In un breve saggio del 1976 lo scrittore sudafricano J.M. Coetzee definisce Capitan America come "un grande fallo imbandierato in marcia, come tutti gli eroi avventurosi da Achille in poi, in cerca di un nemico degno di tanta turgida dislocata potenza": inguainato in un costume rosso, bianco e blu, bicipiti e deltoidi sporgenti, muscoli pettorali e dorsali increspati e potenti, tesi come un cavo d'acciaio, la mascella quadrata e ben rasata, occhi azzurri come l'acqua di un torrente di montagna, Capitan America - continua Coetzee - è il discendente americano del cavalier cortese passato attraverso il Natty Bumppo (Occhio di Falco dal lungo fucile) di James Fenimore Cooper, il puritano Arthur Dimmesdale di Nathaniel Hawthorne (La lettera scarlatta) con la sua paradossale miscela di consapevolezza di inadeguatezza, colpa, punizione, redenzione, virtù, l'avventuroso Huck Finn di Mark Twain. Forte, casto e umile (fa solo il suo lavoro), è un eroe protestante che dà "ascolto solo all'autorità della voce interiore, Custode autonomo della Repubblica", è un "terzo Adamo in missione per salvare il mondo" anche se, come Gesù "il secondo Adamo, non può usare tutto il suo potere: per una legge mitologica i salvatori devono essere per metà divini e per metà mortali, ponti tra l'umano e il trascendente, divinità handicappate".
Ora, a me Capitan America non è mai piaciuto, come del resto non sopporto molto i supereroi in solitario, che non fanno parte di gruppi o team (ci sono eccezioni, ovvio), e riesco a digerirlo solo nei Vendicatori. Ma ora, con la (R)Evoluzione Marvel Now!, la testata del super-soldato americano è scritta da Rick Remender (quello del primo volume di Uncanny X-Force, l'incredibile fumetto del team segreto, "nero", di Wolverine, Psylocke, etc...) e disegnata da John Romita Jr: gli darò una possibilità di lettura, sperando in un "indebolimento" dell'ego forte, una modernizzazione (de-classicizzazione) dell'eroismo supereroico, una decostruzione di ogni fantasma fallico di potere, sovranità e identità.
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