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martedì 18 marzo 2025

autismo e genere

Piuttosto deludente l'incontro con il nuovo personaggio e la nuova serie di Alice Basso. Sarà anche perché le vicende della ghostwriter Vani Sarchia le ho ascoltate lette dall'autrice stessa, elemento che aggiunge verve e ironia all'esperienza di lettura/ascolto, ma mi sembra comunque che ne Le ventisette sveglie di Atena Ferraris la protagonista sia meno riuscita, il cast di comprimari troppo macchiettistico, la vicenda non ben architettata e per nulla in atmosfera di giallo (semmai di romance).
Peccato, anche perché invece è interessante la postfazione, che spiega la genesi del nuovo lavoro della Basso.

Nell'agosto del 2021 sono ad Asiago a presentare Il grido della rosa e mi raggiunge la mia amica Sara, fotografa bravissima. Chiacchieriamo del più e del meno prima e dopo l'attimo delle foto, e a un certo punto lei butta lì: "Ah, e poi quest'anno ho scoperto di essere autistica, e questa cosa mi ha cambiato la vita".
All'epoca, per me autismo significava poco più di quello che significa effettivamente per la stragrande maggioranza della popolazione, e infatti devo aver fatto una faccia che voleva palesemente significare: "Non
sembri affatto autistica".
Sara mi spiega che le è capitato di parlare con un'amica neuropsicologa di tutto un ventaglio di peculiarità che si portava dietro dall'infanzia, che andavano dalla necessità di chiudersi in isolamento totale per un certo tempo dopo esperienze di grande socialità, fino all'insofferenza se per sbaglio si metteva i calzini con le cuciture all'interno. La sua amica le ha detto: "Perché non provi a fare questo test, è il test a cui sottoponiamo le persone che pensiamo possano essere neurodivergenti.
E adesso eccola qua, una donna adulta, stimata, di successo, a dirmi: "Ho scoperto alla mia età di essere autistica".
Com'è possibile che una persona arrivi a trenta, quarant'anni per scoprire di essere neurodivergente?
E la risposta io l'ho trovata interessantissima: non "una persona"; una
donna.
Le diagnosi si fanno in primis a partire dall'osservazione di soggetti di sesso maschile, e se una patologia o una condizione si esprime diversamente nelle donne si arriva a accorgersene molto tardi. Anche solo nel piccolo della mia personale cerchia di conoscenze, i bambini autistici diagnosticati e seguiti come tali sono in nettissima prevalenza maschi. Dove sono le ragazze? Come mai sono così poche? Forse l'autismo si presenta praticamente solo nel genere maschile?
Scoperta degli ultimi anni: niente affatto. È pieno di donne autistiche. Solo che il loro essere autistiche si manifesta in un altro modo, e ce ne siamo accorti solo da pochissimo.
La parola "autismo" viene da
autòs, il "sé", quindi potremmo dire che è una "sindrome della chiusura in se stessi". Quante bambine passano per introverse, timidissime, imbranate, goffe; o ipersensibili, iperempatiche, esagerate e fuori luogo nelle loro manifestazioni emotive; o talvolta anche strampalate secchioncine genialoidi ma fuori sintonia col resto del mondo. Quante ragazzine chiuse, male integrate, fragili, magari soggette a scatti d'ira o crisi di pianto. Di quante avete pensato che potessero essere autistiche? Beninteso: non sto dicendo che lo siano per forza. Però "è isterica" o "è un'imbranata" o "deve imparare a vivere" sono cose che si sentono dire molto più spesso di "forse è autistica".
Un bambino - maschio - chiuso, o ansioso, smarrito, goffo, incapace di relazionarsi fa sorgere velocemente delle preoccupazioni negli adulti: perché il maschietto ideale è intraprendente, coraggioso, sveglio, disinvolto e integrato, uno che domina l'ambiente; i genitori saranno più inclini a consultare uno psicologo che lo aiuti. Una bambina chiusa, ansiosa, timida, goffa è uno spettacolo molto più normale. Insomma, è un po' il modo in cui sono fatte le femmine, no? E di una bambina timida e riservata, anche parecchio, che si rintana fra le sue cose senza dar fastidio, spesso si dice solo che è una
brava bambina.
Le manifestazioni che noi associamo a una determinata neurodivergenza sono quasi sempre tipiche dei soggetti maschi, e alle bambine non vengono diagnosticate perché le femmine non fanno la cortesia di mostrarle nella stessa maniera. L'ADHD, il disturbo da iperattività e deficit dell'attenzione, alle scuole elementari viene facilmente riconosciuto nel bambino (maschio) che non riesce a stare fermo, a concentrarsi, che "non si sa comportare". Ma magari accanto a lui è seduta una bambina che non attira l'attenzione facendo casino, che si agita giusto un po' nel banco, magari chiacchiera, perlopiù sogna a occhi aperti e divaga con la mente senza riuscire a seguire la lezione. Ciò da cui solitamente si riconosce lADHD è proprio quella H che perlopiù nelle bambine manca, ossia l'
hyperactivity (che poi manchi perché manca e basta o non si noti perché viene repressa di più, è ancora oggetto di studi). Si redarguisce la bambina perché la si vede scarabocchiare anziché ascoltare o prendere appunti; così lei smette, ma non ha il coraggio di spiegare che scarabocchiare non la distrae mica, anzi, la aiuta a stare attenta, e il risultato è che, cercando di fare la brava, si ritrova ancora meno produttiva.
Poi la bambina cresce. La ragazza continua a avere difficoltà a studiare. Le stesse difficoltà la seguono da grande, sul lavoro; così magari a un certo punto la ragazza si rivolge a uno psicologo. E statisticamente, in questa fase, a questa donna adulta che arriva a confidare una vita di difficoltà, con tutte le ansie e le sensazioni di fallimento correlate, viene diagnosticata cosa? La depressione.
Qui entra in scena una di quelle parole che spiegano un sacco di cose: il
masking. Cioè il mascheramento, quella serie di strategie con cui tu - specialmente tu ragazza -, nell'ansia di essere accettata e capita, impari a "fare la persona normale", sopprimendo gli atteggiamenti che ti verrebbero naturali e sostituendoli con quelli che vedi mettere in atto dalle persone intorno a te. Niente stimming (giocherellare coi capelli, dondolare su te stessa per calmarti), lasciare la stanza quando luci e rumori ti stanno portando sull'orlo dell'esaurimento nervoso, niente domande seccanti, niente che possa arrecare disturbo o disagio al prossimo. Osservi e imiti, affamata di copioni da recitare, per non correre il rischio di essere te stessa. Così da fuori finisci per sembrare normale.
Da tutto questo nasce Atena.

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