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lunedì 10 ottobre 2011

il quarto stato

In tutta la sua produzione artistica il pittore Giuseppe Pellizza da Volpedo sembra presentare un concetto pessimistico della vita. Nella sua opera rari sono i momenti gioiosi, se anche in quello che dovrebbe essere un Idillio primaverile (1896-1901) echeggiano i passi sottolineati dall'autore nel romanzo dell'epoca Nell'ignoto (1896): «l'anima del sensibile adolescente schiudesi di repente all'amore e tra i due cugini, quasi inconsciamente incomincia l'eterno idillio». Il presentimento d'una futura e ineludibile sofferenza si proietta sulla scena d'un amore nascente e vagamente incestuoso. Presentimento di sofferenza che si concreta, invece, in Il morticino o Fiore reciso (1895-1906).
Il pittore si concentra con ostinazione sulla rappresentazione di sé e della sua famiglia, come dimostrano i numerosi autoritratti e ritratti svelando una certa ossessione del nido, dell'idea che non c'è "io" senza famiglia , l'irruzione della moglie Teresa e la rapida intensificazione del tema della donna col bambino, come in Donna seduta con bambino (1888), Pensieri o Teresa (1891), Mammine e Sacra famiglia (1892). In questo si mostra un processo di idealizzazione della figura femminile ma anche l'introduzione di innovazioni iconografiche: nella Sacra famiglia la figura della Madonna arriva in primo piano con un gesto che è, innanzi tutto, il rifiuto di conservare un ruolo passivo e gregario; la Madonna è giovane e protagonista, laddove san Giuseppe, confinato sullo sfondo, è vecchio e stanco, in una posizione assolutamente subordinata, e tutto questo quando la dimensione di quotidianità è ancor più accentuata dal fatto che le figure sono prive di aureola. il movimento di quella Madonna col bimbo in braccio anticipa quello della donna in primo piano del Il Quarto Stato (1901).
Oltrepassando decisamente la rigidità allegorica che la rappresentazione del femminile aveva conosciuto nella Francia rivoluzionaria giacobina nei quadri di Jean-Baptiste Regnault (La libertà o la morte, 1795) e Antoine-Jean Gros –, Teresa che nel Quarto Stato simbolicamente avanza verso il futuro rappresenta la realizzazione finalmente concreta, plausibile, popolare di quei valori di libertà, uguaglianza e fraternità di cui le tele francesi sono state il memorabile ma astratto paradigma. La contraddizione tra le simbologie culturali di una ben codificata tradizione relativa alla rappresentazione della donna e le opzioni politiche recepite dalla cultura del tempo, è sintetizzata da Pellizza nell'ambivalenza simbolica d'un femminile sospeso tra tradizione ed emancipazione, famiglia e partecipazione alla scena pubblica, forza e indipendenza, maternità e individualità, dimostrando una tenace volontà d'aggiornamento da parte del pittore sulla questione femminile.
Posizione socialista, anche se il socialismo di Pellizza è umanitario e pacifico come quello del Giovanni Pascoli che scrive «io mi sento socialista, ma socialista dell'umanità, non d'una classe» (1899), e che compone i versi della poesia La voce dei poveri (1902): «Non dateci ilo pane, ma i pani, sì d'oggi, e sì pur di domani, di sempre, o pie genti! Non dateci il vostro buon cuore cambiandolo in nostro rossore; voi uno, noi venti. Non pane soltanto ch'è nulla, ma vesti e la casa e la culla: non rame, ma oro: non ciò che a più chiedere invita, ma tutto: non vitto, ma vita: lavoro! lavoro!». Il socialismo di Pellizza si realizza in una decennale e costante rielaborazione tematica che va da Ambasciatori della fame (1892) ad, appunto, Il Quarto Stato.  
Se in una nota di diario del 1891 Pellizza segna «Scioperi – anche le donne possono prendervi parte – una donna nel quadro può venire in prima linea con essi», ecco che in Fiumana (1895-98) il garzoncello in primo piano di Ambasciatori della fame viene sostituito dalla donna col bimbo in braccio, la quale conquista la scena e la parola. In un'altra nota, del 1896, l'autore scrive: «passa la fiumana dell'umanità, genti correte ad ingrossarla. Il restarsi è delitto, filosofo, lascia i libri tuoi corri a metterti alla sua testa. Artista, con essa ti reca ad alleviarle i dolori colla bellezza che saprai presentarle. Operaio, lascia la bottega in cui per lungo lavoro ti consumi. La moglie e il pargoletto teco conduci ad ingrossare la fiumana dell'Umanità assetata di giustizia».
Anche Giovanni Verga ne I Malavoglia (1881) presenta il nesso tra fiumana e progresso, parlando del «movente dell'attività umana che produce la fiumana del progresso», ma sostenendo che «il cammino fatale, incessante, spesso faticoso e febbrile che segue l'umanità per raggiungere la conquista del progresso, è grandioso nel suo risultato, visto nell'insieme, da lontano», perché a questo progresso generale della specie si contrappone la rovina del singolo individuo. Nella novella rusticana Libertà (1883), sui fatti sanguinosi di Bronte dell'agosto 1860, la metafora fluviale serve infatti a Verga per condannare implicitamente l'immaturità politica e la violenza gratuita, modello replicato da De Roberto ne I Viceré (1894) e da Pirandello ne I vecchi e i giovani (1913).
Da Fiumana a Il Quarto Stato c'è il passaggio da una massa che s'ingrossa come un fiume in piena a una schiera contenuta nel numero e compattamente solidale, con tensioni smorzate, sublimate, compresse, latenti.
Nell'incedere dei lavoratori di Pellizza, come nei poveri di Pascoli che chiedono in coro, si può ravvisare  determinazione, consapevolezza della propria forza, ma la figura a grandezza naturale di una massa di contadini è insieme imponente e composta, è distribuita per file ordinate e avanza con dignità verso il futuro, in una forma di protesta silenziosa, cosciente di sé e delle proprie ragioni. L'ardore e la fede nell'avvenire e la coscienza di classe – le stesse del Metello (1955) di Vasco Pratolini, romanzo la cui vicenda abbraccia un arco cronologico che va dal 1873 al 1902 e coincide quindi quasi esattamente con la non lunga vita di Pellizza – sono mostrate con un carattere solenne ed emblematico, e la statuarietà di tutta la grande famiglia dei figli del lavoro è l'icona di un'umanità in cammino verso un destino ineluttabile di libertà, giustizia ed eguaglianza.
In una nota del 1892 su Ambasciatori della fame Pellizza scrive di voler raffigurare «la massa del popolo senza schiamazzi tranne laggiù in fondo dietro a tutti un pugno alzato, solo un pugno, che è come un avvisamento qualora il caso fosse disperato e la fame pervenisse all'insopportabilità». E ancora, in una nota del 1895, scrive: «vengono a reclamare ciò che di diritto – sereni e calmi, del resto, come chi sa di domandare né più né meno di quel che gli spetta –, è l'ora del riscatto, così pensano e non vogliono ottenere colla forza, ma colla ragione». L'intento del pittore è dunque quello della nobilitazione, dell'elevazione morale, della sublimazione, quello di mostrare i lavoratori come dovrebbero essere.
Ma anche nel dipinto Il Quarto Stato, culmine di questa sublimazione, traspare tutta la difficoltà di conciliare un socialismo gradualista e antirivoluzionario alla Turati con l'immagine maestosa e terribile della folla. Tutti i dubbi sul titolo definitivo da attribuire all'opera –  da Ventre vuoto, Budella vacue, Marcia dei Titani, Fiumana famelica a Fratelli-Prossimo, Marcia del Trionfo, Alla conquista dell'ideale, Redenzione emergono nel senso di terribile incombenza, di ansiosa e paradossale calma che precede il precipitare di una situazione, di intenzione congelata ma non meno minacciosa, di aggressività appena dissimulata, che trapela dall'indignazione dei lavoratori.
Questo forse spiega anche perché, nel 1992, Gianfranco Manfredi nel romanzo Magia rossa trasformi i personaggi del quadro di Pellizza in zombi, e, nel 1993, Tiziano Sclavi faccia marciare il suo eroe Dylan Dog alla testa d'un corteo di orride creature, esemplato sul modello del dipinto di Pellizza, così da confessare il versante notturno e rimosso della massa, per nulla redento dagli esibiti valori di civiltà e progresso attraverso cui il pittore aveva tentato di sublimarla.
Resta la relazione tra gli intenti di glorificazione che il quadro pretende d'avere e gli impliciti presagi che continua a proiettare, tra ciò che il quadro vuole essere e quello che rimuove sotto la sua coscienza ideologica ma che preme nella materialità del segno
Del resto, le pecore e i greggi lavorati da Pellizza in contemporanea all'impresa che l'avrebbe condotto a Il Quarto Stato, molto ci possono dire della massa di lavoratori che vi si celebra. Volendo attribuire alla transumanza di pecore de Lo specchio della vita (1895-98) il titolo simbolico di Verso la luce, la stessa luce del radioso avvenire verso cui i lavoratori sono incamminati, Pellizza fa sì che ai lavoratori venga associato lo stesso crudele destino che tutti i greggi si portano dietro «i cavalli son fatti per esser venduti; come gli agnelli nascono per andare al macello» (Verga, Jeli il pastore).



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