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mercoledì 7 dicembre 2011

per un attimo, la verità

Ne Il Signore del Silenzio, albo 39 della serie Dylan Dog, compare il libro della Verità di Uskebasi, il più grande filosofo dei tempi di Salomone, cui il Re d'Israele aveva dato il compito di scoprire il senso della vita. Dopo trentanni di riflessione, il filosofo aveva prodotto un poderoso tomo ma il Re, venuto a conoscenza della verità in esso contenuta, la ritenne talmente atroce che pensò se ne potesse benissimo fare a meno. Così, si legge nella serie a fumetti, «ancora una volta, come fece Salomone, scacciamo Uskebasi con la sua tremenda risposta! E che la morale sia non chiedersi mai qual è il senso della vita». Commenta Roberto Manzocco, autore del saggio sulla filosofia dylaniata, «la vita non ha alcun senso, cioè è assurda; una volta portata fino alle sue estreme conseguenze, la riflessione sullo scopo dell'esistenza non può che avere un unico, terribile sbocco: il suicidio». Esplicitamente nell'albo 23 della serie dell'Indagatore dell'Incubo viene affermato che «la consapevolezza di vivere e pensare è atroce, se ti assale all'improvviso» e, infatti, il dramma esistenziale di Lancaster, personaggio dell'episodio, è che «lui sa cos'è la vita, e per questo vuole morire» (L'isola misteriosa).
I riferimenti letterari riportati dall'autore a pseudobiblia che, come quello di Uskebasi, inducono al suicidio chi entra in contatto con il loro contenuto orrorifico, vanno dal racconto Il riparatore di reputazioni di Robert William Chambers, a quello di Ambrose Bierce An Inhabitant of Carcosa, dal romanzo dello scrittore praghese Leo Perutz Il maestro del giudizio universale, a Howard Phillips Lovecraft che nell'incipit de Il richiamo di Cthulhu scrive: «Penso che la cosa più misericordiosa al mondo sia l'incapacità della mente umana di mettere in relazione i suoi molti contenuti. Viviamo su una placida isola d'ignoranza in mezzo a neri mari d'infinito e non era previsto che ce ne spingessimo troppo lontano. Le scienze, che fi­nora hanno proseguito ognuna per la sua strada, non ci hanno arreca­to troppo danno: ma la ricomposizione del quadro d'insieme ci aprirà, un giorno, visioni così terrificanti della realtà e del posto che noi occu­piamo in essa, che o impazziremo per la rivelazione o fuggiremo dalla luce mortale nella pace e nella sicurezza di una nuova età oscura». La vita sarebbe assurda, un atroce scherzo senza uno scopo.
Il riferimento filosofico più evidente è, invece, quello alla saggezza silenica – che l'autore richiama solo molto più in là nel volume, in un altro contesto – ricordata da Nietzsche ne La nascita della tragedia: «Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire presto».
Altro riferimento filosofico, ricordato da Manzocco e riconosciuto all'interno della stessa serie, è quello ad Albert Camus e al suo Il Mito di Sisifo, che così inizia: «Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia. Il resto viene dopo». Se si accetta, con Camus, che, nonostante tutto, Sisifo è felice, ecco un'altra strategia esistenziale proposta da Dylan Dog, oltre al richiamo al sogno e alla fantasia, per affrontare la realtà.
Infine, Manzocco chiama in causa Jean-Paul Sartre, secondo cui, afferma l'autore, «l'essenza dell'uomo consiste nell'impulso o nella brama di superare la contingenza, e di rendere se stesso un ente necessario». Ma tale sforzo non può che essere assurdo: «Tutte le attività umane sono equivalenti – perché tendono a sacrificare l'uomo per far nascere la causa di sé – e tutte sono votate per principio alla sconfitta. Così è la stessa cosa ubriacarsi in solitudine o guidare popoli» (L'Essere e il Nulla). L'esistenza umana è fondamentalmente gratuita, contingente, di troppo, non si è necessari e non si costituisce «una parte inemendabile dell'arredamento ontologico del mondo».
Il libro di Uskebasi deve contenere una concezione analoga a quelle fin qui illustrate.

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