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martedì 19 aprile 2011

il paradosso dell'appello amoroso

Nel corso di un trasferimento in elicottero verso la nave ancorata a qualche miglio dall’isola di Lost, Desmond Hume, o meglio la sua mente, comincia a viaggiare avanti e indietro nel tempo, oscillando tra il 1996, quando ancora era arruolato nel Primo Battaglione dell’Esercito Reale Scozzese, e il presente in cui vive, il 2004. nessuno è in grado di aiutarlo, eccetto Daniel Faraday, il fisico arrivato da poco sull’isola. C’è una sola soluzione per mettere fine all’oscillazione: trovare una costante, qualcosa di comune a entrambi i tempi e che sia veramente importante per Hume. Ora, la costante di Hume è Penny, la donna che ama. Per arrestare i salti tra i due tempi, Hume deve cercare di entrare in contatto con Penny in entrambi i tempi. Così Hume si reca, nel 1996, a casa di Penny, che non vede ormai da molto tempo, pregandola di dargli il suo numero di telefono e di non cambiarlo per i successivi otto anni. Perché lui la chiamerà, il 24 dicembre del 2004. la salvezza di Hume è legata a questo. Al fatto che Penny, otto anni dopo il loro ultimo incontro, risponda al telefono: «Ti sembrerà incomprensibile, perché neanche io lo capisco. Ma tra otto anni io avrò bisogno di chiamarti. Se c’è una parte di te che ancora crede in noi, allora dammi il tuo numero. Non ti chiamerò per otto anni. Il 24 dicembre 2004, la vigilia di Natale, se provi ancora qualcosa per me dovrai rispondere».
Questa incredibile salvezza che ti viene dalla risposta dell’altro, dal fatto che l’altro accetti di rispondere alla tua chiamata, non è altro che ciò che si chiama amore. In questo Lost riprende, ribaltandola, un’immagine che Derrida ha usato per descrivere il paradosso dell’appello amoroso che, mentre si rivolge all’altro e lo chiama, gli prescrive al contempo di essere libero di non rispondere alla chiamata. Perché senza questa libertà per l’altro di non rispondere non c’è possibilità di vera risposta, e dunque di legame amoroso, ma solo costrizione. «Come se chiamassi qualcuno, ad esempio al telefono, dicendogli in poche parole: non voglio che tu attenda la mia chiamata e che tu ne dipenda, vai a fare una passeggiata, sentiti libero di non rispondere. E per provarlo, la prossima volta che ti chiamerò, non rispondere, altrimenti rompo con te. Se tu mi rispondi, è finita tra noi» (Politiche dell’amicizia). La possibilità che l’altro non ti risponda deve sempre rimanere tale, altrimenti la sua risposta perderebbe tutto il suo significato di libera risposta all’appello amoroso. Il che significa che lo spettro della non-risposta assilla sempre la risposta come minaccia. Per questo siamo continuamente costretti a chiedere conferma all’altro. L’amore non è altro che questo: il fatto che l’altro possa non rispondere alla tua chiamata, che sia sempre libero di non rispondere, e che tuttavia, nonostante tutto – nonostante il tutto, tutto il resto e tutti gli altri – risponda.

(da Simone Regazzoni, La filosofia di Lost)

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