Dopo la lettura delle interviste di Philippe Sollers, ho riscoperto di avere in libreria il suo breve saggio su uno dei miei artisti preferiti: Le passioni di Francis Bacon. «Quando si dà un giudizio su Bacon» – quasi esordisce l'autore – «tutti si accordano automaticamente a dei cliché: la sua pittura accumulerebbe immagini di violenza, di angoscia, di tortura, di reclusione, di agonia; essa sarebbe, come si dice, al limite del sopportabile. Le parole ripetute più spesso sono: orrore, dolore, accanimento, repulsione, macelleria, smembramento, malessere, nausea, inferno, disperazione. Ecco, non è forse ciò a cui conducono la miseria dell'uomo senza Dio, il nichilismo compiuto, l'assurdo, il rifiuto del senso della vita? Non si nota mai, in queste reazioni, la più piccola traccia di humour. Si trova inquietante che un artista abbia potuto dire: "Noi siamo carne, siamo delle carcasse in potenza". E poi: "Dovremmo essere tutti consapevoli del disastro che si può abbattere su di noi in qualsiasi momento del giorno". Peggio ancora: "Quando sarò morto, mettetemi in un sacco di plastica e gettatemi tra le immondizie"».
L'idea di Sollers è che Bacon non esprima malinconia e acredine ma, anzi, gaiezza, voluttà, il suo essere "ottimista sul nulla". L'idea dell'uomo come gioco senza scopo e senza importanza, come – al di là di ogni identità e narcisismo – scene e incontri che hanno luogo e basta, come caso – che secondo Balzac "è l'artista più grande" – , non lo conduce al suicidio ma ad affermare: "Sono avido di vita. Sono avido di ciò che il caso può, e lo spero, darmi: ciò che supera di gran lunga qualunque cosa potrei calcolare logicamente".
"Dal momento che l'esistenza è per un verso così banale" – sostiene Bacon – "si può tentare di farne qualcosa di grande, piuttosto che lasciarsi curare fino all'oblio". Ecco che le opere di Bacon esprimono un eroismo gratuito e insolito, forse tragico ma non patetico, serenamente violento e disincantato, esse «aiutano potentemente a sentire ciò che per un uomo senza illusioni è il fatto di esistere» (Michel Leiris, Francis Bacon), fanno pensare ad alcuni passi di Georges Bataille in cui il filosofo francese scrive: «Io sono il risultato di un gioco. Io sono, nel seno di un'immensità, un di più che eccede questa immensità. La passione ridente, il salto sragionevole e la tranquilla lucidità sono richieste al giocatore, fino al giorno in cui la sorte – o la vita – lo lasciano». Sollers accosta l'arte di Bacon anche alle parole di Oreste che non si oppone alle Erinni nell'Andromaca di Racine – «Dunque, figlie infernali, a colpire siete pronte? Per chi sono i serpenti che vi soffiano in fronte? A chi son destinati questi vostri strumenti? Venite per condurmi negli eterni tormenti? Su! Che ai vostri furori Oreste non s'oppone. Ma no, tornate indietro, lasciate fare a Ermione: Meglio di voi l'ingrata mi saprà lacerare, ed io vengo ad offrirle il cuore da sbranare» –, e ricorda l'apprezzamento del pittore per il finale del Macbeth di Shakespeare, con "quei versi così celebri sulla morte e la fugacità della vita, il tempo che passa e che non ha più senso", il tutto senza deplorazione né spavento.

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