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sabato 31 maggio 2025

(altri) libri letti questo mese - maggio 2025

Questo mese sono riuscito a scrivere poco o nulla - anche per i tanti pomeriggi passati a scuola tra collegio docenti, ricevimento generale delle famiglie, corsi di formazione sul gioco strutturato nella sua pratica educativa quotidiana e sul fare storia mediante il gioco e i mattoncini. Ma il post che raccoglie, in ordine crescente di preferenza, le letture mensili che non sono state oggetto di specifici post non poteva mancare.

Opera prima di  Hiroko Oyamada, La fabbrica ritrae il titanico ecosistema della vita lavorativa moderna, in cui l'esistenza umana sembra naufragare. La fabbrica è grande, grigia e assomiglia in tutto e per tutto a una vera e propria città, con un ponte a due corsie, un servizio di autobus e una propria compagnia di taxi, vetture e furgoni con il suo celebre logo che percorrono tutti i giorni le strade dei dintorni, e non vi è genitore che non auguri ai figli una brillante carriera alle sue dipendenze. Per la giovane Yoshiko, fresca di laurea, l’assunzione nella fabbrica rappresenta di certo un sogno che si realizza, e poco importa che il lavoro le venga pagato a ore, sia a tempo determinato e preveda un’unica mansione: azionare una macchina distruggi documenti per tutto il giorno, in qualità di membro della cosiddetta «Squadra distruttori». Per il briologo esperto in muschi Yoshio il salto di qualità è evidente: da ricercatore precario di una università di provincia a dipendente a tempo indeterminato nella famosa azienda in cui, a detta del suo professore, tutti i migliori laureati del paese sognano di entrare. E così Yoshio si ritrova a dirigere l’ufficio «sviluppo tetti verdi» del Reparto nuove soluzioni ambientali, che nemmeno esisteva prima del suo arrivo. L’assunzione nella fabbrica pare provvidenziale anche per Ushiyama, che lavorava come tecnico informatico per una piccola ditta prima di essere licenziato in tronco e senza spiegazioni: ora lavora come correttore di bozze al Reparto dati e documenti della fabbrica, ha a che fare solo con fogli di carta, penne e matite e ancora non ha capito se deve ritenersi fortunato. Tre giovani vite dedicate a una liturgia, il lavoro nella fabbrica, che, come un servizio di culto dovuto a un dio sconosciuto, governa il loro tempo. Che cosa produce, infatti, la fabbrica? Ed esiste ancora un mondo oltre i suoi confini?

Con Il giardino magico, Kaho Nashiki omaggia i giardini segreti dell’infanzia di ognuno e incoraggia i lettori a affrontare le proprie ferite, accettarle e convivere con esse. L'ambientazione è costituita da una grande villa in stile occidentale - dove erano vissuti i Burness prima di tornare in Inghilterra allo scoppio della Seconda guerra mondiale -, nel parco, ormai abbandonato, della quale avevano giocato generazioni di bambini. Una di loro, Terumi, è ora un’adolescente in conflitto con i genitori. La sua famiglia è stata colpita da una tragedia difficile da superare e lei ha trovato rifugio nei racconti del nonno di un’amica. Ma anche le storie più incredibili hanno un fondo di verità, e Terumi è venuta a conoscenza dell’esistenza di un giardino segreto a cui si può accedere pronunciando una formula magica davanti a un antico specchio di villa Burness. Ha quindi inizio la sua avventura in un mondo fantastico strettamente intrecciato alla realtà che la porterà a scoprire la verità sulla sua famiglia e su se stessa.

I Nove racconti di J.D. Salinger mostrano lo humor, la spietatezza, la grazia e la tragica amarezza del loro autore. Il loro punto di partenza è il "parlato" più colloquiale e modulato sulle effimere cadenze della moda. Per Salinger solo i bambini e chi ha vissuto l'orrore della guerra è vicino alla verità. Il dialogo dei bambini è una finestra su una realtà diversa e vertiginosa. Ma anche una conversazione pomeridiana tra amiche o la telefonata di un uomo che è a letto con una donna non sua diventano occasioni di poesia, nutrita di grande pietà umana.

Con Missitalia Claudia Durastanti consegna un romanzo in cui la geografia prevale sulla storia. Nella Lucania, infatti, ambienta tre storie di epoche diverse, in cui il paesaggio è lo stesso ma le vicende sono profondamente dievrse e slegate. Amalia Spada è un’avventuriera lontana dai tumulti che agitano la nazione che sta per nascere: donna dallo spirito irrequieto e temerario, vive in una casa tra i calanchi lucani diventata un rifugio per creature diseredate e ribelli in cerca di una nuova vita, per ragazze selvatiche e uomini dalla forza mozzata. Quando arriva l’industrializzazione, la fabbrica piomba nelle loro vite come un oscuro oggetto del desiderio, mutandone per sempre il destino. Negli anni del dopoguerra e della corsa all’energia, una giovane antropologa di nome Ada esplora la Basilicata del sortilegio e del petrolio mentre scopre diverse incarnazioni dell’amore: muovendosi tra centri di potere e impianti d’estrazione, Ada si ritrova invischiata in un Sud perturbante e magnetico che rivoluziona il corso della sua esistenza. Cento anni più tardi, la Lucania è diventata la base per la colonizzazione della Luna, da cui partono le navicelle dell’Agenzia Spaziale Mediterranea dirette al Mondo Nuovo. In questo insediamento avveniristico, si trova A, una donna solitaria e libera che ridà vita a oggetti non più desiderati per conto dell’Agenzia, donna nel cui passato c’è stato un marito, ma anche il bisogno di andare lontano, e nel cui presente c'è la voglia di conciliarsi con l’idea della fine.

Un grande appassionato di gialli è il protagonista della serie di Piergiorgio Pulixi il cui primo volume è La libreria dei gatti neri. Questo - o, meglio, Les Chats Noirs, omaggio anche ai due gatti neri che un giorno si sono presentati in negozio e non se ne sono più andati, da lui soprannominati Miss Marple e Poirot - il nome della piccola libreria specializzata in romanzi polizieschi che Marzio Montecristo ha aperto da qualche anno nel centro di Cagliari. Nonostante il brutto carattere del proprietario, la libreria è molto frequentata, ed è Patricia, la giovane collaboratrice di Montecristo, di origini eritree, a salvare i clienti dalle sfuriate del titolare. La libreria ha anche un gruppo di lettura, “gli investigatori del martedì”, un manipolo di super esperti di gialli che si riuniscono dopo la chiusura per discettare del romanzo della settimana. È una banda mal assembrata ma molto unita, di cui Marzio è diventato l’anima, suo malgrado. Un anno prima il gruppo si è dimostrato capace di aiutare una vecchia amica di Montecristo, la sovrintendente Angela Dimase, a risolvere un vero caso da tutti considerato senza speranza, amica che ora torna a chiedere la loro collaborazione per un’indagine che le sta togliendo il sonno: un uomo incappucciato si è presentato a casa di una famiglia, ha immobilizzato due coniugi e il loro figlioletto e ha intimato all’uomo di scegliere chi doveva morire tra la moglie e il figlio, e se non avesse deciso entro un minuto, li avrebbe uccisi tutti e due. Il sadico killer viene presto soprannominato «l’assassino delle clessidre», visto che sulla scena del crimine ne lascia sempre una. Riusciranno gli improbabili “investigatori del martedì” a sbrogliare anche questo caso?

La donna della mansarda è il sesto caso del commissario Arcadipane e di Corso Bramard, i personaggi di Davide Longo, ma è il primo suo romanzo che leggo. Nell'ottobre del 2013, a Torino una donna di trentasette anni scompare senza lasciare tracce. Niente di clamoroso, se la donna in questione non fosse stata Tina, pittrice di fama internazionale che da tempo viveva rinchiusa nel suo appartamento-studio all'interno della Prora, il bizzarro palazzo progettato dal bisnonno architetto. Quando il caso viene archiviato come allontanamento volontario, Muriel Gallirossi - agente, confidente e tuttofare di Tina - si rivolge a Bramard: è sicura che l'amica sia stata assassinata. Corso sa che le indagini sono state approfondite e che il presunto responsabile ha un alibi di ferro, eppure - nemmeno lui saprebbe dire perché, forse a turbarlo sono i quadri di Tina, forse la bellezza di Muriel - decide di parlarne con Arcadipane.


A Trieste Marco Balzano ambienta il suo romanzo Bambino. La Seconda guerra mondiale è appena finita, un uomo beve un caffè al bancone del bar, qualcuno lo chiama, lui si gira ma sente già la canna di una pistola puntata contro la schiena. Tutti lo conoscono come «Bambino»: è stato la camicia nera più spietata della città, ha ucciso e fatto uccidere, ha sempre cercato di stare dalla parte del più forte e si è sempre ritrovato dalla parte sbagliata. Una romanzo storico e civile, una storia veloce quanto un proiettile che attraversa guerre, confini, tradimenti, che indaga il rapporto tra individuo e collettività, tra le scelte personali e i grandi rivolgimenti della Storia, e con un personaggio duro. Mattia nasce a Trieste nel 1900, la sua infanzia irrequieta, forse, è già un presagio: un fratello che parte per l’America, un amico che presto lo abbandona. Quando scopre che la donna che lo ha cresciuto non è la sua vera madre, dentro di lui qualcosa si spezza e nel petto divampa un fuoco freddo che non saprà mai domare. L’ingresso tra le file degli squadristi è una conseguenza quasi naturale. Nonostante il soprannome che gli hanno affibbiato per il suo viso da fanciullo, «Bambino», Mattia ostenta una ferocia da boia. Ma prima ancora dell’ideologia, prima della violenza e della brutalità antislava, il motivo per cui indossa la camicia nera e batte palmo a palmo le terre contese è la speranza di ritrovare quella madre senza nome né volto. La ricerca di una donna che non ha mai conosciuto diventa il senso di tutto. Suo padre, un vecchio orologiaio sicuro che le persone si possano riparare come gli ingranaggi, è l’unico a conoscere la verità ma la tiene sigillata in un silenzio blindato quanto una cassaforte. Nella frontiera d’Italia più dilaniata, la vita di Mattia scivola su un piano inclinato: ogni giorno una nuova spedizione, un nuovo assalto, una nuova rapina. E poi, tutto d’un fiato, lo scoppio della guerra, i nazisti in città, l’occupazione jugoslava di Trieste, le foibe. Un’esistenza vissuta da cane sciolto, scandita da un implacabile conto alla rovescia. Un romanzo palpitante in cui il giudizio - anche di fronte alle azioni più estreme - è sempre fuori scena. 

Il buio oltre la siepe - ovvero To Kill a Mockingbird - è il classico di Harper Lee in cui l'avvocato Atticus Finch è incaricato della difesa d'ufficio di un afroamericano accusato di aver stuprato una ragazza bianca, il tutto in una sonnolenta cittadina del profondo Sud degli Stati Uniti. Riuscirà a dimostrarne l'innocenza, ma l'uomo sarà ugualmente condannato a morte. Intorno a questo episodio centrale, è costruito un affresco colorito e divertente della vita nel Sud ai tempi delle grandi piantagioni di cotone, dei braccianti neri che le coltivavano, delle cuoche di colore che allevavano i figli dei discendenti delle grandi famiglie dell'Ottocento, della white trash, i "bianchi poveri" abbrutiti e alcolizzati, e anche delle sentenze sommarie di giurie razziste e degli ultimi linciaggi americani della storia. La voce narrante è quella della piccola Scout, la figlia di Atticus, una Huckleberry Finn in salopette (dire "in gonnella" sarebbe inesatto, perché Scout è una maschiaccia impertinente e odia vestirsi da donna) che, ora sola ora in compagnia del fratello maggiore e del loro amico più caro, racconta la storia di Maycomb, Alabama, della propria famiglia, delle pettegole signore della buona società che vorrebbero farla diventare una di loro, di bianchi e neri per lei tutti uguali, e della vana battaglia paterna per salvare la vita di un innocente.
Aggiungo qui anche Va', metti una sentinella, seguito del romanzo di Harper Lee, in cui la ventiseienne Jean Louise "Scout" Finch  torna a casa da New York per visitare l'anziano padre, Atticus. Ambientato sullo sfondo delle tensioni per i diritti civili e il trambusto politico che negli anni cinquanta stanno trasformando il Sud degli Stati Uniti, questo ritorno assume un sapore agrodolce quando "Scout" viene a sapere verità inquietanti sulla sua famiglia, sulla cittadina e sulle persone che le sono più care. Questo ritorno è però estremamente deludente dal punto di vista della lettura, fatto da ricordi dell'infanzia giustapposti alla narrazione che sembrano solo parti espunte o non utilizzate del primo romanzo, e da personaggi che, più che essere compresi in modo più completo, appaiono quasi stravolti rispetto a quello che erano.

mercoledì 30 aprile 2025

(altri) libri letti questo mese - aprile 2025

Per tutti i libri di cui non ho parlato in specifici post, c'è spazio qui in questa sintesi delle (altre) letture del mese. In ordine crescente di gradimento.

Uomini che fanno la guerra, si incazzano, diventano furiosi, litigano, sono gelosi, minacciosi, e usano la forza in modo esplicito, picchiando, violentando. Ma sono anche violenti in modo piú moderno, quindi occultato, passivo: sono lamentosi e recriminatori, e finiscono per soffocare le donne in altro modo. Sono i personaggi dei romanzi presentati da Francesco Piccolo nel saggio Son qui: m'ammazzi, racconto e indagine appunto su tredici personaggi maschili della letteratura italiana, che, secondo l'autore, sono entrati nelle nostre vite e hanno segnato in maniera indelebile il nostro immaginario, contribuendo a legittimare il mito della maschilità e la cultura virile. Ovvero, le opere chiave della nostra letteratura hanno in qualche modo contribuito a consolidare una certa idea di maschio, e in esse ci sono le tracce di uomini potenti, arroganti, violenti, egoisti e famelici. A partire dalle fondamenta, dalla settima novella dell'ottava giornata del Decameron, in cui Boccaccio mette in scena la spietata vendetta del giovane scolaro Rinieri, che sbeffeggiato e rifiutato da una avvenente vedova la punisce facendo in modo che non possa piú vantare la propria avvenenza - la morale: se si ferisce il maschio non è pena affatto ingiusta essere sfregiate a vita. E poi le peripezie matrimoniali di Zeno di cui scrive Svevo, uno Zeno Cosini arrogante e fragile al tempo stesso, irrazionale che si finge ponderato, ma soprattutto, come ogni uomo che si rispetti, tarlato dal desiderio, che una volta piantato in testa non schioda piú e fa compiere i gesti piú sciocchi e sconsiderati. E poi ancora, l'innominato di Manzoni, il Principe di Salina di Tomasi di Lampedusa, 'Ntoni di Verga, l'Antonio di Brancati, il Milton di Fenoglio e altri maschi, tutti sempre uguali a se stessi, vigliacchi e furiosi, gelosi e violenti, al centro di romanzi che hanno costruito il canone della letteratura italiana. Perché chi siamo ha a che fare con la famiglia, l'educazione, il mondo dove si cresce, ma anche con i libri che si sono letti.
Un po' troppo semplicistica e generalizzante, però, la tesi che questi racconti semplicemente corrispondano a quello che siamo.

Due morti apparentemente inspiegabili, una seteria in cui niente è come sembra, una donna alla ricerca della verità, rappresentano il punto di partenza de La fabbrica dei destini invisibili di Cécile Baudin. Le sirene delle seterie scandiscono la vita dell’Ain, una delle tante regioni che hanno cambiato volto dopo la Rivoluzione industriale. Eppure, fuori dei ritmi regimentati della fabbrica - che grazie alle nuove leggi sul lavoro garantisce salari migliori e orari più umani -, ci sono ancora centinaia di donne che vengono sfruttate nelle soffitte delle case, dove si fila sino a tarda ora alla luce incerta di una candela. È proprio per difendere i diritti di queste giovani invisibili se Claude Tardy è diventata ispettrice del lavoro. Una professione nuova e ancora tutta maschile, al punto che, per poterla svolgere, spesso Claude è costretta a indossare vestiti da uomo. Come la fredda sera di dicembre del 1893 in cui viene chiamata a indagare sulla morte sospetta di un operaio, trovato impiccato agli stessi fili metallici su cui si spezzava la schiena durante il giorno. E la faccenda si complica tre mesi dopo, quando dalle acque di un lago emerge il cadavere di un altro operaio. Due morti che non avrebbero nulla in comune, se non fosse che le vittime si somigliano come gocce d’acqua e sembrano in qualche modo legate a un convitto di religiose, dove le giovani operaie delle seterie sono ospitate fino al giorno del matrimonio. Ed è qui che la strada di Claude incrocia quella di suor Placide, che da mesi aspetta notizie di una ragazza scomparsa all’improvviso. A poco a poco, le due donne si rendono conto che le loro ricerche sono collegate e che solo unendo le forze potranno fare luce su una brutale realtà sommersa che coinvolge uomini potenti e pericolosi. Una realtà che in troppi hanno sempre finto di non vedere, per paura o per avidità.

Gifts. Doni, primo volume di Annals of the Western Shore di Ursula K. Le Guin. Nelle aspre e selvagge Altelande, vivono uomini che possiedono un dono, dono che è tramandato attraverso le generazioni, per via ereditaria, fin da quando se ne ha memoria. Sono doni meravigliosi, che permettono di evocare animali e mutare paesaggi, ma che possono essere anche terribili perché possono ottenebrare le menti o infliggere malattie. Orrec appartiene alla famiglia dei Caspromant, tanto famosa quanto temuta per il dono del disfacimento: un potere distruttivo, in grado di annientare qualsiasi cosa o persona, con la sola imposizione dello sguardo. All'età di tredici anni, però, il giovane ancora stenta a manifestarlo, ragion per cui il padre Canoc è molto turbato e c'è grande preoccupazione nel regno. Finché un giorno, all'improvviso, Orrec devasta un'intera collina senza volerlo, e prende l'amara decisione di bendarsi per sempre, per il timore di causare danni a ciò che ama di più, come la dolce Gry, compagna d'infanzia e forse sua futura sposa, anche lei dotata di un potente e magnifico dono. Ribellandosi ai loro destini, i due giovani affronteranno insieme le sfide della vita, per andare alla ricerca di loro stessi e del loro posto nel mondo.
Su potere, dovere e responsabilità: Per lui, il privilegio era un obbligo; comandare era servire; e il potere, il dono stesso, comportava una pesante perdita di libertà personale.

Un bell'affresco famigliare di desideri, solitudini e macerie senza fine, e al tempo stesso ritratto della contemporaneità, è Il giorno dell'ape di Paul Murray. La famiglia Barnes è nei guai: la concessionaria di Dickie, il padre, sta per fallire, ma lui, invece di affrontare la situazione, trascorre le giornate costruendo un bunker a prova di apocalisse; la moglie, Imelda, nel frattempo, si è messa a vendere i gioielli su eBay; la figlia maggiore, l'adolescente Cass, ex prima della classe, sembra voler sabotare la sua carriera scolastica; e PJ, il figlio dodicenne, sta allestendo un piano per scappare di casa. Che cosa è andato storto per i Barnes, al punto da mandare tutto in rovina? La coralità della narrazione, la somma dei punti di vista diversi che portano avanti - e indietro - la storia, forse permetterà di ricostruire e rintracciare il preciso inizio di tutto.

L'arte della gioia è un libro postumo di Goliarda Sapienza: giaceva da vent'anni abbandonato in una cassapanca e, dopo essere stato rifiutato da molti editori, venne stampato in pochi esemplari da Stampa Alternativa nel 1998. Ma soltanto quando uscì in Francia ricevette il giusto riconoscimento. Nel romanzo tutto ruota intorno alla figura di Modesta, una donna vitale e scomoda, potentemente immorale secondo la morale comune. Una donna siciliana in cui si fondono carnalità e intelletto. Modesta nasce in una casa povera ma fin dall'inizio è consapevole di essere destinata a una vita che va oltre i confini del suo villaggio. Ancora ragazzina è mandata in un convento e successivamente in una casa di nobili dove, grazie al suo talento e alla sua intelligenza, riesce a convertirsi in aristocratica attraverso un matrimonio di convenienza. Tutto ciò senza smettere di sedurre uomini e donne di ogni tipo. Amica generosa, madre affettuosa, amante sensuale, Modesta è una donna capace di scombinare ogni regola del gioco pur di godere del vero piacere, sfidando la cultura patriarcale, fascista, mafiosa e oppressiva in cui vive. Opera certamente scandalosa, erotica e politica, romanzo d'avventura e di formazione.
È il pieno possesso delle emozioni e la conoscenza suprema di ogni attimo prezioso che la vita ti concede in premio se hai polso fermo e coraggio. Ora so il senso profondo della libertà e della gioia, della tua arte mi sono impossessata, e solo gioia essa sarà da oggi per me.

Libro a sorpresa del mese, un testo a lungo cercato e tornato disponibile solo un anno fa, la raccolta di saggi dopo Heidegger scritti da Peter Sloterdijk negli anni Novanta e usciti con il titolo di Non siamo ancora stati salvati, replica appunto alla tesi heideggeriana - sostenuta nella sua ultima intervista rilasciata alla stampa - per cui «solo un dio ci può salvare». In questa serie di testi il filosofo tedesco risponde in modo ironico che non solo non siamo stati ancora salvati, ma che non lo saremo. L’essere umano non è altro che quel particolare animale che crea forme di addomesticamento reciproco, chiamate “culture”, rispetto alle quali non c’è alcun “fuori” a cui chiedere una qualche forma di salvezza. Nessun dio può infrangere il nostro destino di animali sapiens. Questa è la tesi feroce e disincantata che l’autore sostiene nel più provocatorio dei saggi contenuti nel volume, Regole per il parco umano. Clonazione, scoperte geografiche e coscienza delle macchine, umanismo e pessimismo, mostri e metafisica sono solo alcuni dei temi che attraversano i dieci saggi che compongono questo straordinario affresco di filosofia e storia della cultura contemporanea.
Leggere Sloterdijk è sempre straniante, illuminante, perturbante, gratificante, faticoso, estenuante, splendido, arricchente, ascetico.

venerdì 18 aprile 2025

è così difficile pensare di cambiare il mondo?

Se tanto mi piacciono i romanzi di Vanni Santoni, è probabilmente perché con l'autore - per questioni generazionali? di formazione? - condivido buona parte di immaginario e vocabolario. Così è anche per l'ultimo Il detective sonnambulo, che prende le mosse da una Parigi contemporanea in cui Martino, che se ne è andato dall'Italia come tanti, vaga senza grandi prospettive fino a quando incontra Johanna: capelli rosso fuoco - esattamente pantone 1807 che va in 1805 nei punti luce e in 188 nelle ombre -, magnetica e scostante, è giovane quanto lui eppure più matura e complessa, almeno ai suoi occhi. Si innamorano, ma è un amore reso difficile dalle continue scomparse di lei, che non sembra avere una sola vita ma molte, e negli ambienti più diversi. E tuttavia si amano, nella città scossa da manifestazioni e rivolte - come quella del romanzo Aliena di Phoebe Hadjimarkos Clarke, non da molto consiglio di lettura dello stesso Santoni -, fino a quello che per Martino è il collasso di un mondo: Johanna scompare di nuovo, ma stavolta non per un giorno o due. Scompare, e non si fa più vedere. Martino la cerca ovunque, come uno di quegli investigatori col trench dei vecchi film noir - -, mentre passano i giorni e le settimane - e finiscono i soldi -, finché incappa in un manifesto che mostra la foto di un ragazzo bellissimo ed elegante che scende da un jet privato e, dietro di lui, riconosce subito i capelli rossi e l'inconfondibile postura di Johanna. Il poster è stato affisso da Tanya, la leader di un gruppetto anarchico che sta conducendo una ricerca che è lo specchio della sua: vuole ritrovare il giovane della foto, un certo Manfredi Contini della Torre - o Zoro009, o D.Tor, o Della T. -, criptomilionario che ha fatto una misteriosa donazione al suo gruppo. Tanya e Martino uniscono le forze e si imbarcano in un'indagine che li porterà a inseguire in giro per l'Europa Manfredi e gli eccentrici progetti finanziati dal suo impero fondato sui bitcoin, fino a invischiarsi con lui e Johanna in un quadrilatero amoroso sempre più difficile da sbrogliare, e in un ambizioso progetto che riunisce attivismo politico, esposizioni artistiche, programmazione digitale.

Tanti gli interrogativi e le provocazioni del romanzo:

Statuette, pupazzi e gadget vari, personaggi di fine resina pitturata a mano, diorami di scene celebri di One PieceNarutoDragon BallDemon Slayer e altro, sono modi in cui hanno preso sostanza i sogni di adulti che non volevano diventare tali, o che volevano tornare indietro e continuare a sognare, ma più in grande?

È
 possibile prendersi il privilegio di dare un senso a se stessi, salvarsi attraverso la creazioneÈ possibile avere accesso a una realtà ulteriore, più intensa e imprevedibile e avventurosa, più epica rispetto all'inautenticità che prima e per lo più è la vita quotidiana? O avere almeno un grande epilogo - alla Dark Angel Saga della run di Uncanny X-Force scritta da Rick Remender?

Si può - e sarebbe bene, del resto - essere puri, o anche andare
oltre, appartenere a quel mondo, già in qualche modo alieno alla natura umana, che è dei pazzi, o dei bimbi, o degli angeli, dei santi? Si può essere - à la Nietzsche - generosi e ricchi di spirito, aperti al mondo come fontane, non impedendo a nessuno di attingere dalle nostre acque, e così, certo, nemmeno impedendo a chicchessia di renderci torbidi, gettando in noi i passanti le cartacce e le bottiglie, i piccioni la loro merda, ma lasciando che tutto ciò scenda giù, in profondità, e tornando a essere limpidi?

Piuttosto che prepper - quelli che si fanno il bunker in qualche isola, quelli che si preparano a vivere in un mondo morto - e lungotermisti - quelli che pensano già all'umanità del 10.000, alla colonizzazione di Marte, al postcorpo, alle individualità solo-digitali - non è preferibile pensare ai problemi di oggi? E se sì, dove sono allora le folle inferocite o individui che pensino in grande, cerchino una via, non abbiano smesso di immaginare un futuro? Si è entrati in un'era a ogni effetto escatologica, tutto sta andando giù per lo scarico del cesso, e 
si è perso il senso della ribellione? Possibile che a Firenze le venti famiglie più ricche, oggi, sono le stesse che erano le più ricche nel Quattrocento? Manca la visione, la mentalità, di cambiare il mondo?  È così difficile pensarlo? Sprima che nascessero i giovani protagonisti di questo romanzo, i giovani delle ultime generazioni, pure il più pulcioso degli studentelli con la chitarra a tracolla voleva cambiare il mondo, perché adesso neanche chi ha un portafoglio di miliardi osa covare un tale sogno? Tanti miliardari e neanche un Batman?  È normale che tali individui non si mettano manco a fare i mecenati, come nel Quattrocento? O è tutta una grande tristezza? Non dovremmo allora far intendere alla gente che il riccastro può essere fatto fuori, che i castelli dei riccastri possono essere stretti d'assedio, che si può, si deve, ricorrere alla violenza? Far capire alla gente che il vero nemico è quello nei palazzi (o nei castelli), e che è più vulnerabile di quanto non si creda?

Possibile che il più alto dei risultati dell'Occidente, con cui ha vinto la guerra fredda, sia lo sfoggio di merci, tutte disponibili, subito, tutte fresche, tutte pronte, tutte all'occhio, cornucopie di frutta, festonature di pesci e gamberi e calamari, panoplie di salamelle e chorizos? E che però, pure, la fine s'annuncia in quest'abbondanzanelle confezioni di plastica, in una scatola che dura cinquecento anni per qualcosa che consumiamo in cinque minuti?

Possibile che solo i grandi esempi smuovano la storia? Nuove i
dee che tirino fuori da uno stato di ottundimento, di sonnambulismo, possono attecchire solo se favorite più da catastrofi che da avvertimenti, occorrendo cioè una Warnkatastrophe, una catastrofe che serva da monito, un fenomeno abbastanza violento da indurre processi di apprendimento, ma non così devastante da riportare allo stato selvaggio?

Pongo tutto sotto forma di domanda, perché la grandezza di questo romanzo è anche quella di far abitare ai suoi protagonisti questi interrogativi, porre queste questioni, senza la pretesa di univoche risposte.

mercoledì 9 aprile 2025

il dilemma del porcospino (filosofia di evangelion 2di2)

Terza domanda: essere nel mondo. Se l'identità è fortemente caratterizzata dalla narrazione che facciamo di noi stessi, questa autonarrazione si arricchisce con l'esperienza dei racconti altrui che entra a far parte della propria biografia. Geniale, in questo senso, la metanarrazione dell'episodio 26: nel momento in cui Shinji si rende consapevole di essere simbolo e immagine narrativa che mostra agli altri, assume forme statiche diverse proprio a sottolineare come lui sia tutte quelle narrazioni che devono essere rielaborate in un unico stile che è il proprio stile.
Nella serie gli angeli sono una contro-narrazione, un racconto diverso che scava e sfida l'animo umano. Innanzitutto, mettono in crisi la certezza nel progresso, secoli di fiducia verso il quale sono dissolti di fronte a qualcosa di alieno. Poi, mentre tutti i protagonisti umani sono profondamente convinti di bastare a se stessi, gli angeli li costringono a collaborare, dimostrando che nessuno si salva da solo. E ancora, mettono in crisi la convinzione di poter proteggere la propria intimità. Ma gli angeli sono uguali all'uomo al 99,89%, il vero nemico in Evangelion è l'altro in tutte le sue forme e gli angeli non sono che un artefatto narrativo per esemplificare l'alieno, ciò che è assolutamente altro da me, il diverso per eccellenza. Il conflitto è prospettico, e si fonda sull'errata credenza che solo un punto di vista sia quello corretto: l'unico modo di uscire da questo conflitto è abitare l'ultima domanda.

Quarta domanda: risolvere l'intricato e delicato dilemma del porcospino. Tre sono le possibili soluzioni.
La fuga. L'A.T. Field - Absolute Terror Field - difende dagli altri grazie al terrore che provoca l'intimità. La solitudine è innalzata come muro difensivo che impedisce di essere alla mercé di chicchessia, proteggendo dal dolore. Ma non può essere questa la soluzione, poiché l'obiettivo principale è quello di scaldarsi insieme ai propri simili: fuggendo ci si preserva dal dolore della relazione solo per accettare una lenta morte per congelamento.
La compenetrazione. Dissolversi e unirsi per diventare una sola cosa. Si ottiene la cessazione del dolore ma non la felicità, solo il riposo della morte dell'io. Anche il ricongiungimento, quindi, come la fuga dal dolore, non è perseguibile, neanche questa seconda soluzione è soddisfacente, poiché è l'eliminazione del problema per mezzo della cessazione dei soggetti coinvolti. Si deve, invece, accettare la propria esistenza e, con essa, il proprio dolore per risolvere il dilemma del porcospino.
La coesistenza. Accettare la sofferenza generata dall'altro. Non è possibile risolvere il dilemma del porcospino senza che ci siano altri porcospini. La soluzione è affrontare il rischio e esporsi agli altri: superare il timore di essere ferito andando verso il prossimo e provando a aprire una soglia di felicità, vivere una vita piena di esperienze rischiando di essere feriti.

lunedì 7 aprile 2025

essere se stessi, essere per gli altri (filosofia di evangelion 1di2)

Di Fausto Lammoglia avevo già letto e apprezzato Filosofia di L'attacco dei giganti, un saggio popfilosofico che non è una lezione di filosofia in cui si studiano i grandi filosofi attraverso un prodotto della cultura pop, ma un dialogo con un prodotto di pop culture per fare insieme a esso e al lettore filosofia. Dello stesso tenore e valore si rivela anche questo appena uscito Filosofia di Neon Genesis Evangelion, che non spiega la filosofia attraverso la serie televisiva anime sceneggiata e diretta da Hideaki Anno e prodotta dallo studio Gainax - capolavoro denso e terribile quanto Essere e tempo di Martin Heidegger -, piuttosto fa attraversare al suo lettore domande profonde da abitare.

Prima domanda: essere se stessi. Partendo dall'imprescindibilità del corpo: Shinji e tutti i piloti non guidano gli Eva da remoto, ma entrano in simbiosi con la loro unità provando dolore fisico tanto da passare più tempo in ospedale che a bordo, e sotto la corazza delle unità Evangelion non ci sono cavi ma carne e sangue tanto che la loro vera natura è la loro animalità e fisicità. Shinji dovrà imparare da e con il suo corpo, riconoscere ciò che sente e prova, per potersi impossessare della sua persona, per imparare a essere se stesso. Rivelatore il fatto che le entry plug siano posizionate nella nuca e che il quinto chakra che connette anima e corpo sia proprio quello del collo (come avviene, del resto, anche in Attacco dei giganti, noto è il debito di stima che Isayama ha con l'opera di Anno).
Per essere se stessi è anche però necessario il riconoscimento attraverso l'altro - come ha chiaramente spiegato Hegel -, e infatti i piloti degli Eva cercano continuamente di essere riconosciuti come portatori di valore. Shinji, pur volendo continuamente fuggire, affronta le prove quali tentativi di recuperare un significato esistenziale agli occhi degli altri - quasi che implori preoccupatevi per me, prestatemi attenzione, siate gentili con me, abbiate cura di me. Asuka cerca di ottenere il suo posto nel mondo brillando in ciò che fa (a scuola, come pilota) e cercando di imporsi come donna (anche se così perde in partenza la sua possibilità di essere riconosciuta come persona poiché alla fine presenta se stessa come oggetto). 

L'incontro con l'altro diventa esperienza di limite e confronto, di revisione e ricostruzione della propria identità. E così la seconda domanda è: essere per gli altri. Come insegna il dilemma del porcospino presentato da Schopenhauer, è molto complesso trovare la distanza adeguata per poter essere se stessi insieme agli altri. La soluzione più semplice per essere riconosciuti sarebbe quella di assecondare l'altro, ma il rischio è così quello di non trovare una propria identità autonoma. Identificando se stessi con le aspettative altrui e sociali, con comportamenti culturalmente codificati, con funzioni strumentali ed etichette lavorative o legate al genere, si finisce per convogliare le energie vitali nella performatività, in modo da aderire quanto più perfettamente ad un ruolo, e ciò porta l'individuo pericolosamente vicino a esplodere o implodere, soverchiato dalla pressione sociale come spiega Marcuse. Si semplifica la vita, si rinuncia a scegliere per evitare le responsabilità che ne conseguono, ma si rimane ingabbiati in un'esistenza inautentica.
I piloti delle unità Eva fanno tutto ciò che fanno per essere riconosciuti e, di conseguenza, per riconoscersi. Convinti di non aver valore di per sé, i piloti trovano un loro significato nelle etichette che hanno ricevuto: l'Eva, la loro funzione, è tutto ciò che hanno, ossia tutto ciò che sono. Combattono per mettersi in mostra, per eccellere, per poter essere lodati, riducendo il loro essere alla loro funzione - ad eccezione di Toji che mostra invece una dimensione relazionale dell'esistenza e non prestazionale. Ma ridursi alla propria performatività, al bisogno di apparire e soddisfare una richiesta proveniente da altri, dissolve la possibilità di essere per sé, come spiega Sennett.
In fondo è tutta questione di distanze. Il cammino di Shinji è il tentativo di trovare un equilibrio tra l'isolamento e la dissoluzione negli altri; l'equilibrio necessario a non ferirsi senza per questo rimanere solo.

lunedì 31 marzo 2025

(altri) libri letti questo mese - marzo 2025

Anche questo mese una breve sintesi degli altri libri letti, sempre in ordine dal peggiore al migliore.

Il ragazzo di Annie Ernaux è il racconto da parte di una donna della sua relazione con un ragazzo di trent'anni più giovane, di un'avventura che a poco a poco si trasforma in una storia d'amore e diviene per la narratrice un viaggio nel tempo in cui il presente si mescola alla memoria dei rapporti passati e della propria esistenza sociale e sessuale.
Una miniatura di testo, forse poco più di un racconto, in cui i presunti impeto e scandalo della passione e del piacere non trovano alcuna capacità espressiva.

Altrettanto insignificante il romanzo di Vincenzo Latronico Le perfezioni, i cui protagonisti Anna e Tom sembrano avere una invidiabile vita: un lavoro creativo senza troppi vincoli, un appartamento a Berlino luminoso e pieno di piante, una passione per il cibo e la politica progressista, una relazione aperta alla sperimentazione sessuale e alle serate che finiscono la mattina tardi. Una quotidianità limpida e seducente come una timeline di fotografie scattate con cura. Ma fuori campo cresce una insoddisfazione profonda quanto difficile da mettere a fuoco: il lavoro diventa ripetitivo, gli amici tornano in patria, il tentativo di impegno politico si spegne in uno slancio generico. Gli anni passano, e in quella vita così simile a un’immagine - perfetta nel colore e nella composizione, ma piatta, limitata - Anna e Tom si sentono in trappola, tormentati dal bisogno di trovare qualcosa di più vero. 
Una storia sulla inautenticità di vite di successo ma impersonali che si esaurisce nell'intenzionalità ma rimane piatta, limitata e superficiale dal punto di vista letterario nel suo dire e non mostrare.

Il rinomato catalogo Walker & Dawn è un romanzo per giovani lettori di Davide Morosinotto che, nella Louisiana del 1904, vede protagonisti quattro amici - Te Trois, Eddie, Tit e Julie - accomunati da un catalogo di vendita per corrispondenza, tre dollari da spendere e una gran voglia di scoprire il mondo. E quando, anziché la rivoltella che hanno ordinato, arriva un vecchio orologio che nemmeno funziona, i quattro non ci pensano due volte e partono verso Chicago, per farselo cambiare. Si troveranno alle prese con un cadavere nelle sabbie mobili, una corsa clandestina su un treno merci, un battello a vapore sul Mississippi, imbroglioni e bari di professione, poliziotti corrotti, cattivi che sembrano buoni e buoni che non lo sono affatto, un delitto irrisolto e molti soldi. Un'avventura con quattro protagonisti che avrebbero potuto essere i migliori amici di Tom Sawyer.

Con Estella  Valerio Varesi ricostruisce e restituisce la vita straordinaria e dimenticata di Teresa NoceBrutta, povera e comunista - come la definì la madre del suo futuro marito, nonché segretario del Partito comunista italiano, Luigi Longo -, quella di Teresa Noce è la storia di una femminista ante litteram che attraversa controcorrente quasi tutto il Novecento. Proletaria, figlia di una lavandaia abbandonata dal marito, fin da giovanissima organizza i primi scioperi delle operaie tessili e da iscritta al Pci è protagonista dell’antifascismo dopo la presa del potere di Mussolini. In seguito è prim’attrice nella Resistenza: con il nome di battaglia Estella partecipa alla guerra di Spagna, ed è poi esule in Francia, dov’è catturata dalla polizia collaborazionista del regime di Vichy, e internata nel campo di concentramento di Ravensbrück. Alla fine della guerra è fra le 21 donne che hanno contribuito a scrivere la Costituzione, ed è l’ideatrice dei "Treni della felicità", che a partire dalla fine del 1945 sottrarranno moltissimi bambini alla miseria. Parlamentare per due legislature, viene emarginata dalla politica per non essersi piegata ai voleri del Pci al momento del divorzio con Longo. Malgrado la più grande delusione della sua vita, come dirà lei stessa a proposito del "tradimento" del partito, continua l’attività sindacale e si batte per i diritti delle donne, dalla parità salariale, ai servizi a favore della maternità, fino al riconoscimento della pari dignità nelle carriere. Una vita straordinaria dove la storia personale si intreccia con la storia collettiva fino a formare un tutt’uno. È la storia di una generazione che ha costruito l’Italia passando dalla grande tragedia della guerra all’altrettanto grande speranza verso il futuro.

Aliena di  Phoebe Hadjimarkos Clarke ha come protagonista Fauvel, una giovane donna che ha perso un occhio a causa di uno sparo della polizia durante una manifestazione. Paura e violenza sono tra i temi emergenti nella vicenda narrata. La paura rende stupidi, la paura ridefinisce il mondo, lo rinchiude: tutto può diventare il significante di una minaccia, e il linguaggio, gli indizi che lascia ovunque il destino sono solo marcatori nascosti della violenza a venire, e nient’altro; a poco a poco non hanno più altro senso che questo, quello del pericolo. Sudore che sgorga sotto le braccia, tra le natiche; che cola, che macera tra i peli e che puzza. La paura fa puzzare, la paura appesta. È infamante, impedisce tante cose, che si accumulano, si ammassano, finiscono con il barricare l’esistenza. Ma anche il tentativo di superare la paura, di resistere alla violenza, di opporsi a una certa violenza, la resistenza e la rivolta dello scontro in strada con le forze dell’ordine. Sapere fin nel più profondo di se stessi, negli organi, nei tessuti, nelle ossa, che può ricominciare, che la violenza non è mai veramente lontana, che i propri atteggiamenti e sguardi timorosi a volte non fanno che eccitare la ferocia. Che sentire la debolezza dell’altro fa nascere il desiderio di esercitare in modo più forte il potere che quella debolezza delinea. Questo gusto dello stritolamento può prendere una forma pubblica. Ma Fauvel e tutti gli altri hanno continuato a uscire, a correre, camminare, piangere per strada, per scongiurare il terrore, gli incubi, per non lasciarli vincere. Tutti insieme, a urlare. Alla fine diventa possibile, in tutto questo terrore, non avere più paura. Finalmente ci si incarna. Il corpo non è più solo una macchina da alimentare, curare, purgare, dove circolano merda e sangue. Lo si usa per qualcosa di diverso dalla meccanica. Ma è questo stesso corpo che è in pericolo. Questo corpo che trema alla vista delle uniformi, che suda e scoreggia di paura e di collera, che fa incubi la notte. Sia la paura sia la violenza mettono in primo piano l'agire attraverso il corpo, come singoli individui ma anche e soprattutto con gli altri: corpi in rivolta e spazi urbani, conflitti in cui la corporeità è esposta in tutta la sua intensità appassionata e vulnerabile. 
Peccato che poi, rispetto alla trama di quanto avviene, il romanzo rimanga piuttosto insoddisfacente.

Interessante la premessa con cui Andrea Bajani realizza L'anniversario, esplicitamente sottotitolato Un romanzo, quindi opera di finzione, perché è nell'invenzione e non nel ricordo  che la scrittura, colpendo parola dopo parola il monolite di una memoria familiare, può estrarre e fornire il vero disinteressandosi del reale. 

In Stella distante Roberto Bolaño prova a ricostruire l'esistenza di Carlos Wieder,  poeta e assassino, artista e criminale, pilota spericolato che si esibiva in performance di scrittura aerea e operatore di snuff movies, torturatore - nei mesi successivi al golpe di Pinochet - di decine di persone dei cui cadaveri ridotti a brandelli ha poi ha esposto le foto. La verità sembra però sfuggente, una pagina dopo l'altra, un tassello dopo l'altro - attraverso un accumulo di indizi, molti dei quali di natura squisitamente letteraria, e di storie parallele, alcune tragiche, alcune grottesche, alcune paradossalmente fiabesche -, il percorso di avvicinamento a quella che potrebbe essere la verità diventa via via più sdrucciolevole, come se l'autore medesimo ci invitasse a dubitare degli eventi che narra non meno che degli scrittori che cita, delle poesie, delle riviste, dei movimenti letterari a cui allude. Nonché, in definitiva, della esistenza stessa di un uomo chiamato Carlos Wieder.

Eureka Street è una strada di 
Belfast - città nell'Irlanda del Nord ridotta a un campo di battaglia - attorno alla quale  Robert McLiam Wilson fa girare le vicende del 1994 che coinvolgono soprattutto Chuckie, protestante, e Jake, cattolico, giovani legati da una profonda amicizia. Chuckie, antieroe grasso e sempliciotto, riesce a compiere mirabolanti imprese commerciali grazie a progetti tanto fantasiosi quanto ridicoli, mentre Jake, nonostante la sua scorza da duro, è un inguaribile romantico e non cerca denaro e ricchezza ma un amore che gli riempia la vita. E intorno a loro un'intera galleria di personaggi: Crab e Hally, trasporetatori senza scrupoli al servizio di un usuraio; Roche, sporco e violento ragazzino assetato di affetto; Max, fascinosa americana che ne ha passate di tutti i colori; Aoirghe, repubblicana fanatica convinta che mezzi criminali non inficino un nobile fine. Sullo sfondo, i conflitti irrisolti del paese che balzano brutalmente in primo piano quando un attentato sconvolge l'atmosfera bislacca e farsesca che pervade il racconto: le vittime esposte a un'oscena morte pubblica, quando l'esplosione sfila via le scarpe alla gente come un genitore premuroso e la lasciva violenza della deflagrazione sbottona le camicie agli uomini e solleva le gonne alle donne, e dopo i morti sono sparsi per terra come frutta marcia e, soprattutto, sono irrimediabilmente, impudicamente morti. Avevano tutti una storia. Non erano storie brevi, o non avrebbero dovuto esserlo. Avrebbero dovuto diventare lunghi romanzi, splendide narrazioni di ottocento pagine e più.
Sarà la commedia della vita a cancellare il sangue - è proprio questo che non va: la gente era talmente stanca che non ci faceva più caso. Ma com'è possibile? Da quando in qua una bomba sotto casa non fa più parlare nessuno? -, e le vicende improbabili e sgangherate di Chuckie e Jake tornano a dominare di nuovo le pagine del romanzo. Emerge comunque che, se volgete lo sguardo sulla città, vedrete chiaramente che c'è davvero qualcosa che divide i suoi abitanti: qualcuno questo qualcosa lo chiama religione, altri politica, ma è solo il denaro il vero motivo di differenza e discordia. Vedrete strade immerse nel verde e strade soffocate dal cemento: immaginatevi vite immerse nel verde e vite soffocate dal cemento. Nei quartieri ricchi e nei sobborghi senza un centimetro quadrato d'erba, i vostri occhi scorgeranno la verità.
Per noi la mattina era il momento migliore. Quando la gente è ancora svestita e un po' frastornata, e più arrendevole, priva di velleità pugilistiche. A quanto pare, senza pantaloni nessuno è in grado di reagire con vigore. La povertà deve essere più dura da mandar giù la mattina presto. È più facile sognare e fantasticare la sera, quando un po' di ottimismo o di birra possono inocularti qualche stilla di speranza, ma alla pallida luce dell'alba la miseria e l'umiliazione assumono un'aria alquanto realistica e immutabile. Mi deprimeva soprattutto il fatto che nessuno reagisse. Come se pensassero che ne avevamo il diritto, mentre loro, di diritti, erano sicuri di non averne neanche mezzo. Se una ragazza madre che non ha pagato l'ultima rata di venti sterline di un frigorifero che ne costa trecento, se lo lascia portare via senza provare neanche a lamentarsi, c'è qualcosa che non va. Le aspirazioni del proletariato sono destinate a finire così: arriva sempre qualche gorilla a riportarsi via tutta la paccottiglia accumulata con tanta fatica.

domenica 30 marzo 2025

notte stellata e caffè parigini

Sempre nell'ottica di ottimizzazione dei tempi, mentre si seguiva la nostalgica serie tv Hanno ucciso l'Uomo Ragno. La leggendaria storia degli 883 e si ascoltava l'audiolibro L'arte della gioia di Goliarda Sapienza, ho montato un po' di set Lego acquistati di recente.

Tra questi l'iconico Caffè francese, che cattura l'eleganza di un pittoresco bistrot all'aperto parigino, decorato con vasi di fiori pensili e accogliente con i suoi croissant, tazze e giornali. Questo Café Fleur ha trovato adeguata collocazione in uno degli scaffali della libreria dedicati all'esistenzialismo, accanto ai saggi e romanzi di Jean-Paul Sartre.

Inoltre, uno dei due set dedicati ai dipinti di Vincent van Gogh, quello che riproduce la Notte stellata. La notte - più viva e più ricca di colori del giorno, secondo l'artista -, le nuvole vorticose, le dolci colline: i mattoncini reinterpretano le pennellate di van Gogh, la cui minifigure - con pennello, tavolozza e cavalletto - è inclusa nel set. Set che, una volta completato, può anche essere appeso alla parete.



giovedì 20 marzo 2025

l'evoluzione delle stem

Nuovo set Lego è L'evoluzione delle STEM, cioè delle discipline scientifico-tecnologiche (science, technology, engineering, mathematics).
Il set realizza un libro in mattoncini pieno di scoperte, un’enciclopedia aperta piena di mini costruzioni che simboleggiano alcune delle più famose scoperte scientifiche e tecnologiche e celebrano l’evoluzione della scienza, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica.
Su una base a forma di libro aperto, appunto, trovano spazio il melo che ha ispirato la teoria della gravità, lo spettro visibile della luce che mostra i colori tra l'infrarosso e l'ultravioletto, il codice di trasmissione fatto di punti e linee inventato da Samuel Morse nel 1836, l'atomo di carbonio sul quale è basata tutta la vita sulla terra, il filamento di DNA, il modello di uno dei primi computer domestici, la sezione aurea derivante dalla serie di Fibonacci e visibile quasi ovunque in natura dalla struttura delle cellule all'orbita dei pianeti, la sonda Voyager 1 ovvero l'oggetto fatto dall'uomo più lontano dalla Terra e il primo veicolo spaziale a raggiungere lo spazio interstellare, il disco d'oro a bordo di tale sonda con i suoi saluti in 55 lingue e la sua selezione di musica e suoni naturali. lo space shuttle che rappresenta lo spirito pionieristico dell'umanità e segna gli incredibili risultati del volo spaziale con equipaggio, il calabrone vitale a mantenere un ecosistema globale sano e la biodiversità.
Inoltre, sono comprese le minifigures di Sir Isaac Newton (1643-1727) -  matematico, fisico, astronomo, filosofo naturale inglese, considerato uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi e noto soprattutto per la fondazione della meccanica classica, la teoria della gravitazione universale e l'invenzione del calcolo differenziale, contribuì significativamente a più branche del sapere, occupando una posizione di preminente rilievo nella storia della scienza e della cultura -, George Washington Carver (1864-1943) - agronomo statunitense ed educatore nel campo dell'agronomia, insegnò sul campo a ex-schiavi le tecniche di agricoltura per l'autosufficienza -, Marie Curie (1867-1934) - fisica, chimica e matematica polacca naturalizzata francese, prima donna insignita del premio Nobel, una dei cinque vincitori del Nobel ad averne ricevuti due e sola a aver vinto il premio in due distinti campi scientifici.









martedì 18 marzo 2025

autismo e genere

Piuttosto deludente l'incontro con il nuovo personaggio e la nuova serie di Alice Basso. Sarà anche perché le vicende della ghostwriter Vani Sarchia le ho ascoltate lette dall'autrice stessa, elemento che aggiunge verve e ironia all'esperienza di lettura/ascolto, ma mi sembra comunque che ne Le ventisette sveglie di Atena Ferraris la protagonista sia meno riuscita, il cast di comprimari troppo macchiettistico, la vicenda non ben architettata e per nulla in atmosfera di giallo (semmai di romance).
Peccato, anche perché invece è interessante la postfazione, che spiega la genesi del nuovo lavoro della Basso.

Nell'agosto del 2021 sono ad Asiago a presentare Il grido della rosa e mi raggiunge la mia amica Sara, fotografa bravissima. Chiacchieriamo del più e del meno prima e dopo l'attimo delle foto, e a un certo punto lei butta lì: "Ah, e poi quest'anno ho scoperto di essere autistica, e questa cosa mi ha cambiato la vita".
All'epoca, per me autismo significava poco più di quello che significa effettivamente per la stragrande maggioranza della popolazione, e infatti devo aver fatto una faccia che voleva palesemente significare: "Non
sembri affatto autistica".
Sara mi spiega che le è capitato di parlare con un'amica neuropsicologa di tutto un ventaglio di peculiarità che si portava dietro dall'infanzia, che andavano dalla necessità di chiudersi in isolamento totale per un certo tempo dopo esperienze di grande socialità, fino all'insofferenza se per sbaglio si metteva i calzini con le cuciture all'interno. La sua amica le ha detto: "Perché non provi a fare questo test, è il test a cui sottoponiamo le persone che pensiamo possano essere neurodivergenti.
E adesso eccola qua, una donna adulta, stimata, di successo, a dirmi: "Ho scoperto alla mia età di essere autistica".
Com'è possibile che una persona arrivi a trenta, quarant'anni per scoprire di essere neurodivergente?
E la risposta io l'ho trovata interessantissima: non "una persona"; una
donna.
Le diagnosi si fanno in primis a partire dall'osservazione di soggetti di sesso maschile, e se una patologia o una condizione si esprime diversamente nelle donne si arriva a accorgersene molto tardi. Anche solo nel piccolo della mia personale cerchia di conoscenze, i bambini autistici diagnosticati e seguiti come tali sono in nettissima prevalenza maschi. Dove sono le ragazze? Come mai sono così poche? Forse l'autismo si presenta praticamente solo nel genere maschile?
Scoperta degli ultimi anni: niente affatto. È pieno di donne autistiche. Solo che il loro essere autistiche si manifesta in un altro modo, e ce ne siamo accorti solo da pochissimo.
La parola "autismo" viene da
autòs, il "sé", quindi potremmo dire che è una "sindrome della chiusura in se stessi". Quante bambine passano per introverse, timidissime, imbranate, goffe; o ipersensibili, iperempatiche, esagerate e fuori luogo nelle loro manifestazioni emotive; o talvolta anche strampalate secchioncine genialoidi ma fuori sintonia col resto del mondo. Quante ragazzine chiuse, male integrate, fragili, magari soggette a scatti d'ira o crisi di pianto. Di quante avete pensato che potessero essere autistiche? Beninteso: non sto dicendo che lo siano per forza. Però "è isterica" o "è un'imbranata" o "deve imparare a vivere" sono cose che si sentono dire molto più spesso di "forse è autistica".
Un bambino - maschio - chiuso, o ansioso, smarrito, goffo, incapace di relazionarsi fa sorgere velocemente delle preoccupazioni negli adulti: perché il maschietto ideale è intraprendente, coraggioso, sveglio, disinvolto e integrato, uno che domina l'ambiente; i genitori saranno più inclini a consultare uno psicologo che lo aiuti. Una bambina chiusa, ansiosa, timida, goffa è uno spettacolo molto più normale. Insomma, è un po' il modo in cui sono fatte le femmine, no? E di una bambina timida e riservata, anche parecchio, che si rintana fra le sue cose senza dar fastidio, spesso si dice solo che è una
brava bambina.
Le manifestazioni che noi associamo a una determinata neurodivergenza sono quasi sempre tipiche dei soggetti maschi, e alle bambine non vengono diagnosticate perché le femmine non fanno la cortesia di mostrarle nella stessa maniera. L'ADHD, il disturbo da iperattività e deficit dell'attenzione, alle scuole elementari viene facilmente riconosciuto nel bambino (maschio) che non riesce a stare fermo, a concentrarsi, che "non si sa comportare". Ma magari accanto a lui è seduta una bambina che non attira l'attenzione facendo casino, che si agita giusto un po' nel banco, magari chiacchiera, perlopiù sogna a occhi aperti e divaga con la mente senza riuscire a seguire la lezione. Ciò da cui solitamente si riconosce lADHD è proprio quella H che perlopiù nelle bambine manca, ossia l'
hyperactivity (che poi manchi perché manca e basta o non si noti perché viene repressa di più, è ancora oggetto di studi). Si redarguisce la bambina perché la si vede scarabocchiare anziché ascoltare o prendere appunti; così lei smette, ma non ha il coraggio di spiegare che scarabocchiare non la distrae mica, anzi, la aiuta a stare attenta, e il risultato è che, cercando di fare la brava, si ritrova ancora meno produttiva.
Poi la bambina cresce. La ragazza continua a avere difficoltà a studiare. Le stesse difficoltà la seguono da grande, sul lavoro; così magari a un certo punto la ragazza si rivolge a uno psicologo. E statisticamente, in questa fase, a questa donna adulta che arriva a confidare una vita di difficoltà, con tutte le ansie e le sensazioni di fallimento correlate, viene diagnosticata cosa? La depressione.
Qui entra in scena una di quelle parole che spiegano un sacco di cose: il
masking. Cioè il mascheramento, quella serie di strategie con cui tu - specialmente tu ragazza -, nell'ansia di essere accettata e capita, impari a "fare la persona normale", sopprimendo gli atteggiamenti che ti verrebbero naturali e sostituendoli con quelli che vedi mettere in atto dalle persone intorno a te. Niente stimming (giocherellare coi capelli, dondolare su te stessa per calmarti), lasciare la stanza quando luci e rumori ti stanno portando sull'orlo dell'esaurimento nervoso, niente domande seccanti, niente che possa arrecare disturbo o disagio al prossimo. Osservi e imiti, affamata di copioni da recitare, per non correre il rischio di essere te stessa. Così da fuori finisci per sembrare normale.
Da tutto questo nasce Atena.

sabato 15 marzo 2025

gioca bene

Il libro a sorpresa di febbraio, di cui riesco a scrivere soltanto adesso, è stato Lego. Una storia di famiglia, ricostruzione biografica e non solo di Jens Andersen.

Si parte dalla falegnameria di Billund degli anni Venti e dalla filosofia con cui Ole Kirk Christiansen la fonda e la gestisce: il rispetto per il lavoro eseguito a regola d'arte, l'eccellenza del risultato, il rifiuto della mediocrità per fare meno fatica. Falegnameria che, già negli anni Venti, inizia a produrre anche alcuni giocattoli, recuperando i pezzi di legno avanzati per lavorarli e trasformarli in cavalli, mucche, case, oppure in alcuni miracoli tecnologici, come automobili, treni e aerei. Nel 1932 la falegnameria è ormai una fabbrica di giocattoli, e nel 1934 Ole Kirk sceglie di darle un nome che rimanga impresso nella memoria: le proposte sono LEGIO - legata all'espressione legioni di giocattoli - e LEGO - contrazione dell'espressione Leg godt, gioca bene. La piccola fabbrica fa progressi graduali ma ininterrotti con i suoi animali di legno su ruote - un'anatra semi-meccanica che fa qua qua con il becco -, le sue automobiline verniciate in colori vivaci e brillanti, il suo trenino espresso rosso: per decenni il mercato del giocattolo europeo è stato dominato dalla Germania, ma l'artigiano Ole Kirk, rifiutando di utilizzare materie prime economiche - sceglie invece solo legno di faggio stagionato e asciugato all'aria, cotto a vapore ed essiccato in forno -, considera LEGO competitiva in termini qualitativi.
La concezione dei bambini e del gioco in questi anni va cambiando: negli anni tra le due guerre psicologi, pedagogisti, scrittori e filosofi studiano la natura del bambino e il significato universale del gioco per l'uomo, negli anni Quaranta e nei primi anni Cinquanta in Scandinavia si pubblicano alcuni capolavori della narrativa per l'infanzia così che nella letteratura mondiale autori adulti osano dar vita a storie con un io narrante bambino dando voce ai più piccoli nella maniera più autentica. Anche LEGO espande la sua produzione sull'onda del boom della letteratura per ragazzi e del conseguente interesse per i bambini, il gioco e i giocattoli, partendo dal presupposto che per giocare bene servano giocattoli di qualità: il Kirk's Kuglebane [Campo da gioco di Kirk] - elementi oblunghi in legno che possono essere assemblati per costruire una pista per giocare con le biglie -, la scatola rossa degli educativi mattoncini in legno sui cui lati finemente levigati e laccati sono impressi numeri e lettere nei colori primari, la Pistola della Pace - pistola giocattolo semiautomatica in legno.
La carenza di legno, nel frattempo, spinge Ole Kirk a cercare materiali alternativi: l'età della plastica è alle porte, sui quotidiani danesi si scrive che i giocattoli del futuro saranno in coloratissima plastica, materiale perfetto per questo uso in quanto piacevole al tatto, igienico, innocuo e praticamente indistruttibile, e poiché i modelli si ottengono per fusione perfezionarli è facilissimo. Nel 1947 Ole Kirk vede una scatola di mattoncini in plastica, di vari colori, cavi e muniti di bottoncini sul lato superiore: con una manciata di questi pezzi, prodotti dalla British Industries Fair di Londra, ogni bambino può imitare il lavoro dei veri artigiani. Dal 1948 appaiono i primi giocattoli LEGO in plastica e infine, nel 1949, i primi coloratissimi mattoncini, gli Automatic Binding Bricks.
L'intuizione dell'azienda è quella di puntare su un assortimento a lunga durata che la renda meno dipendente da best seller temporanei - prodotti effimeri che pullulano nel settore del giocattolo -, e su un giocattolo del tutto unico e vendibile ovunque, spingendosi fuori dei confini nazionali: LEGO deve concentrarsi su una sola idea, focalizzarsi su un prodotto unico e longevo che possa evolvere in un sistema di gioco più ampio e che sia facile da utilizzare, fabbricare e vendere. I LEGO Mursten [Mattoni] sono rilasciati nel 1952-53, pensati non solo come mattoncini da combinare per creare questa o quella costruzione, ma come un sistema aperto all'opzione di collezionare mattoncini e ampliare le possibilità di gioco attraverso set regalo e scatole di espansione. Gli slogan sono Vuoi LEGO con me? e Costruisci una città LEGO. Il lancio non segna solo l'inizio di un nuovo sistema di gioco, ma promuove anche un messaggio sui bambini e sul gioco incredibilmente vitale e lungimirante, concetto gridato attraverso il disegno sulla copertina dell'opuscolo pubblicitario, in cui un allegro omino LEGO, in abiti da lavoro e con l'elmetto da muratore che si porta un megafono alla bocca per far conoscere al mondo intero l'idea umanistica del Sistema LEGO: Volevamo creare un giocattolo che avesse un valore per la vita di un bambino, che facesse appello alla sua fantasia, stimolando la voglia e la gioia di creare, forze motrici di ogni essere umano.
La rapida diffusione negli anni Cinquanta del Sistema LEGO è legata alla strategia pubblicitaria - fatta di spot nei cinema, brochure, esposizioni di costruzioni nelle vetrine dei grandi magazzini, riviste illustrate -, ai tanti pregi di un prodotto che offre infinite possibilità di gioco - soprattutto quando nel 1958 l'inserimento di tre tubi di collegamento cilindrici nella cavità del mattoncino consente incastri saldi, stabilità e forza di assemblaggio aprendo la porta a costruzioni inedite e nuove possibilità di combinazione -, al fatto che i mattoncini sembrano soddisfare un nuovo bisogno sociale, un desiderio di ricostruzione diffuso in tutta l'Europa del dopoguerra, che riguarda non solo case, quartieri e città ma anche modelli e relazioni famigliari.

Gli anni Sessanta sono quelli dell'espansione, e dopo Germania, Svizzera, Olanda, Belgio, Austria, Portogallo, Italia, LEGO fa la sua apparizione in Gran Bretagna, America del Nord, Australia, Singapore, Hong Kong, Giappone, Marocco. Sono anche gli anni in cui LEGO, producendo elementi più piatti che consentano di immaginare e realizzare modelli più dettagliati, si propone anche ai professionisti dell'edilizia (architetti, ingegneri, designer, costruttori) e a hobbisti adulti: è il Pilastro LEGO, livelli che dal Sistema nel Gioco per bambini salgono attraverso un prodotto rielaborato e arricchito in una scala diversa come hobby per gli adulti, poi uno rivolto agli specialisti del settore edilizio, fino a una sovrastruttura filosofica attraverso la quale - come spiega Godtfred Kirk Christiansen, figlio di Ole Kirk a lui subentrato - il gioco LEGO del futuro porterà a un cambiamento globale non solo nei modi di progettare e costruire, ma anche nei modi di pensare e di comportarsi in una sorta di spinta evolutiva. Pur non avendo successo le scatole per adulti lanciate nel 1962-63, l'utilizzo di mattoncini più piccoli per costruire oggetti più realistici finisce per arricchire il Sistema LEGO con nuove possibilità.

La fine degli anni Settanta porta alla guida dell'azienda Kjeld Kirk Kristiansen, con l'idea di segmentazione del mercato attraverso un giocattolo basato su un ampio ventaglio di prodotti rivolti a diverse fasce d'età e ai loro diversi bisogni di gioco. Sono gli anni delle Minifigures - vestite da eroi di tutti i giorni: poliziotti, pompieri, dottori, infermiere -, delle linee DUPLO, Città, Castello, Spazio, Technic, di tanti nuovi prodotti e set.

Gli anni Ottanta vedono proseguire l'esplosione del numero di set e il forte impatto delle Minifigures che consentono di combinare il gioco di costruzioni con quello simbolico. E sono anche gli anni della sfida digitale: il nerd informatico Kjeld ha già immaginato che LEGO troverà il suo accesso peculiare alla nuova tecnologia nell'intersezione tra gioco e didattica, i designer dell'azienda lavorano con pedagogisti ed esperti in diverse materie e tipi di insegnamento. Arrivano LEGO Education, LEGO Technic, LEGO DUPLO Mosaic, viene creato un portale dal quale gli insegnanti possono scaricare piani d'insegnamento, e nel 1984 arriva l'incontro con Seymour Papert - che da anni usa i mattoncini LEGO in diversi esperimenti al MIT Media Lab di Boston - e il suo linguaggio di programmazione Logo: accomunati dall'idea che quando costruiscono qualcosa con le proprie mani i bambini costruiscono al contempo il loro sapere, che questa forma di apprendimento è importante perché penetra più a fondo nel cervello, Kjeld e Papert sviluppano dei mattoncini LEGO con dei sensori incorporati con cui costruire robot, gru e veicoli comandati da un computer tramite il programma Logo, sviluppano un software per i modelli della linea Technic (LEGO TC, Technic Control). La LEGO Vision  che Kjeld porta nell'azienda è sintetizzata dalle idee di creatività, fantasia, entusiasmo, spontaneità, curiosità - valori il cui collante è il divertimento -, dalla concezione di una forza propulsiva del gioco quale esplorazione della realtà, dal legame tra giocare e imparare: Gioco, posso fare tutto. Nulla è vietato, creo il mio mondo, organizzo il caos, mantengo l'equilibrio fino a che penso che si possa mantenere, gioco a fare che il mondo esiste, è questo il mio gioco.
Anche il romanzo di Douglas Coupland Microservi (1995), che racconta di un gruppo di amici nerd informatici che da bambini giocavano tutti con i mattoncini di plastica, sembra muoversi nella stessa terra di confine tra gioco e informatica di Seymour Papert: Credo che sia sensato affermare che il LEGO è uno strumento di modellazione tridimensionale molto potente e che rappresenta un linguaggio in se stesso. Un'esposizione prolungata a qualunque linguaggio, visuale o verbale, altera di sicuro il modo in cui un bambino percepisce il suo universo.

Dopo anni di successo, però, subentra l'inerzia: invece di pensare in modo nuovo e diverso, si continua a fare sempre la stessa cosa e i capi dell'azienda si trasformano in creature lente e rigide - rinoceronti, come nell'opera teatrale di Eugène Ionesco - che non osano avventurarsi fuori dal branco e non fanno altro che trascinarsi avanti chiassosamente. Negli anni Novanta il mercato si sposta dal giocattolo tradizionale all'intrattenimento digitale, i modelli di gioco moderni cancellano i confini tra bambini, teenager e giovani, con i primi che rappresentano il gruppo di consumatori che invecchia più velocemente: kids are getting older younger, i bambini invecchiano più giovani. LEGO, come tutti i produttori di giocattoli, deve condurre un'ardua lotta per non restare indietro nella concorrenza impari con l'industria dei videogiochi e dei film, che occupano la maggior parte del tempo libero dei bambini. Per la prima volta nei sessantasei anni della sua storia, nel 1998 la LEGO conosce delle forti perdite. Inizia un periodo di zig-zag, al deficit del 1998 seguono i buoni profitti del 1999, profitti più modesti nel 2000-01, grosse perdite nel 2002-04: la causa di questo sviluppo instabile va ricercata in un successo dettato dalle mode - Star Wars e Harry Potter - che non ha però generato interesse e vendite per i prodotti più basilari. La fascia di consumatori che registra però una crescita è quella degli AFOL (Adult Fans of LEGO): i costruttori hobbisti adulti rappresentano una comunità in continua espansione. LEGO sceglie di dare voce a tali fan/consumatori, di puntare sull'attività che tali utenti svolgono e che arricchiscono l'esperienza che si può avere manipolando i set base.

Il bilancio dal 2005 torna positivo e ancora nel 2021 conosce un bilancio da record. Uno dei simboli della nuova eredità LEGO è la costruzione della LEGO House (2017), che trasforma la filosofia dell'azienda e del suo prodotto in un edificio. Nel piano interrato, una Memory Lane; nei piani superiori, quattro zone legate dall'apprendimento attraverso il gioco: rosa (creatività, il gioco libero), blu (sviluppo cognitivo, risoluzione di problemi e sfide), verde (abilità sociali, un universo popolato di personaggi e storie) e gialla (sviluppo emozionale, espressione dei sentimenti); all'ultimo piano, una galleria dei capolavori, dove è esposta una selezione di opere d'arte LEGO realizzate dagli AFOL di tutto il mondo; al centro, dal pavimento fino al soffitto, s'innalza un albero di quindici metri, fatto di milioni di mattoncini, chiamato Albero della creatività.

venerdì 28 febbraio 2025

(altri) libri letti questo mese - febbraio 2025

Posto anche questo mese una breve sintesi degli altri libri letti, oltre a quelli di cui già ho scritto qualcosa. Sempre in ordine, dal peggiore al migliore.

L'impostore di Zadie Smith. Hustpierpoint, Sussex, 1873. Eliza Touchet è da trent'anni la governante di suo cugino acquisito, William Ainsworth, un romanziere un tempo di grande successo ma ormai caduto in disgrazia e in crisi di ispirazione. Donna spiritualmente e intellettualmente libera, Eliza ha sempre partecipato ai circoli letterari di Ainsworth, crescendo all'ombra del successo di William e dei suoi amici letterati, tra cui il Signor Charles Dickens, che non esita a considerare un prevaricatore moralista. Attraverso Sarah, la giovane e sciocca seconda moglie di William, Eliza si appassiona al più celebre processo dell'epoca, passato alla storia come "il caso Tichborne", che per un decennio dividerà l'opinione pubblica vittoriana e che vede un semplice macellaio reclamare l'immensa fortuna della ricca famiglia Tichborne, sostenendo di esserne il legittimo erede, scomparso in un naufragio molti anni prima. In particolare Eliza viene colpita dalla dignità e vulnerabilità di Andrew Bogle, testimone chiave del processo e vuole sapere tutto di lui. Cresciuto come schiavo nelle piantagioni di zucchero della Giamaica e servitore dei Tichborne per decenni, Bogle è l'uomo la cui storia può confermare o smentire le incredibili affermazioni del pretendente alla fortuna di una delle più antiche famiglie aristocratiche inglesi. Chi dice la verità e chi è un impostore?
Davvero terribile, pessimo, difficile da portare a termine perché non c'è motivazione a farlo.

Primo di una trilogia fantasy e young adult, Fourth Wing di Rebecca Yarros immerge il lettore nell'accademia militare di Basgiath, la famosissima scuola per diventare cavalieri di draghi più spietata ed elitaria che ci sia. Una volta entrati non si hanno altro che due possibilità: laurearsi o morire. Violet Sorrengail, che già si immaginava a passare i prossimi anni circondata dai suoi amati libri e immersa nel silenzio della biblioteca, è invece costretta dalla generalessa sua madre a unirsi alle centinaia di candidati disposti a qualunque sacrificio pur di diventare parte dell'élite di Navarra: i cavalieri di draghi. Ma Violet ha solo vent'anni e un corpo ancora poco allenato alla battaglia, la morte per lei potrebbe arrivare in un lampo. I draghi, infatti, non si legano agli umani fragili, ma li inceneriscono; e la maggior parte degli studenti non si farebbe scrupoli nell'eliminare Violet pur di migliorare le proprie possibilità di successo; senza contare che tutti gli altri la farebbero fuori volentieri pur di punire la temibile e potente madre, compreso Xaden Riorson, il cavaliere più forte e spietato del Quadrante. E così Violet ogni sera va a dormire con la sfida di riuscire a vedere l'alba del giorno dopo.
Gradevole e piuttosto prevedibile, lettura comfort.

Scritto nel 1915, influenzato dalle cronache pubblicate su alcuni giornali che descrivevano le cattive condizioni carcerarie della California, Il vagabondo delle stelle di Jack London è, inoltre, una storia di reincarnazioni. Il romanzo narra in prima persona le vicende di un professore universitario, Darrell Standing, detenuto nel carcere di San Quentin per un omicidio, che scrive negli ultimi tre giorni della sua vita le sue memorie. Più che memorie sono racconti dei viaggi che fa, con il suo corpo astrale, durante il periodo di permanenza in carcere, soprattutto quando è rinchiuso in cella di isolamento.
Un libro forte e toccante, più valido però per l'idea e la tesi/denuncia che per il valore estetico.

Ricreando attraverso la scrittura i meccanismi della memoria, dove il tempo si dilata e si contrae sovrapponendo immagini, pensieri, sentimenti e luoghi, Jón Kalman Stefánsson intreccia in Crepitio di stelle i destini di quattro generazioni di donne e uomini, vite effimere come le nuvole nei cieli d’Islanda, la cui incessante ricerca di un senso - nella vita, nel bisogno di radici, nell’inesorabilità della morte e del desiderio, è assoluta ed eterna.
L'aspetto migliore della narrazione è la capacità di assumere i diversi punti di vista, soprattutto quella di produrre un effetto straniante e bizzarro quando il punto di vista è quello di un bambino che guarda al mondo senza l'esperienza, o le consuetudini, degli adulti.

Terzo volume, sempre ascoltato letto dall'autrice stessa - che è decisamente un plus -, della serie della ghostwriter Vani Sarca, di Alice BassoA Vani basta notare un tic, una lieve flessione della voce, uno strano modo di camminare per sapere cosa c'è nella testa delle persone: un'empatia innata che Vani mal sopporta, visto il suo odio per qualunque essere vivente le stia intorno; una capacità speciale che però è fondamentale nel suo mestiere, che è quello della ghostwriter che presta le sue parole ad autori che in realtà non hanno scritto i loro libri. In Non ditelo allo scrittore, Vani deve scovare un suo simile, un altro ghostwriter che si cela dietro uno dei più importanti romanzi della letteratura italiana. Parallelamente, il commissario Berganza, con cui collabora, è sicuro che lei sia l'unica a poter scoprire come un boss della malavita agli arresti domiciliari riesca comunque a guidare i suoi traffici. 
Lettura/ascolto che è ormai una garanzia.

Leigh Bardugo, autrice dell'universo di Grisha (Tenebre e ossa e tutti gli altri), ambienta Il famiglio in una Madrid diventata da poco capitale del Regno e pervasa dalla furia controriformistica dell'Inquisizione. La giovane Luzia Cotado, conversa orfana di entrambi i genitori, cerca di sopravvivere come meglio può, nascondendo a tutti le sue origini e, soprattutto, la sua capacità di compiere milagritos, piccole magie. Un giorno, però, la signora della casa presso la quale presta servizio si accorge del suo dono e di lì in poi la obbliga a farne sfoggio davanti ai suoi ospiti, nel patetico e disperato tentativo di migliorare la posizione sociale della propria famiglia ormai decaduta. Ma quello che inizia come un semplice divertimento per nobili fiacchi e annoiati, prende ben presto una piega pericolosa perché Luzia attira l'attenzione di Antonio Pérez, ex segretario ora in disgrazia del re Filippo II. Per riconquistare il favore del sovrano, ancora provato dalla sconfitta della sua invincibile armada, Pérez decide di indire un torneo per trovare un campione che diventi l'arma decisiva nella guerra estenuante contro Elisabetta, la regina eretica d'Inghilterra. Determinata a cogliere l'unica possibilità che la vita sembra volerle offrire per migliorare la propria condizione, Luzia si immerge in un mondo popolato da veggenti e alchimisti, bambine sante e imbroglioni, dove i confini tra magia, scienza e inganno sono tanto labili quanto incerti. Con il crescere della sua notorietà, però, aumenta di pari passo il rischio che i suoi segreti vengano scoperti. Per non finire nella morsa dell'Inquisizione, la giovane conversa dovrà quindi agire d'astuzia, accettando persino l'aiuto di un uomo misterioso temuto da tutti, Guillén Santángel, a sua volta custode di verità e segreti che potrebbero rivelarsi letali per entrambi.
Nella narrazione al racconto storico si intrecciano con bravura realismo magico e storia d'amore, una lettura decisamente piacevole e coinvolgente.

Nella Londra del 1922 ci porta Gli ospiti paganti, romanzo di Sarah Waters. In una città che porta ancora i segni della recente guerra, sono molte le cose che hanno bisogno di essere ricostruite, restaurate, molte le ferite da sanare, molti i cuori da riscaldare. Una madre e una figlia, i cui uomini di famiglia son stati portati via dalla guerra, sono costrette ad affittare alcune stanze della loro casa per sbarcare il lunario. Gli ospiti paganti sono una coppia di giovani sposi, che con la loro allegria e sensualità portano nelle polverose stanze dell’appartamento una ventata di aria fresca, ma anche turbamento. I rumori, i passi, gli incontri in bagno, sul pianerottolo, la condivisione della vita quotidiana: un’intimità con estranei a cui le due donne non sono abituate. Lo scenario cambia velocemente, e molti fatti accadono nel vecchio appartamento che sembrava destinato a una vita fatta di piccole abitudini e di noia: un amore inaspettato e travolgente; una misteriosa aggressione; e da ultimo un omicidio.
Un "grandissimo, maestoso romanzo" (così Stephen King) che intreccia la dimensione psicologica, intima, interiore, personale della passione amorosa e dei desideri inconfessati - e le loro travolgenti conseguenze -, con l’affresco di un’epoca storica vivido e autentico nella sua dimensione politica, sociale e di mentalità. Uno scontro anche generazionale rispetto ai valori, tra emancipazione e compromesso vittoriano, di cui la madre lamenta con la figlia: al giorno d'oggi il termine 'vittoriano' viene usato per archiviare tutte le virtù che la gente non vuole darsi la pena di coltivare.

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