Oltre a tentare – e in maniera originale e pertinente – l'accostamento dei principali personaggi della serie ad aspetti specifici delle filosofie dei più importanti pensatori della storia (Homer e Marge visti sotto la lente dell'etica aristotelica, Bart paragonato all'oltreuomo nietzschiano, Lisa presentata da una prospettiva kantiana) e l'analisi filosofica di alcuni classici e ricorrenti temi simpsoniani (il male e la felicità, l'antintellettualismo) – dimostrando di essere un testo divertente per chi ama la serie tv de I Simpson, profondo per chi si interessa di filosofia, profondamente divertente per chi frequenta entrambi gli ambienti –, I Simpson e la filosofia propone anche una spiegazione possibile sul successo de I Simpson, che sono una serie che ti premia se le presti attenzione: i riferimenti sia alla cultura alta sia a quella popolare tessono un’intricata trama che necessita più visioni e la massima attenzione. Guardando I Simpson, e più volte, proviamo quindi piacere estetico e soddisfazione perché in qualità di spettatori ci piace riconoscere, capire e apprezzare le allusioni. Il pubblico si diverte a partecipare al processo creativo per la sua qualità ludica che invita a giocare. Uno dei più importanti effetti estetici che l’allusione può creare è “coltivare l’intimità” e forgiare la comunità, rafforzare il rapporto tra autore e pubblico che diventano membri di un club con parole d’ordine segrete.
Inoltre, altra caratteristica vincente de I Simpson, è l'iper-ironia. La serie usa lo humour non per impartire lezioni morali, anzi I Simpson probabilmente non impartiscono un bel niente, dato che il meccanismo dello humour della serie propone posizioni morali solo per poterle indebolire in un secondo momento. Ma questo processo di indebolimento opera a un livello così profondo da impedirci di considerare la serie semplicemente cinica, poiché riesce a indebolire anche il proprio cinismo. E questo processo costante di indebolimento è ciò che si può intendere per “iper-ironismo”, che filosoficamente si può far risalire alla versione rortiana di Derrida, al consiglio ai filosofi di considerare se stessi partecipanti storicamente consapevoli e contingenti di una conversazione, invece che ricercatori quasi scientifici. Rorty, una volta convinto della tesi di Derrida sulla non-esistenza della verità filosofica trascendente, ha ristrutturato la filosofia come conversazione storicamente consapevole che in gran parte consiste nella decostruzione delle opere del passato. E partecipare a questa conversazione consapevolmente contingente e auto/iper-ironica è quello che sembrano fare I Simpson. I membri della cui famiglia, alla fine di ogni episodio, si vogliono bene e riescono sempre a trasmetterci la forza pura dell’amore irrazionale (o non razionale) di esseri umani per altri esseri umani, partecipando e dando prova di quella solidarietà che – per lo stesso Rorty – è, forse, l'unico valore non ironicamente decostruibile, non meramente contingente ma umanamente universale.
3 interventi:
Non ho mai seguito in modo particolare i Simpson (anche se 'ai tempi' li apprezzavo). Questo post mi ha incuriosito. Potrei tornare a vederli. Ma per come sono fatto io dovrei recuperare tutte le puntate. E non sono poche.
recuperare tutte le puntate mi pare assai arduo perché, decisamente, non sono poche, ma guardarli e apprezzarli quando capita è un piacere che non ci si dovrebbe negare... anche se è vero che più li vedi e più ne vedi e più li rivedi e più ti piacciono... un circolo virtuoso...
allora 'circolerò'. :-)
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