Un po' di saggistica in questo mese di nuovo inizio universitario.
Un primo, brevissimo e in definitiva trascurabile, Sono uno spettro ma non lo so di Sergio Benvenuto, un testo senza particolari ed evidenti difetti ma anche un'esperienza di lettura né particolarmente interessante né esteticamente gradevole sulla figura filosofica, simbolica e cinematografica del fantasma e del non morto. Peccato, speravo in qualcosa di più.
Il secondo è, invece, l'ultimo lavoro di Umberto Curi, L'apparire del bello. Il bello nell'antichità classica (da Omero e i lirici ai filosofi quali Platone, Aristotele e Plotino) è, più che un valore estetico e l'oggetto quindi di una specialistica disciplina, un complesso, non univoco, ossimorico e paradossale ideale di eccedenza più che di presenza, di esperienza straordinaria, di chiamata a valicare un limite, di convocazione oltre le mura di "casa" delle condizioni materiali di vita, di itinerario di mutamento in cui si fondono al bello anche il vero e il virtuoso, di improvviso lampeggiamento e irruzione di un orizzonte altro e meraviglioso/traumatizzante cioè tremendo.
Nell'antichità, del resto, mi ci sono iniziato a (re)immergere parecchio in questo mese, e non potrà che continuare così.
Due "scurrili" commedie di Aristofane, Gli Acarnesi e Le vespe, contro la guerra e contro il potere fintamente democratico che facendo sgranocchiare briciole al popolo lo rende contento e non solo si conserva ma lo asserve.
Il dialogo di Platone Gorgia, con il fantastico multiplo parallelismo tra legislazione e giustizia (che politicamente mantengono il benessere dell'anima e ne correggono i mali) e sofistica e retorica, che rispetto alle prime sono come le seduttive e adulatorie cosmesi e culinaria rispetto alla reale e positiva cura del corpo che compete a ginnastica e medicina; ma anche con la straordinaria figura di Callicle, la sua moderna teoria della naturale morale dei forti e migliori piegata dalla legge della moltitudine dei deboli, il suo spiattellare in faccia al solito Socrate i suoi volgari sofismi efficaci solo perché chi dialoga con lui si vergogna di dire ciò che pensa e perciò cade in contraddizione.
Su Socrate e Platone, e proprio sul Gorgia e il Protagora, il saggio di Georgia Zeami e Francesca Presti Daimonicità del lògos, che presenta la mostruosa e demoniaca figura di Socrate, insieme e a un tempo educatore, amante, aperto dialogante, ma anche sapiente e rigido maestro di virtù, nel quale quindi aleggia lo spettro dell'intellettualismo e del moralismo.
Un primo, brevissimo e in definitiva trascurabile, Sono uno spettro ma non lo so di Sergio Benvenuto, un testo senza particolari ed evidenti difetti ma anche un'esperienza di lettura né particolarmente interessante né esteticamente gradevole sulla figura filosofica, simbolica e cinematografica del fantasma e del non morto. Peccato, speravo in qualcosa di più.
Il secondo è, invece, l'ultimo lavoro di Umberto Curi, L'apparire del bello. Il bello nell'antichità classica (da Omero e i lirici ai filosofi quali Platone, Aristotele e Plotino) è, più che un valore estetico e l'oggetto quindi di una specialistica disciplina, un complesso, non univoco, ossimorico e paradossale ideale di eccedenza più che di presenza, di esperienza straordinaria, di chiamata a valicare un limite, di convocazione oltre le mura di "casa" delle condizioni materiali di vita, di itinerario di mutamento in cui si fondono al bello anche il vero e il virtuoso, di improvviso lampeggiamento e irruzione di un orizzonte altro e meraviglioso/traumatizzante cioè tremendo.
Nell'antichità, del resto, mi ci sono iniziato a (re)immergere parecchio in questo mese, e non potrà che continuare così.
Due "scurrili" commedie di Aristofane, Gli Acarnesi e Le vespe, contro la guerra e contro il potere fintamente democratico che facendo sgranocchiare briciole al popolo lo rende contento e non solo si conserva ma lo asserve.
Il dialogo di Platone Gorgia, con il fantastico multiplo parallelismo tra legislazione e giustizia (che politicamente mantengono il benessere dell'anima e ne correggono i mali) e sofistica e retorica, che rispetto alle prime sono come le seduttive e adulatorie cosmesi e culinaria rispetto alla reale e positiva cura del corpo che compete a ginnastica e medicina; ma anche con la straordinaria figura di Callicle, la sua moderna teoria della naturale morale dei forti e migliori piegata dalla legge della moltitudine dei deboli, il suo spiattellare in faccia al solito Socrate i suoi volgari sofismi efficaci solo perché chi dialoga con lui si vergogna di dire ciò che pensa e perciò cade in contraddizione.
Su Socrate e Platone, e proprio sul Gorgia e il Protagora, il saggio di Georgia Zeami e Francesca Presti Daimonicità del lògos, che presenta la mostruosa e demoniaca figura di Socrate, insieme e a un tempo educatore, amante, aperto dialogante, ma anche sapiente e rigido maestro di virtù, nel quale quindi aleggia lo spettro dell'intellettualismo e del moralismo.
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