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lunedì 8 febbraio 2016

malinconia, utopia, realismo

Gianluca Cuozzo in Utopie e realtà lega insieme melancolia, utopia e realismo e traccia i risultati del loro contatto fecondo, del loro incontro proficuo. La malincolia è un “radioso rimpianto” (Baudelaire), un anelito all'inversione del tempo, da cui emerge il ricordo dell'inadempiuto, di un residuo di realtà da concretizzarsi che è precisamente ciò di cui si nutre l'utopia concreta: far dell'inadempiuto la chance, l'opportunità del momento, senza allentare i legami imprescindibili dell'alternativa utopica con il mondo reale. Armarsi di melancolia, per Benjamin, significa acquisire una competenza storico-mondana davvero intransigente rispetto a ogni “ingenuo ottimismo” e “volgare naturalismo storico”; essa spinge a intravedere le crepe della decadenza ma anche a immaginare azioni che aprano la storia a quel potenziale di alterità che essa stessa cova. La melancolia si mostra quindi come il risvolto interno del nastro dell'utopia, come il principio gravitazionale di realtà che le è necessario. Anche se sotto il segno dell'angoscia, essa restituisce la domanda circa l'altro luogo dell'ancora aperto nella storia.
È nell'ambiguità irriducibile della complessione melancolica – avvinghiata alla terra ma insieme disperatamente protesa verso le altezze celesti, condannata all'infelicità passata eppure aperta sul margine possibile – che va ricercata una declinazione del pensiero utopico che, sebbene non rassegnato al presente, sappia però resistere alle filosofie del progresso sempre passibili di rovesciarlo in distopia. È in una archeologia o anamnesi del residuale in cui “nulla di ciò che è avvenuto dev'essere mai dato per perso” (Benjamin), in cui muoversi come “straccivendoli” – robivecchi che per Baudelaire è l'alter ego del poeta, uomo incaricato di raccattare i rifiuti di giornata di una grande città e perciò in possesso delle chiavi per decifrare le sparse rovine della realtà moderna – a caccia degli scarti e del pattume dimenticato dell'esistente che sono però possibilità emancipative tuttora futuribili e latenti in questi stessi lacerti e cascami del passato, che si reimmette l'utopia nel circuito della realtà.
La natura è il punto di massima prossimità tra utopia e realismo: il sogno di ripristino, per nulla regressivo, di una condizione perduta da cui dipende la stessa sopravvivenza dell'uomo. Ecco che desiderio dell'altrove e critica del presente conducono a una ecosofia senza la mediazione della quale non vi è salvezza storica, utopica in senso vero.

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