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sabato 7 aprile 2012

divertenti e graziosi giocattoli

More about La caduta di Hyperion«Possono non esistere esseri superiori divertiti da qualcuna delle graziose, per quanto istintive, attitudini in cui cade la mia mente, mentre considero la prontezza d'un ermellino o il timore d'un cervo? Per quanto una zuffa per strada sia cosa da odiare, le energie che mostra sono belle. Per un essere superiore, i nostri ragionamenti forse assumono lo stesso tono... per quanto errati, forse sono belli. Ed è questa, la vera essenza della poesia».
Questo passaggio tratto da una lettera del poeta inglese John Keats, uno dei miei preferiti dagli adolescenziali tempi del liceo, al fratello, già citato all'interno del primo volume del ciclo I canti di Hyperion di Dan Simmons, funge da esergo del secondo, che ho giusto finito l'altro ieri.
E a me fa risuonare in mente alcuni frammenti di Eraclito, in cui l'oscuro filosofo spegne urgentemente come fosse un incendio ogni vana presunzione umana di lucida e definitiva conoscenza e comprensione della ragione e delle leggi della realtà, poiché «la qualità interiore umana, invero, non possiede gli strumenti del conoscere», non avendo natura divina, cosicché «di fronte alla divinità l’uomo risulta infantile, proprio come il fanciullo di fronte all’uomo» e le idee degli uomini non sono altro che divertenti e graziosi «giocattoli di fanciulli».
Inoltre «dell’arco, invero, il nome è vita, ma l’opera è morte», scrive Eraclito. Il frammento allude al gioco di parole tra biòs, arco (che, adoperato come arma, può portare la morte, uccidere), e bìos, vita; allo stesso tempo, è presente un richiamo al dio Apollo, di cui sono strumenti caratteristici sia l’arco sia la lira. Così, il senso del frammento sarebbe, secondo Giorgio Colli, che «le opere dell’arco e della lira, la morte e la bellezza, provengono da uno stesso dio, esprimono un’identica natura divina, e soltanto nella prospettiva deformata, illusoria del nostro mondo dell’apparenza si presentano come frammentazioni contraddittorie» (La nascita della filosofia).
Allo stesso tema rimanda il frammento «belle, di fronte al dio, sono tutte le cose; ma gli uomini hanno giudicato alcune cose come ingiuste, altre invece come giuste». Tutte le cose sono forme differenti in cui l’unico dio compare, dio che «si altera nel modo in cui il fuoco – ogni volta che divampi mescolato a spezie – riceve nomi secondo il piacere di ciascuno»: come il fuoco resta lo stesso e contemporaneamente diventa diverso, diversamente profumato e colorato, a seconda del particolare aroma che gli si getta dentro, così il dio, che è unità dei contrari, si realizza per l’uomo in un contrario o nell’altro nelle varie contingenze della vita. L’ingiustizia, la bruttezza, la negatività delle cose (le odiose zuffe di strada di cui scrive Keats) esistono solo per l’uomo, il dio non può essere assoggettato dalle categorie della predicazione umana. Viene, così, evidenziata la frattura metafisica fra il mondo e la prospettiva degli uomini e quelli degli dei. «Il mondo» – secondo Oswald Spengler – «è un enorme ed eterno àgón che si svolge secondo rigide regole di combattimento», ha il ritmo e la misura, la forza terribile, di una lotta che però, paradossalmente, «si scioglie in armonia» perché è «qualcosa che non è nulla di umano» e di cui il filosofo può godere, «gioire della leggerezza, dell’innocenza, dell’assoluta mancanza di sofferenza nello spettacolo del suo divenire e operare» (Eraclito).

2 interventi:

dreca ha detto...

il titolo e il libro...in contenuto e il libro..e io che speravo in un mega spoilerone...

nicce ha detto...

no, solo pretesti ;-)

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