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venerdì 30 dicembre 2011

mosè

Savonarola può essere visto come esempio del confluire di due tradizioni che non rifuggono dall’ira: quella dell’aristotelismo tomistico spesso adottato dall’ordine domenicano e quello della tradizione dell’ira di Dio, che riferisce alla fabbricazione del vitello d’oro, allo scatto d’ira di Mosè che spezza le tavole della legge, all’uccisione delle tremila persone colpevoli di una regressione a divinità dagli uomini. Il modello di Mosè quale emancipatore del suo popolo sta alla base della nostra immagine di rivoluzione. Tutte le rivoluzioni moderne considerano le fasi di transizione, l’attraversamento del deserto, come il momento in cui occorre la durezza affinché non si perda la fede nella Terra Promessa e nella sua invisibile necessità, dettata dalla nuova divinità che è la Storia.
Anche per Machiavelli è necessario far uccidere coloro che sono impossibilitati a comprendere il nuovo. «Tutt’i profeti armati vinsono, e li disarmati ruinorno. Moisè, Ciro, Teseo e Romulo non arebbero potuto fare osservare loro lungamente le loro costituzioni, se fussino stati disarmati». Diversamente da Savonarola, Papa Giulio II Della Rovere non era un profeta disarmato. Questo combattivo Papa «procedette in tutto il tempo del suo pontificato con impeto e con furia». Non per nulla, sulla sua tomba in San Pietro in Vincoli Michelangelo ha potentemente messo al centro il suo Mosè, nel momento in cui sta per cedere all’ira e spezzare le tavole della Legge.
Nel Mosè e Aronne di Schönberg si presenta la complementarietà antagonistica tra i due fratelli: da un lato vi è Mosè, il rappresentante della legge, della parola essenziale, del pensiero senza immagini, della trascendenza; dall’altro lato vi è Aronne, che dona al popolo immagini visibili, fatte dall’uomo, in grado di compiere miracoli, attorno alle quali sono lecite l’anarchia e le orge. Si tratta di una polarità ineliminabile.
Noto è l’episodio di un dibattito tra un rappresentante del Partito Comunista Tedesco e uno del Partito Nazional-Socialista Tedesco. Il comunista infarcì il suo discorso di cifre, di citazioni dal Capitale di Marx, discettò sulla caduta del saggio medio di profitto; il nazionalsocialista al contrario fece ricorso al mito, alle immagini, all’emotività, assimilò comunismo e capitalismo in quanto fattori di disumanizzazione e di prevalenza delle macchine, toccò le corde profonde dei presenti e alla fine uscì trionfalmente vincitore da questo duello oratorio convincendo delle sue idee anche chi era contrario.

(Remo Bodei, Il Mosè di Schönberg e quello di Machiavelli, in AA.VV., Figure del conflitto)

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