Rileggendo le storie degli X-Men della seconda metà degli anni '80, quelle con cui ho cominciato, quelle scritte da Chris Claremont, quelle in cui fa il suo esordio Psylocke, mi imbatto in questo dialogo del 1987 da Uncanny X-Men 214, ripubblicato da poco sul secondo volume della saga Massacro mutante.
Tempesta – dalle infinite sfumature, fedele a se stessa e che non si scusa per come appare agli altri, leader del gruppo mutante dal taglio di capelli mohawk (erroneamente noto in Italia come "alla moicana") – affronta la malvagia entità predatoria Malice, il cui potere consiste nel possedere un corpo ospite e controllarlo corrompendo il suo lato più oscuro. Ma su Tempesta non funziona:
«Hai perso Malice! Il mio lato oscuro... la nostra natura più cupa... è ciò che ti sostiene e ti dà potere su di noi. Ma è anche una parte di quanto fa di me il capo degli X-Men. Più lo richiamavi in superficie, più mi rendevi in grado di resisterti. Non potevi corrompere quella parte di me che da tempo ho abbracciato. Non potevi tentarmi... con ciò che già possiedo».
Un eroismo, questo di Tempesta, degno dell'eroe postmoderno sporco come l'ispettore Callaghan di Clint Eastwood e oscuro come il Batman di Frank Miller dell'ultimo saggio di Simone Regazzoni, di un eroe che ha imparato ad abbracciare e a giocare con la propria Cosa oscura e disumana.
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