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domenica 22 settembre 2013

letture di settembre (I)

Il corso on line su Moderno e Postmoderno continua con due saggi di Nietzsche e Freud -completando così, dopo Marx, la cosiddetta triade del sospetto - e un romanzo della Woolf. 

Di Friedrich Nietzsche ho letto la Genealogia della morale. Forse questo scritto polemico è il peggiore Nietzsche che io abbia letto, ma questo non gli impedisce di essere un gran bel libro: sicuramente la forma, la sperimentazione stilistica, non è ai vertici caratteristici del filosofo tedesco, ma non per questo il testo non è al solito dinamite, un far filosofia martellando contro idoli, luoghi comuni, presunte certezze, metafisiche verità, rovesciati valori. 
La genealogica scoperta dell'origine dell'opposizione tra "buono" e "cattivo" e la distinzione tra quest'ultimo e "malvagio", l'identificazione dell'immeschinirsi e del livellarsi dell'uomo europeo come il massimo dei pericoli, quello della stanchezza, del passivo nichilismo, della mancanza di voglia di divenire più grande, di essere - come un arco - teso, pronto al nuovo, al più difficile ancora, al più lontano ancora, minaccia peggiore di ogni presunta barbarie. Lo smascheramento del risentimento quale origine del senso di colpa e della cattiva coscienza, della crudeltà nascosta dietro ogni morale (perfino nel vecchio Kant l'imperativo categorico puzza di crudeltà, di un certo lezzo di sangue e di tortura) e interiorizzata in aggressività contro l'uomo stesso. La trasformazione di questa malattia - che poteva essere come una gravidanza o un orrendamente gioioso travaglio, un'avventura, un disprezzo per nuove sorprendenti bellezze e affermazioni, un supplizio ed esercizio da artisti - in ideali ascetici castranti, venefici, avvilenti, dall'effetto insomma simile a un'intossicazione alcolica o alla sifilide. 
Questi i temi delle tre trattazioni del saggio nietzschiano.

Di Sigmund Freud, invece, mi è toccato Il disagio della civiltà. Per esprimere la mia delusione derivante da questa lettura uso (parafrasandole solo un po') le stesse parole scritte dallo psicoanalista all'inizio del sesto paragrafo di questo suo saggio: leggendo questo lavoro ho avuto la sensazione di ascoltare la descrizione di una materia universalmente nota, l'impressione che siano stati consumati carta e inchiostro e si sia dato tanto da fare al compositore e allo stampatore del libro solo per esporre cose risapute. La mia personale impressione di aver a che fare con nient'altro che senso comune - il rapporto tra incivilimento e senso di colpa, il prezzo in termini di perdita di felicità che è necessario pagare quale debito per il progresso civile, etc. - è forse ancora più intensa dati gli oltre ottant'anni passati dalla stesura dell'opera e dallo stile freudiano che a me sembra piuttosto arido e piatto.


Gita al faro è stata, invece, l'opera di Virginia Woolf che ho letto per il corso. Il romanzo è una sorta di fenomenologia della coscienza post-cartesiana. Persa la sicurezza, la fiducia, la sovranità, la padronanza, l'autonomia, l'io (post)moderno si ritrova in una condizione tale che "seguire il suo pensiero era come seguire una voce che parla troppo in fretta perché sia possibile trascrivere a matita quel che dice, e la voce era la sua stessa voce che diceva senza alcun suggerimento cose innegabili, permanenti, contraddittorie". Se ancora la voce dell'io è la sua stessa, non ancora quella dell'altro, essa però inizia a sfuggirsi, a "danza[re] su e giù, come uno sciame di zanzare, ognuna separata dall'altra ma tutte mirabilmente trattenute in una invisibile rete elastica", a tessersi sempre più velocemente. Non si disfa, non si è decostruito fino allo sgretolamento, un "nucleo di oscurità in forma di cuneo", dilatato, insondabile, profondo, sembra permanere anche se quasi come un estraneo in casa, un perturbante segreto familiare e incredibile insieme, ma non ha, non può avere, "la dignità degli alberi immobili". "Aereo e evanescente, un colore che sfuma nell'altro come i colori sulle ali di una farfalla", è l'io, "ma sotto la costruzione [è] saldamente tenuta insieme da sbarre di ferro", si può "increspare con il respiro" ma non si può "spostare con un attacco di cavalli".

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