Il Torneo Tremaghi si è concluso nel modo peggiore. Cedric Diggory è morto nel corso dell’ultima prova, assassinato da Lord Voldemort risorto in tutta la sua potenza. A Hogwarts, nella Sala Grande listata a lutto, le giovani streghe e i giovani maghi sono pronti ad ascoltare il discorso del loro preside, Albus Silente. Sono parole pacate e precise, di una forza misurata ma dirompente, e rendono omaggio alla memoria del giovane Cedric. Un omaggio che, senza enfasi né retorica, prende la forma tragica e bellissima della formula perfetta dell’etica. Formula tragica perché attraversata dallo spettro incancellabile della morte. Bellissima e perfetta perché – in consonanza con l’idea di etica come pratica della libertà espressa nella saga di Harry Potter – non comanda né ammonisce, non dice che cosa si debba fare, ma richiama ciascuna e ciascuno alla propria singolare responsabilità come capacità di produrre, in una data situazione, un atto etico. Cioè un atto ispirato all’idea di giustizia.
È questa la modalità di insegnare senza ammaestrare di Albus Silente: dare ai propri studenti tutti i mezzi perché possano affrontare le situazioni difficili ma lasciare al contempo loro anche la possibilità di affrontare liberamente, e da soli, tali situazioni. Anche a rischio dell’errore o del peggio. Di questo rischio fa esperienza Harry durante il primo anno trascorso a Hogwarts, quando si trova a dover affrontare da solo Voldemort. Silente avrebbe anche potuto fermarlo, avrebbe potuto dirgli che cosa fare, dargli consigli su come fronteggiare il pericolo o, al limite, intervenire in suo soccorso. Ma non fa nulla di tutto ciò: «Invece di fermarci, ci ha insegnato tanto da darci una mano» (Harry Potter e la pietra filosofale). Se l’etica è l’imparare a vivere soli, da sé, tra la vita e la morte, il diritto a un certo rischio non può mai essere cancellato: «Silente mi ha sempre fatto scoprire le cose da solo. Voleva che sperimentassi le mie forze, che corressi rischi» (Harry Potter e i doni della morte). L’atto etico non è un qualche particolare e potentissimo incantesimo in grado di risolvere i problemi o i dilemmi che si pongono al soggetto, ma l’atto di una decisione che trasforma lo stato delle cose senza l’ausilio di nessuna magia.
Ecco le parole che Silente rivolge ai propri studenti in occasione della morte di Cedric: «Ricordatevi di Cedric. Quando e se per voi dovesse venire il momento di scegliere tra ciò che è giusto e ciò che è facile, ricordate cos’è accaduto a un ragazzo che era buono, e gentile, e coraggioso, per aver attraversato il cammino di Voldemort. Ricordatevi di Cedric Diggory» (Harry Potter e il calice di fuoco). Il preside di Hogwarts evita accuratamente di fare la morale, non predica, non invoca leggi o valori sommi, gesti esemplari, regole infallibili cui attenersi, o un qualche nobile insegnamento che la scuola avrebbe impartito alle giovani streghe e ai giovani maghi e che sarebbe venuto il momento di mettere in pratica. Lo spettro dell’amico morto, e la morte tout court, gioca un ruolo chiave in questa scelta etica. La formula perfetta dell’etica è la composizione di questi tre elementi: ciò che è giusto, ciò che è facile e lo spettro della morte. Quasi che facile fosse sinonimo di ingiusto – cosa che è tutt’altro che scontata – perché l’etica richiede al soggetto di saper rompere con ciò che è facile per produrre una decisione che abbia la forza di creare, tra la vita e la morte, giustizia. Sicuramente esistono scelte giuste che sono anche facili – e non sono scelte senza valore nell’ambito della quotidiana convivenza –, ma tali scelte non possono essere definite propriamente etiche. Queste scelte si muovono in quelle che Heidegger chiamava «la medietà di ciò che si conviene», che determina «ciò che è possibile o lecito tentare», che «sorveglia ogni eccezione» e soddisfa così la tendenza a «prendere tutto alla leggera e a rendere le cose facili» (Essere e tempo).
L’etica è qualcosa di più, e di altro, rispetto al comportamento socialmente accettabile, conformistico, attento a obbedire alle regole e alle leggi. L’etica è il coraggio di ciò che è giusto, il coraggio di fare ciò che è giusto e che si alimenta in ciò che è giusto, il coraggio di sospendere l’orizzonte di ogni regola al momento di decidere per ciò che è giusto. «Se l’idea di giustizia, di ciò che è giusto, si confondesse con la legge, qualcosa non quadrerebbe. Sentiamo che ciò rinvia a qualcosa di più della legge, a qualcosa di diverso dalla legge», per usare una formula di Jean-Luc Nancy (Il giusto e l’ingiusto).
Ciò che è giusto richiede coraggio perché rompe con il normale corso delle cose, con l’orizzonte delle abitudini e del comportamento socialmente accettabile. L’atto etico eccede il semplice dovere morale – ad esempio la scelta di combattere, di entrare in clandestinità, di organizzare la resistenza contro Voldemort e i Mangiamorte, rinunciando, così, a una vita normale e rischiando la vita stessa –, potrebbe sembrare un atto supererogatorio (dal latino supererogare, “pagare più del necessario”). L’idea di etica che emerge dalla saga di Harry Potter, nel suo legame con l’idea di giustizia al di là della legge, eccede i limiti che Rawls traccia tra morale per le persone comuni e morale supererogatoria per santi ed eroi (Una teoria della giustizia): non c’è etica né possibilità di giustizia, non c’è atto etico degno di questo nome se non là dove un soggetto si spinge al di là dei limiti del semplice dovere. Non c’è nulla di etico, infatti, nel fare semplicemente ciò che si deve fare.
(da Simone Regazzoni, Harry Potter e la filosofia)
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