La versione per il grande schermo dello splendido manga di Kazuo Koike (autore anche di Lone Wolf & Cub) e Ryoichi Ikegami, Crying Freeman, è stata una coproduzione franco-canadese-americana del 1995, diretta da Christophe Gans.
Molto belli i titoli di testa: «centimetro per centimetro la telecamera esplora il corpo muscoloso di un uomo, virato all'azzurro da un filtro colorato. Sulla pelle liscia e glabra si agita la sagoma policroma d'un drago cinese che morde una lama: avvolge l'uomo come una seconda pelle, poi lo abbandona puntando un cielo nero».
Così inizia l'articolo di Giorgio Viaro che fa da postfazione al terzo volumetto del manga. Personalmente concordo con lui quando sostiene che «le riduzioni richiedono una capacitĂ di comprensione della materia a cui si applicano che travalica la semplice passione del fan e che necessariamente deve spingersi, in parallelo, tanto nella disamina dei meccanismi narrativi dell'opera (e, ancor prima, del media su cui nasce), quanto in quella degli snodi simbolici e diegetici che hanno determinato la fondazione del mito in adozione». Ma, proprio per questo, non posso concordare con la sua opinione che il risultato sia un film apprezzabile da tutti, fans e non del manga originale: non ritengo di avere l'oggettivitĂ necessaria per dire se il film potrebbe piacere a chi non conosce il manga, ma di certo è un prodotto che non può che lasciare insoddisfatto ogni suo appassionato ed estimatore.
Così inizia l'articolo di Giorgio Viaro che fa da postfazione al terzo volumetto del manga. Personalmente concordo con lui quando sostiene che «le riduzioni richiedono una capacitĂ di comprensione della materia a cui si applicano che travalica la semplice passione del fan e che necessariamente deve spingersi, in parallelo, tanto nella disamina dei meccanismi narrativi dell'opera (e, ancor prima, del media su cui nasce), quanto in quella degli snodi simbolici e diegetici che hanno determinato la fondazione del mito in adozione». Ma, proprio per questo, non posso concordare con la sua opinione che il risultato sia un film apprezzabile da tutti, fans e non del manga originale: non ritengo di avere l'oggettivitĂ necessaria per dire se il film potrebbe piacere a chi non conosce il manga, ma di certo è un prodotto che non può che lasciare insoddisfatto ogni suo appassionato ed estimatore.
Va bene che non si poteva raccontare tutta la storia, va bene che si narrino solo le vicende dei primi due (dei tredici) capitoli di cui è composto il manga (cioè un volumetto e poco più su cinque), ma i problemi sono ben altri: la scelta degli attori protagonisti, troppo "belloccia" classica lei (mentre Emu Hino dovrebbe avere una bellezza più semplice, sommessa, particolare), troppo poco bello lui (mentre Yo Hinomura è un ottimo killer anche per il suo bel viso); le totalmente insensate rappresentazioni di alcuni personaggi, come Koh (che da migliore amico del Freeman e a lui totalmente devoto e fedele viene trasformato in un suo "supervisore" disposto anche a ucciderlo), la vecchia Hu Fengling (che non è assolutamente maligna come viene descritta) e, in generale, l'organizzazione dei cento otto draghi (che nel manga è una famiglia pronta ad accogliere la nuova venuta, pur mettendola alla prova, e non gelosa e contraria alla sua presenza nella vita del Freeman); l'assenza di alcune scene fondamentali, soprattutto quella della nascita della relazione tra l'assassino e la ragazza (così com'è descritta, alla svelta, non ha senso tutto il resto del film, la scelta di lui di non ucciderla e quella di lei di seguirlo) e quella della tatuazione (ricca di valore narrativo ed emotivo nel manga); l'eccessiva violenza degli scontri, mentre il Freeman è decisamente più elegante nel manga; in generale, poi, la totale mancanza dello struggente romanticismo e dell'erotismo del manga.
Perciò, contrariamente a Giorgio Viaro, credo che il film tradisca completamente lo spirito e l'equilibrio narrativo del manga.
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