Discutendo di nuovo, come ogni anno, della critica mossa da Montaigne nei suoi Saggi alla visione presuntuosa e arrogante di un uomo che è «la piú disgraziata e la piú fragile di tutte le creature e tuttavia la piú orgogliosa», che «s'immagina di porsi al di sopra della sfera lunare e di poter mettere il cielo sotto i suoi piedi» e che «per la vanità di questa stessa immaginazione si eguaglia a Dio, si attribuisce le possibilità divine, attribuisce a se stesso ogni privilegio e si separa dalla massa delle creature», e quindi ricordando di come il filosofo francese avesse fatto l'esempio della sua gatta per spiegare tutto ciò – «quando gioco con la mia gatta chissà se essa mi prende come suo passatempo cosí come faccio io per essa?» –, questa volta la mente va alla letteratura giapponese e allo splendido incipit del romanzo Io sono un gatto di Natsume Soseki.
"Io sono un gatto. Un nome ancora non ce l'ho. Dove sono nato? Non ne ho la più vaga idea. Ricordo soltanto che miagolavo disperatamente in un posto umido e oscuro. È lì che per la prima volta ho visto un essere umano. Si trattava di uno di quegli studenti che vivono a pensione presso un professore - mi hanno poi detto - e che fra tutti gli uomini sono la specie più perversa. Si racconta che costoro ogni tanto acchiappino uno di noi, lo mettano in pentola e se lo mangino. Però in quel momento, non sapendolo, non ebbi paura. Provai soltanto un senso di vertigine quando lo studente mi mise sul palmo della mano e di colpo mi sollevò per aria. Appena ritrovai una certa stabilità lo guardai in faccia, era il primo individuo appartenente alla specie umana che vedevo in vita mia. Che creatura curiosa, pensai, e quest'impressione di stranezza la conservo tuttora. Tanto per cominciare il viso, invece di essere coperto di peli, era liscio come una teiera. In nessuno degli innumerevoli gatti che ho conosciuto in seguito ho mai riscontrato una tale deformità. Come se non bastasse, nel bel mezzo della faccia aveva una protuberanza esagerata. Con due buchi dai quali ogni tanto uscivano sbuffi di fumo. Mi sentii soffocare, stavo per svenire. Solo di recente ho saputo che era tabacco, una cosa che agli uomini piace fumare".
In alcune delle sue osservazioni attente e distaccate sullo strano genere umano, poi, questo gatto sostiene che evidentemente, in origine, la natura avrebbe creato gli uomini e li avrebbe messi in questo mondo tutti uguali, come dimostrerebbe il fatto che ognuno di essi nasce completamente nudo. E "se fosse nella loro natura contentarsi dell’uguaglianza, dovrebbero essere soddisfatti di crescere e invecchiare nudi. Ma un giorno uno di questi uomini nudi probabilmente si è detto: visto che siamo tutti uguali, qual è l’utilità dello studio? Che risultato danno lo sforzo e la fatica? In qualche modo vorrei distinguermi dalla massa, vorrei essere unico e inconfondibile. Dovrei indossare qualcosa che stupisca tutti. Dopo aver riflettuto una decina d’anni per trovare quel che faceva al caso suo, il nostro uomo inventò finalmente delle corte braghe, se le infilò immediatamente e se ne andò in giro pavoneggiandosi e cercando di intimidire la gente".
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