Questo breve testo riproduce quello che sarebbe dovuto essere un intervento di Jean Genet alla radio francese, poi invece respinto e rifiutato.
L'intento dello scrittore francese è quello, se non di fare un'apologia dei ragazzi criminale, almeno quello di tentare di tracciarne un profilo, di azzardarne un'analisi: il giovane criminale vuole che una dura punizione sia la testimonianza della sua violenza, della sua forza, della sua virilità, vuole che la prova sia terribile affinché soddisfi la sua sete di eroismo, che il carcere sia feroce ed eguagli gli sforzi che ha fatto per conquistarlo.
A guidarlo, contro le regole del bene, è la passione per l'avventura, il senso del romanzesco, la volontà di un'esistenza magnifica, audace, rischiosa.
Un poeta, altrettanto nemico della società che questo giovane criminale, può capire bene questa audacia di opporsi all'onnipotenza del mondo.
Il giovane criminale già respinge la benevola comprensione, e la sollecitudine, di una società contro la quale, commettendo il suo primo delitto, si è appena ribellato. Avendo raggiunto a quindici o sedici anni, o prima ancora, quella maggiore età che la gente per bene non avrà nepure a sessanta, ne disprezza la bontà. Esige che la punizione sia inflessibile. Esige anzitutto che i termini che la designano siano il segnale di una crudeltà assoluta. È quasi con vergogna che il giovane ammette di essere stato prosciolto o condannato a una pena lieve. Auspica il rigore. Lo esige.
A guidarlo, contro le regole del bene, è la passione per l'avventura, il senso del romanzesco, la volontà di un'esistenza magnifica, audace, rischiosa.
Un poeta, altrettanto nemico della società che questo giovane criminale, può capire bene questa audacia di opporsi all'onnipotenza del mondo.
Il giovane criminale già respinge la benevola comprensione, e la sollecitudine, di una società contro la quale, commettendo il suo primo delitto, si è appena ribellato. Avendo raggiunto a quindici o sedici anni, o prima ancora, quella maggiore età che la gente per bene non avrà nepure a sessanta, ne disprezza la bontà. Esige che la punizione sia inflessibile. Esige anzitutto che i termini che la designano siano il segnale di una crudeltà assoluta. È quasi con vergogna che il giovane ammette di essere stato prosciolto o condannato a una pena lieve. Auspica il rigore. Lo esige.
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