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mercoledì 31 agosto 2011

relatività

Anche per Eraclito non poteva mancare l'accostamento ad un'opera di Escher: praticamente immediato quello fra la litografia Relatività (1953) e il frammento «Una e la stessa è la via all’in su e la via all’in giù» (fr. B60).
Entrambi a sottolineare l'intima unità dei contrari, come quella tra luce e tenebre.


martedì 30 agosto 2011

aracnoni e scempiristi

Aracnoni. Viene chiamato così un gruppo di tipi noiosi e dogmatici (anche noti come razionalisti) che si prefigge di rifondare l'edificio del sapere sulla base di evidenze inconfutabili (o presunte tali) e che qualcuno paragona a ragni che ricavano dalla loro stessa bava la materia per le intricate costruzioni mentali che enunciano. Gli Aracnoni sono, infatti, matematici pignoli che, partendo dal teorema di Euclide, pretendono di spiegare l'universo, avvalendosi di idee innate e concetti aprioristici mai verificabili dall'esperienza. Per entrare nei meandri del loro pensiero è necessario pertanto mettersi comodi, togliersi le scarpe, preparare il bricco del tè se è inverno, tirare fuori il ghiaccio dal frigo se è estate, accendersi una sigaretta se si è ancora "tossici", armarsi di tanta buona volontà e ingaggiare la sfida con questi tizi.
Gli Scempiristi sostengono, invece, che ogni eventuale teoria del mondo deve essere costruita con cautela, passo dopo passo, con l'aiuto dell'esperienza, senza mai allontanarci da quello che ci mostra e con la precisa consapevolezza che in fondo non siamo che scimmioni, risaliti geneticamente, che tentano di capirci qualcosa su quello che ci circonda. Tra di essi c'è chi mette in discussione il concetto di sostanza, cioè l'idea stessa che la realtà possa essere individuata attraverso le impressioni che riusciamo a farci di essa, chi arriva addirittura a negare l'esistenza di un mondo che sia indipendente dal soggetto che crede di percepirlo, chi porta l'attacco ancora più a fondo, alla cittadella dell'io, negando l'esistenza del soggetto.
Come a dire, insomma, che l'esperienza ci insegna che non possiamo essere esperti di un bell'accidente.
 
(da Zap Mangusta, I calzini di Hegel) 

lunedì 29 agosto 2011

cosmico

Ancora una litografia di Escher, questa volta Ordine e caos (1950), per dare immagine a dei concetti filosofici, questa volta quelli dei pitagorici, secondo cui «La natura del cosmo è composta di elementi illimitati e di elementi limitati: sia il cosmo nel suo insieme che tutte le sue parti» (Filolao, fr.B1).
All’opposizione fondamentale tra limite e illimitato, ne corrispondono altre nove: impari e pari, unità e molteplicità, destra e sinistra, maschio e femmina, quiete e movimento, retta e curva, luce e tenebre, bene e male, quadrato e rettangolo. I primi termini rappresentano l’ordine e la perfezione, i secondi il male.
La lotta tra gli opposti è conciliata dal principio di armonia, che unisce il molteplice e accorda il discorde. Questo implica un’idea di mondo come ordine misurabile, appunto come cosmo (cosmos).

domenica 28 agosto 2011

luce e tenebra

«Là dove c'è la luce, le tenebre sono in agguat. Questo l'incipit di tutti gli episodi della serie nipponica Garo, e mi sembra perfetto per introdurre la filosofia di Eraclito.
In particolare, la sua idea di unità dei contrari per cui «L’opposto concorde e dai discordi bellissima armonia [e tutto accade secondo contesa]» (fr. B8).
Gli opposti non possono essere aboliti, se non si vuole distruggere la cosa in cui si realizzano; il nodo, la struttura intima di ogni cosa è l’unione, la connessione di contrari, di convergente e divergente: condizione necessaria per l’esistenza della cosa stessa è l’esistenza delle forze contrastanti che, momento per momento, la sostengono, la realizzano. Qualunque cosa solo «mutando riposa» (fr. B84a), perché la conseguenza di una eventuale interruzione della tensione continuamente cangiante dei contrari, degli opposti, sarebbe la sua distruzione, la sua disgregazione. Dipendenza reciproca degli opposti, che sono momenti di uno stesso processo, non sono nulla di consistente e permanente in sé.
Quindi, là dove c'è la luce, non possono che esserci anche le tenebre.

garo

sabato 27 agosto 2011

altro che secoli bui

Cosa dobbiamo al Medioevo? Provo ad enumerare alcune voci: gli occhiali, la carta, la filigrana, il libro, la stampa a caratteri mobili, l'università, i numeri arabi, lo zero, la data di nascita di Cristo, banche, notai e Monti di pietà, l'albero genealogico, il nome delle note musicali e la scala musicale.
Il Medioevo ci dà i bottoni, le mutande e i pantaloni; ci fa divertire con le carte da gioco, i tarocchi, gli scacchi e il carnevale; lenisce il dolore con l'anestesia, ci illude con gli amuleti (ma il corallo, che protegge i bambini e dal fulmine, aiuta anche a sgranare il rosario). Ha portato nella casa il gatto, i vetri alle finestre e il camino; ci fa sedere a tavola (i Romani mangiavano sdraiati) e mangiare con la forchetta, la pasta tanto amata, proprio i maccheroni e i vermicelli, la cui farina viene instancabilmente macinata dai mulini ad acqua e a vento.
In battaglia ha fatto sventolare le bandiere con gli stemmi colorati e risuonare il fragore della polvere da sparo, dei fucili e dei cannoni. Ha cambiato il nostro senso del tempo, su questa terra, con l'orologio a scappamento, introducendo le ore di lunghezza uguale e non più dipendenti dalle stagioni; ha cambiato il nostro senso del tempo, nell'aldilà, perché ha fatto emergere un terzo regno, il purgatorio, che rompe i destini immutabili dell'eternità. Infine, fa sognare i bambini con Babbo Natale.

(da Chiara Frugoni, Medioevo sul naso)

venerdì 26 agosto 2011

in principio fu...

L'amore che è tutto ciò di cui abbiamo bisogno, secondo alcuni non sarebbe altro che una droga, un cocktail di dopamina, feniletilamina e ossitocina che, entrando in circolo nel sangue, provocherebbe una follia chimicamente indotta.
Si può essere d'accordo o meno con questa teoria di alcuni ricercatori universitari, ma non si può non vedere in essa una delle tante applicazioni del principio del riduzionismo: l'idea che si possono comprendere le cose riducendole, appunto, agli elementi che le compongono, o che si possono interpretare processi complessi assimilandoli a processi semplici.
Il primo uomo a proporre questo tipo di principio, è stato Talete: la sua dottrina secondo cui "tutto è acqua" non è altro che un'operazione di grande riduzione.
E così per i suoi successori della scuola di Mileto, Anassimandro e Anassimene: pur teorizzando ognuno un principio (arché) diverso, tutti però sostenevano se si vuole capire il mondo bisogna descrivere le cose in una forma che risulti comprensibile, e ridurre qualcosa è come tradurlo in un linguaggio più accessibile, in cui essa sia più semplice da gestire e meno misteriosa; sono i livelli più bassi di descrizione a denotare la vera realtà, perché è in essi che la natura prende le sue grandi decisioni, perciò per comprendere un fenomeno la cosa più utile è scendere ai livelli inferiori, più elementari.

 Maurits Cornelis Escher, Verbum, 1942, litografia.

Ci dev’essere una qualche sostanza, o più d’una, da cui le altre cose vengono all’esistenza
[fr.A12].



giovedì 25 agosto 2011

ora che sappiamo chi sei tu, so chi sono io

David Dunn (interpretato dal duro a morire Bruce Willis), agente della sicurezza allo stadio di Filadelfia e uomo infelice, è l'unico sopravvissuto di un disastro ferroviario (125 morti). Elijah Price (Samuel L. Jackson), collezionista di fumetti e affetto da una rara malattia alle ossa che lo rende "fragile", si convince che Dunn sia una sorta di eroe indistruttibile.
Il regista M.Night Shyamalan torna nel 2000
dopo il successo de Il sesto senso (1999) con un altro thriller, Unbreakable, inquietante, visionario e della forte ambizione filosofica.
Quali sono i possibili impliciti filosofici che sostengono la trama del film? Forse basta ascoltare/leggere le parole conclusive dell'uomo di vetro Elijah rivolte all'indistruttibile David: «Ora che sappiamo chi sei tu, so chi sono io. Non sono un errore, tutto ha un senso. Nei fumetti lo sai come si fa a sapere chi è il cattivo più temibile? È l'esatto opposto  dell'eroe e molto spesso sono amici, come io e te».
In quel romanzo di formazione della coscienza e ragione umane che è la Fenomenologia dello Spirito, Hegel sostiene che l’autocoscienza non può restare una vuota identità, un’autointuizione formale, non può rimanere chiusa nella singolarità del soggetto: essa ha bisogno di essere riconosciuta, di realizzare la propria libertà e identità mediante un altro essere altrettanto libero ed autocoscienze e capace quindi di darle la certezza di essere tale. Questo non può avvenire attraverso un rapporto puramente comunicativo, teoretico, ma comporta inevitabilmente una dimensione pratica di sfida e di lotta, il cui esito è l’instaurarsi del rapporto servo-padrone: un’autocoscienza è pronta a rinunciare alla vita pur di essere riconosciuta indipendente, l’altra ad accettare di essere dipendente pur di non perdere la vita.
Solo sapendo chi è l'altro da sé si può arrivare a sapere chi si è, solo nel concreto rapporto con il diverso, l'opposto, si può costruire la propria autocoscienza. Come è per il servo e il padrone, così solo incontrando un uomo indistruttibile il fragile Elijah sa chi è, sa che non è un errore, sa di essere l'uomo di vetro; e viceversa, solo dopo l'incontro con il suo opposto, David inizia a capire di essere un uomo che non si ammala mai, che non si può "rompere".

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