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sabato 2 aprile 2011

la decostruzione del supereroe (2di2)

La narrazione di Watchmen (1986-87) di Alan Moore analizza le ramificazioni psicologiche, etiche e politiche del vigilantismo. Una delle maniere in cui Watchmen ci obbliga a ripensare i supereroi è ritraendone diversi come psicologicamente problematici. Rorschach, per esempio, è rimasto traumatizzato da un’infanzia abusata. Egli è assolutamente crudele nella sua volontà di usare la violenza per combattere il crimine, eppure il suo impegno per la giustizia sembra reale e senza compromessi. È stato l’omicidio di Kitty Genovese, avvenuto sotto gli occhi di trentotto testimoni che sono rimasti a guardare senza fare nulla mentre veniva pugnalata a morte in un luogo pubblico, a stimolare Rorschach all’azione, farlo vergognare dell’umanità e ispirarlo a indossare una grottesca maschera con macchie d’inchiostro, «una faccia che potesse sopportare di guardare allo specchio». Diversamente da Superman e Spider-Man, né Rorschach né Batman possiedono superpoteri. Eppure scelgono di votare le proprie vite a combattere il crimine. Sono psicopatici guidati dalla vendetta, oppure ognuno di noi che prende le distanze da loro dovrebbe essere considerato come quegli ordinari mostri che sono stati i vicini di Kitty Genovese, la cui complicità nell’orrore consiste in un’assoluta inazione? O potrebbero entrambe queste ipotesi essere vere? L’epigrafe al capitolo VI di Watchmen è un aforisma di Friedrich Nietzsche: «Chiunque combatta i mostri deve stare attento che nel farlo non diventi egli stesso un mostro. E quando guardi a lungo dentro l’abisso, anche l’abisso guarda dentro di te» (Al di là del bene e del male). Hanno Rorschach o Batman fallito nel seguire questo avviso? O è il resto di noi ad essere troppo conservatore, troppo spaventato, o troppo debole per prendere il nobile rischio di affrontare i mostri? L’atteggiamento fondamentale dei supereroi sembra essere che, al contrario di quanto sostenuto da Locke, è diritto di tutti, se non dovere, combattere il crimine, e fare tutto il possibile per ricercare la giustizia per noi stessi e la nostra comunità. Spider-Man notoriamente riconosce che «da grandi poteri derivano grandi responsabilità», ma Rorschach ci mostra che il “potere” di combattere il crimine è più che altro una questione di volontà, di scelta, che sembra comportare una grande responsabilità per noi tutti.
Un altro personaggio di Moore è Ozymandias, un individuo chiaramente megalomane che prende niente meno che Alessandro Magno come modello personale. Egli organizza una finta intrusione aliena a New York comprendente un’esplosione che sa ucciderà milioni di persone. La sua spiegazione è che l’improvvisa apparizione di una minaccia aliena che mette a rischio la vita umana spingerà tutte le altrimenti bellicose nazioni verso una pacifica collaborazione contro il nuovo nemico comune. Il piano ordito da Ozymandias ha successo. La questione che viene posta non è semplicemente se Ozymandias sia impazzito o divenuto malvagio, o entrambe le cose. Bisogna chiedersi se qualcuno nella sua posizione potrebbe mai aver diritto a fare qualcosa di analogo. Bisogna inoltre confrontarsi con la questione se chi si dissocia da una tale azione potrebbe a sua volta essere in qualche modo biasimato per essere troppo debole da fare ciò che sarebbe necessario per salvare il pianeta. Questo uomo, questo supereroe intelligente e popolare, è diventato un mostro, o è solo un saggio incompreso? È lo sconnesso e trasandato Rorschach – che a questo piano ha tentato di opporsi – un testardo, a causa della sua ossessiva fissazione su ciò che considera essere giusto, o ha ragione nel rifiutare l’etica utilitaristica usata per razionalizzare l’omicidio di milioni di persone? Moore e Miller ci obbligano a rivedere il nostro sguardo sui supereroi, e in ultima analisi anche quello su noi stessi e il nostro ruolo nel mondo.
È la prospettiva olimpica, con cui una persona si posiziona sopra gli altri come giudice di come e se dovrebbero vivere, buona e ragionevole per progettare un’azione nel mondo? Un uomo, che potrebbe essere dai suoi poteri, intelligenza e posizione, inclinarlo ad essere grandiosamente interessato al “mondo”, potrebbe essere ritenuto affidabile nel fare la cosa giusta per gli individui nel mondo? Uno dei principali pericoli affrontati da ogni supereroe consiste proprio in questo: la limitazione di ogni prospettiva in un mondo immensamente complesso, la potenziale inesattezza di ogni credenza anche attentamente formata, e la legge delle conseguenze involontarie, potrebbero facilmente destinare i tentativi di un vigilante alla perpetrazione di tremendi disastri piuttosto che all’ottenimento di una giustizia cosmica, e questo mina l’intero concetto di supereroe. Siamo preparati a fare tutto il possibile, in modo ordinario, per rendere il mondo tale da non aver bisogno della salvezza straordinaria di un qualche supereroe che agisca al di là dei limiti di ciò che riteniamo essere moralmente accettabile? Alan Moore lancia la responsabilità del senso e della giustizia su di noi, mostrandoci cosa potrebbe succedere se abdicassimo questa responsabilità, lasciandola a pochi, o a chiunque volesse usurpare a tutti gli altri il diritto di decidere come essere protetti e tenuti in salvo.
La revisione dei supereroi nelle opere di Moore e Miller ci obbliga a ripensare la nostra etica, il nostro ruolo nel mondo, la nostra visione della legge e dell’ordine sociale. Moore e Miller ci chiedono di guardare nell’abisso e usarlo come specchio per guardare dentro di noi più chiaramente.

(da Aeon J. Skoble, Superhero revisionism in Watchmen and The Dark Knight Returns, in Superheroes and philosophy)


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