Gianluca Cuozzo in Utopie e realtà
lega insieme melancolia, utopia e realismo e traccia i risultati del
loro contatto fecondo, del loro incontro proficuo. La malincolia è
un “radioso rimpianto” (Baudelaire), un anelito all'inversione
del tempo, da cui emerge il ricordo dell'inadempiuto, di un residuo
di realtà da concretizzarsi che è precisamente ciò di cui si nutre
l'utopia concreta: far dell'inadempiuto la chance, l'opportunità del
momento, senza allentare i legami imprescindibili dell'alternativa
utopica con il mondo reale. Armarsi di melancolia, per Benjamin,
significa acquisire una competenza storico-mondana davvero
intransigente rispetto a ogni “ingenuo ottimismo” e “volgare
naturalismo storico”; essa spinge a intravedere le crepe della
decadenza ma anche a immaginare azioni che aprano la storia a quel
potenziale di alterità che essa stessa cova. La melancolia si mostra
quindi come il risvolto interno del nastro dell'utopia, come il
principio gravitazionale di realtà che le è necessario. Anche se
sotto il segno dell'angoscia, essa restituisce la domanda circa
l'altro luogo dell'ancora aperto nella storia.
È nell'ambiguità irriducibile della
complessione melancolica – avvinghiata alla terra ma insieme
disperatamente protesa verso le altezze celesti, condannata
all'infelicità passata eppure aperta sul margine possibile – che
va ricercata una declinazione del pensiero utopico che, sebbene non
rassegnato al presente, sappia però resistere alle filosofie del
progresso sempre passibili di rovesciarlo in distopia. È in una
archeologia o anamnesi del residuale in cui “nulla di ciò che è
avvenuto dev'essere mai dato per perso” (Benjamin), in cui muoversi
come “straccivendoli” – robivecchi che per Baudelaire è
l'alter ego del poeta, uomo incaricato di raccattare i rifiuti di
giornata di una grande città e perciò in possesso delle chiavi per
decifrare le sparse rovine della realtà moderna – a caccia degli
scarti e del pattume dimenticato dell'esistente che sono però
possibilità emancipative tuttora futuribili e latenti in questi
stessi lacerti e cascami del passato, che si reimmette l'utopia nel
circuito della realtà.
La natura è il punto di massima
prossimità tra utopia e realismo: il sogno di ripristino, per nulla
regressivo, di una condizione perduta da cui dipende la stessa
sopravvivenza dell'uomo. Ecco che desiderio dell'altrove e critica
del presente conducono a una ecosofia senza la mediazione della quale
non vi è salvezza storica, utopica in senso vero.
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