Nel suo Il corpo preso con filosofia Tommaso Ariemma affronta le contraddizioni che un serio discorso filosofico sul corpo nella nostra epoca necessariamente comporta. Se nella modernità anche il corpo è diventato liquido - celebre espressione del sociologo Bauman - esso è sì, da una parte, più docile alle forme, malleabile, trasformabile, ma può anche, paradossalmente, svelare resistenze e risorse temibili, paradosso dell'esperienza contemporanea che l'autore struttura secondo la logica della contraddizione per cui noi "cerchiamo di afferrare ciò che necessariamente ci sfugge e, al tempo stesso, cerchiamo di evitare ciò a cui non possiamo sottrarci". Paradosso del corpo di cui una efficace immagine è il body building.
Ma cosa ha a che fare il body building con la filosofia? Non solo la filosofia - da Platone "dalle spalle larghe" in poi - "sarebbe una sorta di body building del pensiero, qualcosa di eccessivo, di non richiesto, portato avanti con il più estremo rigore", una filosofia come atletismo e sollevamento dei pensieri che, secondo Peter Sloterdijk, rimanda all'amore "per la fama gloriosa attribuita ai vincitori nelle gare" e a quello "per la fatica, l'onore, lo sforzo" (Devi cambiare la tua vita); non solo lo stile di vita del body building è pericolo e minaccioso, non violento bensì provocatorio, come può esserlo un pensiero che mette in dubbio il modo di vivere e la scala di valori comuni; ma il body building fa dono alla filosofia di due fondamentali paradossi, quello del limite e quello della fragilità.
Il body building mostrerebbe che "non c'è alcun superamento di limiti che non provenga da maggiori limitazioni. Il continuo superamento operato dal culturista del proprio tono muscolare sarebbe frutto di sempre maggiori restrizioni: diete, intensità dell'allenamento, determinazione. Più ci si vuole liberare dal proprio corpo, e più il corpo ci inchioda, ci vincola". Inoltre, poiché nel body building la costruzione del corpo si ottiene attraverso una sua continua traumatizzazione, "più ricerca un corpo statuario e più il culturista si trova a fronteggiare differenti fragilità, più si ricerca la durezza, e più la fragilità si insinua". Se per costruire un corpo muscoloso "bisogna lavorare lavorare su ogni parte, decostruire per costruire", la filosofia decostruzionista di Jacques Derrida è estenuante come gli allenamenti del culturista.
Nel nostro tempo questo controllo del proprio corpo che il body building mette in scena riguarda sempre più anche il controllo della sua immagine sociale, del suo "archivio fotografico", del suo facebook. Ma "nel momento in cui il nostro corpo diviene qualcosa da vedere e da far vedere, il suo controllo totale si rivela impossibile. Anche perché 'prendere corpo' è un'impresa che dura una vita, persa ogni volta che sperimentiamo la sua verità: prendiamo davvero corpo, quando il corpo è preso da un altro". Come scrive Michel Foucault "sotto le dita dell'altro che ti percorrono, tutte le parti invisibili del tuo corpo si mettono a esistere. Contro le labbra dell'altro le tue diventano sensibili" (Il corpo, luogo di utopia); e anche Daniel Pennac afferma che "il nostro corpo è anche il corpo degli altri" (Storia di un corpo). Così, "il mio corpo è il 'mio' che non possiedo, il 'qui' che non raggiungo, il familiare più estraneo". E dopo il body building è la chirurgia estetica che esplicita la realtà costruttiva e paradossale del corpo, come il corpo sia un fare corpo, come "l'uomo non ha semplicemente un corpo, ma prende corpo, fa corpo".
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