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Questa incredibile salvezza che ti viene dalla risposta dell’altro, dal fatto che l’altro accetti di rispondere alla tua chiamata, non è altro che ciò che si chiama amore. In questo Lost riprende, ribaltandola, un’immagine che Derrida ha usato per descrivere il paradosso dell’appello amoroso che, mentre si rivolge all’altro e lo chiama, gli prescrive al contempo di essere libero di non rispondere alla chiamata. Perché senza questa libertà per l’altro di non rispondere non c’è possibilità di vera risposta, e dunque di legame amoroso, ma solo costrizione. «Come se chiamassi qualcuno, ad esempio al telefono, dicendogli in poche parole: non voglio che tu attenda la mia chiamata e che tu ne dipenda, vai a fare una passeggiata, sentiti libero di non rispondere. E per provarlo, la prossima volta che ti chiamerò, non rispondere, altrimenti rompo con te. Se tu mi rispondi, è finita tra noi» (Politiche dell’amicizia). La possibilità che l’altro non ti risponda deve sempre rimanere tale, altrimenti la sua risposta perderebbe tutto il suo significato di libera risposta all’appello amoroso. Il che significa che lo spettro della non-risposta assilla sempre la risposta come minaccia. Per questo siamo continuamente costretti a chiedere conferma all’altro. L’amore non è altro che questo: il fatto che l’altro possa non rispondere alla tua chiamata, che sia sempre libero di non rispondere, e che tuttavia, nonostante tutto – nonostante il tutto, tutto il resto e tutti gli altri – risponda.
(da Simone Regazzoni, La filosofia di Lost)
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