Uno spettro si aggira per l'Italia. Che cos'è il Nuovo Realismo? No, non il fenomeno culturale e cine-letterario dell'Italia degli anni Quaranta e Cinquanta, quello era il Neorealismo. Il Nuovo Realismo - o, meglio, New Realism, che fa più fico - è il risultato delle "fantasticherie di un pensatore reazionario" (Donatella Di Cesare) e fondamentalista quale Maurizio Ferraris, la fiction e invenzione pseudo-filosofica e di consumo, sotto un'etichetta e un brand ammiccanti e commerciali, di chi si auto-proclama "paladino dei fatti, degli oggetti, del mondo, della realtà", di una assoluta verità oggettivamente vera. Mischiando buon senso e risentimento anti-filosofico, il New Realism inviterebbe "a disfarsi di secoli di riflessioni, a buttar via libri e saggi, che prenderebbero tempo ed energie, insomma a semplificarsi l'esistenza", promettendo e proponendo in cambio poche pagine e pochi pensieri rassicuranti, non disorientanti, che non spingeranno il lettore a pensare.
"Bentornata ingenuità!" (Fabio Milazzo) più che realtà, sarebbe il caso di dire, vista l'idea proposta da Ferraris, la cui grande novità non sarebbe altro che la vecchia, pre-moderna, medievale, tomistica concezione della verità come corrispondenza, come adeguamento dell'intelletto alle cose, per cui le teorie sarebbero vere se rispecchiano una realtà e una natura che esiste indipendentemente dal soggetto che la osserva e ne fa esperienza. Negando ogni idea complessa di realtà, questo "ingenuo antropomorfismo" fa sì che "il pensiero risulti assolutamente inutile, privo di valore", ed esige in qualche modo il sacrificio dell'intelletto.
Il "ritornare ad una forma di filosofia che non ha più corso da almeno tre secoli a questa parte" (Corrado Ocone) mostra un Ferraris interessato "più che alla 'verità', all'affermazione". La conferma su "chi è il nuovo realista" (Laura Cervellione) ce la dà il suo antidemocratico atteggiamento di sentirsi benedetto e di "mostrarsi come la Ragione" - fatto "certamente più facile di dimostrare di avere ragione" -, la sua fallace e illogica "strategia argomentativa che mira a squalificare" (Lorenzo Magnani) chi non sottoscrive la posizione del realismo ingenuo, riducendolo a un Hitler, affermando che così "allora vinceranno sempre i Berlusconi, i Bush e magari pure i negazionisti avranno sempre ragione".
Decostruendo questo New Realism, esso appare più che altro e nient'altro che "un fenomeno filosofico-mediatico sapientemente incorniciato in una potente narrazione editoriale tutta italiana alla disperata ricerca di visibilità" (Simone Regazzoni), pubblicizzato in maniera virale per vendere una merce che, oltre la confezione, non ha nulla di meglio da dire se non "il fuoco brucia, il sole acceca, l'acqua bagna, addirittura i muri oppongono resistenza se tenti di passarci attraverso".
Il nuovo realismo è un populismo secondo i sopracitati autori dell'omonimo saggio, dunque, perché non è altro che una banalizzazione e volgarizzazione del pensiero filosofico il cui obiettivo è riscuotere successo e consenso tra il pubblico. Non si tratta affatto di una non condannabile - anzi! - popolarizzazione della filosofia, di una resa democratica del diritto alla filosofia, ma di una riduzione e degradazione del pensiero al mercato, al conservatorismo, al mite buon senso ingenuo e comune, rinunciando a "creare concetti che siano aeroliti piuttosto che merci" (Gilles Deleuze, Felix Guattari, Che cos'è la filosofia?), a "stabilire nuove verità, con coraggio e perseveranza" (Lorenzo Magnani).
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