Finito il secondo volume della saga I canti di Hyperion, passo in libreria lo stesso giorno per comprare i seguenti due e, girando nel reparto filosofia, mi imbatto tra le novità nel nuovo libro di Slavoj Žižek, Benvenuti in tempi interessanti, di cui decifro subito il riferimento del titolo alla maledizione cinese contro qualcuno che si odia davvero (e a cui, quindi, si augura di vivere in un periodo di irrequietezza, guerre e lotte) proprio perché l'avevo giusto letta il giorno stesso nel finale della saga fantascientifica di Dan Simmons.
Dopo l'apocalittico Vivere alla fine dei tempi, il "filosofo più pericoloso d'Occidente" ci invita a riflettere sull'era postpolitica dell'economia naturalizzata, che si crede ormai libera da ogni forma di ideologia perché la scienza economica ci mostra ormai i fatti e perché la forma istituzionale dello Stato è ormai un dato ovvio, scontato, garantito, assodato, insomma, naturale – «la cornice democratica dello Stato (borghese) rimane la vacca sacra che anche le forme più radicali di "anticapitalismo etico" non osano mettere in discussione». Ma in realtà «non c'è nulla di "naturale" nella presente crisi» e «il sistema economico globale esistente si basa su una serie di decisioni politiche».
Per affrontare i tempi interessanti che la crisi ci propone e in cui ci sarà da divertirsi, resta invece valida, secondo Žižek, l'intuizione chiave di Marx, secondo cui «la questione della libertà non deve essere situata in primo luogo nella sfera politica vera e propria» perché «il cambiamento di cui abbiamo bisogno non è una riforma politica, ma una trasformazione dei rapporti sociali», il che comporta che la soluzione non possa derivare da elezioni democratiche o da qualche altra misura politica in senso stretto, bensì dalla lotta di classe rivoluzionaria. L'autore concorda con Badiou nel sostenere che il nome del nemico supremo odierno non è tanto capitalismo, o impero, o sfruttamento, ma piuttosto democrazia, intesa come l'accettata e diffusa illusione «che siano i meccanismi democratici a fornire la sola cornice di ogni possibile cambiamento, il che impedisce qualsiasi trasformazione radicale dei rapporti capitalistici».
Non una semplice opposizione alla democrazia parlamentare è però l'invito di Žižek per questi tempi interessanti, ma qualcosa che si muove a un livello radicalmente altro, un impegno non limitato al solo atto di voto, ma che comporti anche «una fedeltà continua a una Causa, un paziente e collettivo "atto d'amore"». Questa Causa l'autore, riprendendo ancora Badiou, la chiama comunismo, inteso come idea regolatrice che è possibile immaginare come la continuativa e «lunga tradizione del millenarismo radicale e delle rivolte egualitarie», come un'eterna idea dello «spirito egualitario mantenuto vivo nell'arco di migliaia di anni in rivolte e sogni utopici, nei movimenti radicali da Spartaco a Thomas Müntzer, incluso all'interno delle grandi religioni», come «un progetto emancipativo condiviso» che ha dato alimento «alla democrazia dell'antica Grecia, alla rivoluzione francese e a quella russa».
Con un collettivo atto d'amore impegnarsi e lottare per «prendere in modo eroico qualsiasi potere sia accessibile e, controcorrente, fare quello che si può»; una scommessa senza alcuna garanzia esterna, un correre «il rischio di compiere passi nell'abisso del Nuovo in situazioni completamente inaudite».
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