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martedì 12 luglio 2011

risibili buone abitudini

Che significa ridere? Che c'è al fondo del riso? A questo genere di domande tenta di rispondere Henri Bergson nel suo saggio sul senso del comico, Il riso.
 
«Il comico è quell’aspetto della persona per il quale essa rassomiglia ad una cosa, quell’aspetto degli avvenimenti umani che imita, con la sua rigidità di un genere tutto particolare, il meccanismo puro e semplice, l’automatismo, insomma il movimento senza vita. Esso esprime dunque una imperfezione individuale o collettiva che richiede la correzione immediata. Il riso è questa correzione stessa. Il riso è un certo gesto sociale, che sottolinea e reprime una certa distrazione speciale degli uomini e degli avvenimenti».
henri bergson

Per Bergson l’essenza generale della vita – l’élan vital (lo slancio vitale) – consiste in un’energia che si distende, in un movimento dell’intelligenza sempre attenta che si risolve nell’azione dell’avventura, del rischio e dell’impegno. Questo movimento però, per mancanza di attenzione e di inventiva da parte dell’intelligenza di fronte all’esperienza sempre rinnovantesi, può ripetersi, piegandosi in automatismo, una sorta di sonnolenza, torpore o incoscienza dell’intelligenza che si fa simile a una coscienza animale, incapace cioè di aprirsi a un’invenzione continuamente rinnovabile e che tende, invece, a scivolare nel sonnambulismo dell’istinto, in cui tutto si piega e s’incurva in meccanicità, in un sistema di abitudini. Come dirà Jean-Paul Sartre «le buone abitudini non sono mai buone, perché sono abitudini» (Quaderni per una morale), dovendo la morale consistere, invece, in una conversione e rivoluzione permanente, in una “evoluzione creatrice”.
Quindi, ogni rigidità del carattere, dello spirito o anche del corpo costituiscono per una società e una morale aperta come un disturbo, un sintomo e una minaccia, e occorre intervenire con un’azione di repressione: la risposta, il castigo, è il semplice gesto sociale, la reazione collettiva, del riso, una pressione del gruppo sull’individuo che ha la forma di un imperativo morale a rendere e mantenere flessibile uno slancio vitale teso ed elastico che rischia una rigidità meccanica.
Nonostante abbia questa funzione di imperativo morale utile per un perfezionamento generale, il riso non può essere assolutamente giusto. Il riso è, invece, un’umiliante correzione insensibile e indifferente, a volte ingiusto e cattivo, che non sempre colpisce giusto, perché, mirando a un risultato generale, non può concedere ad ogni caso particolare l’onore di esaminarlo separatamente. Una media di giustizia può apparire nel risultato d’insieme e non nel dettaglio dei casi particolari. In ogni caso, vista la sua funzione, il riso non può essere contrassegnato da simpatia e bontà, ma deve intimidire umiliando.
Il riso è amaro come la spuma delle onde.


«Le onde lottano senza tregua alla superficie del mare, mentre gli strati inferiori mantengono una pace profonda. Le onde si urtano tra loro, si contrariano, cercano il loro equilibrio. Una spuma bianca, leggera e gaia ne segue i contorni cangianti. A volte l’onda che fugge abbandona un po’ di questa spuma sulla sabbia della spiaggia. Il fanciullo che gioca là vicino va a raccoglierne un pugno, e si stupisce, l’istante dopo, di non avere nel cavo della mano altro che qualche goccia d’acqua, ma d’un acqua molto più salata, molto più amara ancora di quell’onda che la portò. Il riso nasce come questa spuma. Segnala, all’esterno della vita sociale, le rivolte superficiali. Designa istantaneamente la forma mobile di questi scrolli. È, anch’esso, una spuma a base di sale. Come la spuma sfavilla. È la gaiezza. Il filosofo che ne raccoglie per gustarne vi troverà d’altronde qualche volta, per una piccola quantità di materia, una certa dose di amarezza».

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