Nella classe quarta in cui insegno storia ho appena finito di spiegare l'età napoleonica e, prima di passare alla Restaurazione, mi fermo un po' con le ragazze e i ragazzi a riflettere sul potere politico e la sua legittimità. Come direbbe Max Weber, affinché lo Stato sussista, i dominati devono sottomettersi all'autorità di chi detiene il potere, e vi sono tre "giustificazioni interne", vale a dire tre tipi di legittimità di un potere: attraverso il costume, l'autorità tradizionale, ad esempio il potere esercitato dal patriarca o dal principe di stampo antico; attraverso la legalità, "in forza della disposizione all'obbedienza nell'adempimento di doveri conformi a una regola"; attraverso l'autorità carismatica, il carisma personale del "capo", ad esempio del condottiero in guerra o del demagogo nel parlamento. In qualche modo Napoleone sembra incarnare perfettamente tutte e tre queste giustificazioni e legittimità di potere.
Prendo e propongo allora due testi per approfondire. Il primo è il capitolo dedicato a Napoleone da Alberto Mario Banti nella raccolta I volti del potere.
Parigi, 2 dicembre 1804 Parigi. Chiesa di Notre-Dame. È mattina e tutto è pronto per l’incoronazione di Napoleone a Imperatore dei francesi. Ne è passato del tempo dal 18 brumaio 1799. Il potere di Napoleone è molto solido. Talmente solido che gli sembra sia giunto il momento di dargli la più clamorosa delle sanzioni ufficiali, combinando genialmente tradizione e innovazione. E così, il 18 maggio 1804 viene pubblicato un nuovo testo costituzionale che proclama Napoleone e i suoi discendenti titolari della dignità imperiale. Anche questa modifica viene sottoposta a plebiscito confermativo: i voti favorevoli sono oltre 3.000.000, i contrari 2.569, e di nuovo moltissimi sono coloro che non vanno a votare. Ma questa volta a Napoleone il plebiscito non basta. In forma singolarmente ibrida, l’esercizio della volontà popolare viene affiancato dalla messa in scena di un rito antico, quello dell’incoronazione dell’imperatore. Il ricorso al cerimoniale tardomedievale fa parte di una strategia che intende sottolineare il carattere dichiaratamente neomonarchico del potere riconosciuto a Napoleone. Però Napoleone non è un monarca per diritto ereditario. Lui ne è perfettamente consapevole e se ne vanta perfino, tanto che nel 1805 fa scrivere: “Le ricerche genealogiche sulla famiglia Bonaparte sono una fanciullagine. È facilissimo rispondere alla domanda ‘donde trae origine questa famiglia?’: dal 18 brumaio. Si può essere forse tanto importuni e mancare talmente di rispetto all’imperatore da annettere qualche importanza ai suoi antenati? Soldato, cittadino, sovrano, egli deve tutto alla propria spada e all’amore del popolo”. Non è un sovrano per diritto divino. E allora è necessario che nella cerimonia di incoronazione siano introdotte alcune varianti capaci di esprimere, in modo spettacolare, le peculiarità della nuova potestà imperiale. Quali sono?
Le corone imperiali non vengono poste dal papa sulle teste della coppia imperiale inginocchiata davanti a lui. Al momento giusto è invece Napoleone che si alza in piedi, prende la corona nelle sue mani, si volta verso il pubblico e, dando le spalle al papa, incorona se stesso; dopodiché pone la corona anche sulla testa di sua moglie inginocchiata davanti a lui.
Bonaparte incorona se stesso e la sua consorte dentro una chiesa sotto gli occhi di un annichilito e impotente pontefice, ma secondo un antico rito sacralizzante: è una rappresentazione che in una forma altamente sintetica esprime un modo di intendere la politica che unisce tradizione e innovazione. Napoleone è un sovrano che vuole conservare l’aura sacralizzante che da secoli è propria del potere, minimizzando però il ruolo di mediazione svolto dal vicario di Cristo; la vera legittimazione, il senso vero della sacralità che gli deriva da quel rito, Napoleone pensa di doverla solo a se stesso e alla forza che gli è stata data da atti molto terreni, come le vittorie militari, i colpi di Stato, i plebisciti: e così interiorizza l’aura sacrale che tradizionalmente appartiene alla figura del sovrano, facendola derivare principalmente da se stesso, come a voler sottolineare che tale aura è una funzione delle sue gesta più che l’effetto della mediazione papale e della benevolenza divina.
Il mito del grande dittatore, del condottiero capace di guidare masse di uomini al macello e alla gloria, non smette di brillare; e, ciò che è di più, è un mito che assume paradossali valenze “democratiche”.
Il dittatore bonapartista non è più il sovrano di antico regime. È un uomo uscito dall’oscurità del popolo, capace di farsi da sé, di imporsi per le sue doti magnetiche e carismatiche. È anche un “vero uomo”, dominatore di donne. È un leader che trova nell’esercizio della violenza bellica la massima espressione della sua mascolinità. Soprattutto, è un capo che vuole incessantemente ostentare il consenso popolare che sostiene la sua autorità: non importa se quel consenso è - in misura maggiore o minore - estorto con la repressione del dissenso o con la costante esibizione della forza militare: questo consenso è ciò che fa della dittatura bonapartista una sorta di dittatura “voluta” o “benedetta” dal popolo, e quindi ne fa qualcosa che potrebbe essere definito una “dittatura democratica”.
Ecco, questi sono i tratti di una figura e di un sistema politico che nascono con Napoleone, e che dopo la sua morte non smettono di esercitare il loro potere di fascinazione. In definitiva, la vera importanza storica di Napoleone consiste proprio nel fatto che con lui nasce la figura del dittatore contemporaneo, un “dittatore democratico” che, se non è propriamente “voluto” dal popolo, pretende sempre di parlare e di agire “in nome del popolo”: e, com’è piuttosto evidente, si tratta di una figura politica che sotto varie e diverse incarnazioni non ha mai smesso di abitare i sogni e gli incubi dell’Occidente e dell’America Latina, dai primi dell’Ottocento fino ai giorni nostri.
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