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sabato 7 gennaio 2012

la filosofia in guanti bianchi

A pagina 122 del suo libro De la guerre en philosophie  Bernard-Henry LĂ©vy cita il fantomatico Jean-Baptiste Botul. Ora, l'esistenza di Botul è diciamo... improbabile. Bernard-Henry LĂ©vy si è detto vittima di uno scherzo. A dire la veritĂ  io non ho mai pensato di tendergli una trappola. La vita sessuale di Immanuel Kant, uscito undici anni fa, racconta una storia ben poco verosimile: dopo la guerra una colonia di "neokantiani" tedeschi si sarebbe rifugiata in Paraguay per tentare di vivere emulando Kant. Quasi come dei filosofi-Amish insomma... Nulla di tutto ciò ha suscitato il minimo sospetto in Bernard-Henry LĂ©vy, e nemmeno nei correttori di Grasset, casa editrice parigina di ottima fama.
Che cosa ci insegna questa gaffe? Se l'affaire Botul/Lévy ha avuto tanta eco, è perché inceppa il gioco dei riferimenti. Per dimostrare la serietà del suo pensiero un filosofo deve fare riferimento ad altri filosofi. In questo modo egli suggella la propria appartenenza al club. La quantità di nomi che Bernard-Henry Lévy è in grado di enumerare nello spazio di una pagina rappresenta un vero e proprio record. Mette in pratica a livello professionale ciò che gli americani chiamano name dropping, operazione che consiste nello "snocciolare" il più gran numero di nomi celebri per far colpo in società.
La guerra evocata da Lévy è puramente mediatica. Le vittorie si misurano in termini di partecipazioni a talk-shows, interviste e i cannoni hanno l'aspetto di teleobiettivi fotografici. Per dire il Vero, conviene essere belli.
Eppure cinque lettere saranno bastate per incrinare l'insieme: B.o.t.u.l! Il nome di un invisibile, di un assente, di una brezza leggera, che trionfa con dolcezza, grazie alla non-azione, sull'attivismo mediatico.

(da Frédéric Pagès, La filosofia in guanti bianchi, postfazione a La filosofia o l'arte di chiudere il becco alle donne)

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