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martedì 16 febbraio 2016

l'impossibile aldilà di una sovrana crudeltà

Secondo Jacques Derrida se la possibilità della crudeltà è irriducibile nella vita dell'essere animato, allora ogni discorso altro – teologico, metafisico, genetico, etc. – da quello della psicanalisi non potrebbe aprirsi a questa ipotesi, la ridurrebbe, escluderebbe, priverebbe di senso: il solo discorso che possa rivendicare la questione della crudeltà è la psicanalisi, il “senza alibi” senza di cui non si può prendere in considerazione la crudeltà. Ecco perché in Statid'animo della psicanalisi, unendo il tema della crudeltà a quello della sovranità, è agli psicanalisti che si rivolge per nuove Considerazioni attuali sulla guerra, per un nuovo Perché la guerra?
Nella sua corrispondenza con Freud, Einstein aveva osservato che la forza e il diritto (Macht und Recht) vanno di pari passo – nessun diritto senza possibilità di costrizione aveva detto lo stesso Kant –; che una pulsione di potere caratterizza ogni nazione, spontaneamente protesa alla sovranità e avversa a una restrizione dei diritti sovrani dello Stato; che l'uomo alberga in sé il bisogno di odiare e di distruggere, una pulsione di crudeltà. Così, solo l'abbandono incondizionato da parte di ogni nazione di almeno una parte della propria sovranità potrebbe non paralizzare gli sforzi di una giustizia internazionale.
Freud, d'altra parte, denuncia come illusorio uno sradicamento delle pulsioni di crudeltà, di potere, di sovranità: ciò che è necessario coltivare è una transazione differenziale, un'economia della diversione, un avanzare indiretto. Legata all'essenza della vita, la crudeltà non ha un contrario ma solo differenze di modalità, qualità, intensità. L'ideale, afferma Freud, sarebbe una comunità la cui libertà consistesse nel sottomettere la vita pulsionale a una “dittatura della ragione”: un progresso per spostamento indiretto e restrizione delle forze pulsionali.
Derrida, però, sottolinea gli aspetti problematici del discorso freudiano. Benché Freud riconosca che non c'è alcuna valutazione etica nella descrizione delle polarità pulsionali e che non ha senso volersi sbarazzare delle pulsioni distruttrici perché senza di loro cesserebbe la vita stessa, egli poi, però, radica nella vita, nella vita organica, nell'economia autoprotettrice della vita organica, in uno dei poli della polarità quindi, tutta la razionalità in nome della quale egli propone di sottomettere o di restringere le forze pulsionali. Giustificare un pacifismo, un'opposizione alla pena di morte, una difesa del diritto alla vita, non si può fare in modo radicale a partire da un'economia della vita, della vita organica. Derrida afferma che c'è, che occorre che ci sia qualche riferimento a una vita, certo, ma a una vita altra da quella dell'economia del possibile, una vita im-possibile probabilmente, una sopra-vita (sur-vie), la sola che valga di essere vissuta, senza alibi, una volta per tutte, una sola volta per tutte, la sola a partire dalla quale un pensiero della vita è possibile. Ciò si può dare solo a partire da figure dell'incondizionato impossibile come l'ospitalità, il dono, il perdono, l'imprevedibilità, il forse, l'evento, la venuta dell'altro.
E se vi fosse, in alcuni casi, crudeltà nel non donare la morte? E se vi fosse dell'amore nel voler donarsi la morte in due, l'uno all'altro, l'uno per l'altro, simultaneamente e no? E se vi fosse un “si soffre crudelmente in me, in un io” senza che si possa supporre che vi sia qualcuno che esercita una crudeltà?

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