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sabato 16 luglio 2011

giustizia vs diritto

Nel gennaio 1943, in uno scompartimento di prima classe del treno proveniente da Roma, viaggiavano sei persone, comodamente sprofondate nei cuscini rossi. Nel lungo corridoio brancolavano fra le tenebre dell'oscuramento delle forme umane, mal rassegnate a passare tutta la notte in piedi: di quando in quando, taluna di esse apriva la porta e chiedeva ai viaggiatori che concedessero di alternarsi nel riposo, o almeno si stringessero un poco per creare il cosiddetto quarto posto; scene ormai consuete che riproducevano in aspri battibecchi l'eterno conflitto fra giustizia e diritto. Nello scompartimento di cui parliamo la tutela del diritto era stata assunta da un signore elegante e corpulento che rientrava dalla capitale dopo aver fatto valere la sua influenza presso i ministeri in favore di una società di armamento: con la parola pronta e vivace egli finiva con l'imporsi ai disturbatori, e gli altri compagni di viaggio, se anche in cuor loro sentivano che le pretese degli sfortunati non erano del tutto ingiuste, si mostravano felici di aver trovato il modo, per l'abilità del difensore, di salvare i posti, mantenendo tranquilla la loro coscienza.
(Salvatore Satta, De profundis)

Perché gli italiani avevano accettato, e nella stragrande maggioranza sostenuto, il fascismo? Secondo Salvatore Satta, l'uomo tradizionale, il medio cittadino di stampo ottocentesco, attaccato alla libertà soltanto come garanzia del privilegio, aveva subito ceduto questa libertà al fascismo, impaurito dagli squarci  che si erano aperti nel vecchio ordine; aveva accettato la servitù per non morire, preso dal panico si era buttato a sognare l'impossibile restaurarsi di un nuovo ordine che ancora una volta lo tranquillizzasse.

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