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mercoledì 27 gennaio 2016

la filosofia in africa

Tra le Filosofie nel mondo raccolte nel volume a cura di Virgilio Melchiorre, mi sono innanzitutto immerso in quella africana indagata e raccontata da Lidia Procesi. Le prime forme di una filosofia africana vedono i vinti, i colonizzati, ribellarsi contro la superba, impudente, spudorata razionalità della filosofia occidentale, che - in barba ai suoi stessi principi - si è imposta nel nome della legge del più forte, e con orgoglio nero rivendicare un primato a quella presunta irrazionalità cui i bianchi li hanno ridotti, traendone un nuovo principio esistenziale: la forza vitale. All'inerte cogito si sostituisce il salto, la danza, all'esangue sum l'intenso vivo ("danzo dunque vivo"), alla ragione ellenica l'emozione negra: questi i valori che definiscono la négritude. Per ottenere un riconoscimento di umanità il vinto ha accettato di dichiararsi irrazionale, rinunciando a quella ragione che contraddistingue gli uomini e lasciandola in appannaggio esclusivo al vincitore. Così, però, egli si consegna a lui nel momento stesso in cui ostenta la sua ribellione, porta a compimento la negazione di cui è vittima rileggendo come qualcosa che provenga da se stesso, come giudizio favorevole su se stesso, proprio ciò che l'altro ha scritto per marcare la distanza insuperabile che pone il Nero ai confini dell'umanità: nel confermare la rappresentazione ideologica dell'Europa coloniale l'africano si fa schiavo che collabora con il suo oppressore e aggrava la sua stessa servitù, legittima il saccheggio dell'Africa e mina l'autostima dei popoli già colonizzati, confermando implicitamente la missione civilizzatrice che l'Occidente si è auto-attribuita. 
Se qualcosa la negritudine deve essere, invece, deve essere la memoria vigilante e la presenza attiva di una comunità identificata a plasmata dalle deportazioni e che ha ripreso fermamente il suo destino, sulle macerie delle culture assassinate e nel ricordo delle antiche fedi; deve essere il nemico irriducibile delle definizioni universaliste care all'Europa, dei pregiudizi e presupposti che conducono a una rigida gerarchia; deve essere una rivolta contro il riduzionismo europeo, la tendenza istintiva di una sola civilizzazione a pensare l'universale a partire dai suoi postulati e tramite le sue proprie categorie.
Un'altra forma storicamente assunta dalla filosofia in Africa è stata quella della ricerca di una filosofia collettiva, immutabile, comune a tutti gli africani, sebbene in forma inconsapevole; ma tale ricerca è puramente immaginaria, elabora una visione del mondo implicita e inespressa che non esiste in realtà in nessun luogo e che è dettata dall'ansia di riconoscimento da parte della cultura europea. La dispersione storica delle genti africane ha generato un'africanità plurale e dinamica, in costante rielaborazione, per cui l'identità africana è nel suo fondo una vera diaspora. L'esaltazione della Black Personality è un'illusione come le négritude. Archiviata l'illusione di una qualche saggezza collettiva, bisogna confrontarsi con i singoli pensatori e con le specifiche culture e, soprattutto, cessare di soccombere all'imposizione delle lingue europee, dimostrandone l'inadeguatezza rispetto alle categorie del pensiero africano: l'epistemologia e la linguistica filosofica implicano questioni etiche, sociali e politiche.
Un esempio di ciò è dato dal termine ubuntu, forma astratta di umuntu, umanità: esso, però, non indica l'idea generica di umanità ma la liberalità e si presta perciò a rappresentare una quintessenza dell'assiologia africana come etica della fratellanza - versione contemporanea e del tutto originale delle rivendicazioni identitarie e dell'orgoglio nero della Black Personality e della négritude. Ubuntu incorpora le nozioni di una coscienza africana collettiva e della fratellanza universale degli africani; il suo valore include il condividere, il trattare gli altri da essere umani, l'empatia, il calore, la sensibilità, la comprensione, la cura, il rispetto, la pazienza, la reciprocità, la comunicazione - l'idea che una persona è persona grazie alle altre persone (principio sempre anticartesiano, ma nella forma "io sono perché noi siamo"), la dedizione e generosità di ciascuno verso l'intera comunità e della comunità verso i suoi membri (chi è dotato di liberalità è un uomo e la sua mancanza è un abominio che esclude dal consorzio umano). 
Un esercizio di tale principio si è avuto nella politica di riconciliazione attuata in Sudafrica per superare gli orrori dell'apartheid, con la Truth and Reconciliation Commission: per ripristinare le norme e l'equilibrio in una società deturpata da crimini contro l'umanità, occorre un duro processo di catarsi collettiva che comporta l'ammissione e la confessione da parte di responsabili e complici, e il perdono degli offessi che restituisca qualità di uomo ai colpevoli.
Non esiste una filosofia negro-africana, si può parlare solo di filosofie negro-africane, pluralità connessa alla storia africana che non ha unità né di luogo né di tempo. Filosofie africane e filosofie occidentali non sono identiche ma ineguali, sono distinte ma eguali.

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