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martedì 3 maggio 2011

viaggio al termine dell'eroismo western

Alain Badiou ne Il secolo a proposito del genere western scrive: «Il grande contributo dell’America alla tematica del secolo consiste forse nell’aver installato al cuore del suo cinema la questione della genealogia del coraggio e dell’intima lotta contro la viltà. È questo che rende il western, in cui è sempre in questione questa lotta, un genere solido, moderno, e che ha dato vita a un numero eccezionale di capolavori». Il mucchio selvaggio (The Wild Bunch) è uno di questi capolavori, un morality play e un film senza compromessi, secondo la definizione del regista Sam Peckinpah, secondo cui quando si dice di uno che è un vero uomo si intende «che non deve dimostrare nulla. Un uomo è se stesso. Mio padre lo diceva in un altro modo. Quando arriva il momento, diceva, ti alzi in piedi e ti fai sentire. Per la cosa giusta. Per le cose che importano. È la prova definitiva. O fai dei compromessi che finiscono per distruggerti oppure ti alzi in piedi e dici “vaffanculo”. È incredibile quanta poca gente faccia così» (intervista a “Playboy” del 1972, ora in Franco La Polla, Sam Peckinpah. Il ritmo della violenza). Che cosa significa che un uomo è se stesso? Che quando arriva il momento si alza in piedi? Che cos’è la prova definitiva? Restiamo sul finale de Il mucchio selvaggio. La banda di Pike Bishop è disposta a sacrificare tutto pur di liberare Angel, un membro del Bunch nelle mani del generale Mapache. Imbracciano i fucili e si incamminano – uno a fianco dell’altro.  Il tema dell’essere al fianco di (to side) svolge un ruolo centrale per l’etica eroica del Bunch. Anzi, si potrebbe dire che il Bunch non è altro che l’espressione di questo essere-al-fianco-dell’altro, la composizione singolare e selvaggia (wild: sregolata, sfrenata, folle) e casuale (wild: fatto a caso), che non obbedisce a nessuna legge esterna che venga a dettare la regola di un qualche essere-insieme o di una qualche fusione. Il Bunch inizia la sua marcia, la camminata epica ed etica. Peckinpah condensa la cosa in due battute: Let’s go. Why not. Tutto l’enigma della decisione giusta e del significato dell’eroismo è racchiuso in queste parole, e nelle bellissime immagini che le accompagnano in una sequenza indimenticabile. Arrivato il momento, il gruppo decide nonostante tutto: nonostante il contesto e le conseguenze, contro ogni calcolo e compromesso realistico.
A proposito di questa decisione è stata usata la formula “eroismo nichilista”. Essa coglie il punto estremo in cui viene presa la decisione: là dove non c’è copertura da parte di nessun orizzonte simbolico. L’eroismo della decisione non è espressione di una fede in una costellazione di valori morali o religiosi, e nemmeno si radica in una qualche convinzione politica. Dietro non c’è nessun orizzonte simbolico, nessuna Causa. Non è giustificabile attraverso nessun tipo di discorso morale o politico: non c’è una buona ragione che possa giustificarla. Lo straordinario why not esprime piuttosto l’idea che nonostante vi siano molte buone ragioni in nome di cui sarebbe possibile giustificare la scelta razionale di non sfidare l’esercito di Mapache, ebbene tutte queste buone ragioni non sono ragioni buone per cedere. Su che cosa? Sul proprio desiderio. E il desiderio è quello espresso da Pike in una scena precedente con queste parole: «Quando sei al fianco di un uomo, sei con lui, e se non sei in grado di farlo, sei un animale, sei finito, siamo finiti, tutti noi». Ecco l’etica, immorale, ecco l’eroismo etico che Lacan ha sintetizzato nella formula: «La sola cosa di cui si possa essere colpevoli è di aver ceduto sul proprio desiderio» (Il seminario, libro VII. L’etica della psicoanalisi). E il desiderio per Lacan non è altro che una metonimia del nostro essere: cioè una parte di noi stessi che vale per il tutto. Non cedere sul proprio desiderio significa non cedere su ciò che si è, su quanto di più essenziale e singolare c’è in noi. Si tratta di un atto eroico nella misura in cui può costare, al limite, anche la vita. Ma, precisa Lacan, «in ciascuno di noi c’è la via tracciata per un eroe». Bisogna non cedere sul proprio desiderio, essere se stessi, fedeli a se stessi. In termini nietzschiani: occorre diventare ciò che si è. A proposito dell’etica lacaniana Žižek ha scritto: «L’etica lacaniana è una versione dell’eroica etica immorale che ci ordina di rimanere fedeli a noi stessi» (Malgrado tutto, l’etica di Lacan, in “Aut-aut” n. 343).
L’essere se stessi di cui parla Peckinpah assume qui forma esemplare, che solo apparentemente è l’ipseità del soggetto sovrano maschile e virile, mentre in realtà è la messa in opera della decostruzione del soggetto. Almeno nella misura in cui un soggetto in senso classico – libero, autonomo, autodeterminato –, come ha scritto Derrida, non è in grado di decidere nulla: «È fuori di dubbio che la soggettività di un soggetto non decide mai nulla» (Politiche dell’amicizia). La decisione non è qualcosa che il Bunch possa prendere – qualcosa che rientri nell’ambito delle sue possibilità e dei suoi poteri. Per il Bunch questa decisione è l’impossibile cui occorre esporsi. «La morale tradizionale – scrive Lacan – si installava in quel che si doveva fare nella misura del possibile. Quel che c’è da smascherare è il punto chiave per cui essa si situa così – non è nient’altro che l’impossibile, in cui riconosciamo la topologia del nostro desiderio». Nessun atto di volontà, bensì un abbandono alla decisione, una certa passività che accoglie una decisione impossibile per il soggetto che calcola e ragiona. Ora, se Derrida parla di decisione passiva come decisione dell’altro in me, dell’altro come l’assoluto che decide di me in me, Badiou evoca, a proposito di questa passività, l’elemento femminile: «Al fondo, per cessare di essere vili, occorre acconsentire interamente a ciò che accade. Il rovescio della viltà non è la volontà, ma l’abbandono a ciò che arriva, a ciò che accade. Una specie di abbandono incondizionato all’evento». Per quanto possa sembrare paradossale, al cuore della decisione del Bunch c’è una certa passività che si presenta precisamente attraverso l’incontro col femminile, che ne Il mucchio selvaggio assume la figura muta di una giovane prostituta. È nell’incontro di sguardi tra Bishop e la giovane prostituta che avviene la decisione. È attraverso il femminile che un uomo è se stesso.

(da Simone Regazzoni, Il mucchio selvaggio (Viaggio al termine dell’eroismo western), in Pop filosofia)

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