitale di legittima difesa che tale guerra dispiega dispone di non convenzionali ma necessarie e appropriate strategie quali la prevenzione contro minacce imminenti e future (pre-emption e prevention), l'attacco anticipato (strike first, anticipatory attack), la pianificazione su larga scala e lungo periodo delle operazioni di omicidio mirato (targeted killing, kill list).
Ora che la banalità del male di cui parlava Hannah Arendt appare come nuovamente invertita (Slavoj Žižek), Obama per Regazzoni è quindi "il nome di questa forza letale-vitale di legittima difesa della democrazia, di questa forza della democrazia che dà il meglio di sé facendo appello al proprio rimosso" (cioè l'uso della forza letale, una forza crudele e disumana ma al contempo giusta), di questa forza che non è "un fenomeno transitorio legato a una situazione di emergenza ma l'invenzione di un nuovo paradigma della democrazia".
Il rimosso che ritorna con Obama è anche quello della giustizia come vendetta, riparazione di un torto, momento catartico: torna quello "spettro che ossessiona il potere americano" che è la pulsione eroica che minaccerebbe la democrazia. Questa riattualizzazione "di una certa forma di violenza - al contempo assolutamente crudele e giusta - incarnata nella figura del giustiziere", porta Regazzoni a trattare nell'ultimo capitolo del suo saggio la trilogia che Christopher Nolan ha dedicato a Batman, il Cavaliere Oscuro (Dark Knight), saga cinematografica assillata proprio dallo spettro del peggio a venire, dell'imminenza "di un avvenire peggiore di tutto quello che è già accaduto".
Il rimosso che ritorna con Obama è anche quello della giustizia come vendetta, riparazione di un torto, momento catartico: torna quello "spettro che ossessiona il potere americano" che è la pulsione eroica che minaccerebbe la democrazia. Questa riattualizzazione "di una certa forma di violenza - al contempo assolutamente crudele e giusta - incarnata nella figura del giustiziere", porta Regazzoni a trattare nell'ultimo capitolo del suo saggio la trilogia che Christopher Nolan ha dedicato a Batman, il Cavaliere Oscuro (Dark Knight), saga cinematografica assillata proprio dallo spettro del peggio a venire, dell'imminenza "di un avvenire peggiore di tutto quello che è già accaduto".
Il saggio di Regazzoni ha l'audacia di pensare tutto ciò, di non limitarsi a criticare la guerra. Regazzoni ha l'indubbio merito di non essere un pensatore pusillanime, di non cercare nel politicamente corretto l’alibi perfetto per nascondere l'assenza di coraggio necessario a farsi carico di pensare un fenomeno come la guerra al terrorismo nella sua dimensione perturbante.
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